Se per le popolazioni indigene parliamo di lotta per
la sopravvivenza, nel caso delle comunità afrodiscendenti si aggiunge
l’elemento di insorgenza e ribellione che ha caratterizzato il lungo cammino
per la conquista del riconoscimento come esseri umani prima e come attori
sociali e politici poi.
La subordinazione e marginalizzazione dei discendenti
delle masse di persone africane deportate durante lo schiavismo è rimasto
sistema in tutti gli stati
in America latina e Caraibi. In questo articolo il quadro di riferimento
storico, geografico e culturale quando si parla di America latina e Caraibi
comprende il gruppo di paesi considerato dalla Comunidad de Estados
Latinoamericanos y Caribeños – Celac. I paesi membri della Celac sono 33:
Antigua e Barbuda, Argentina, Bahamas, Barbados, Belize, Bolivia, Brasile,
Colombia, Costa Rica, Cuba, Cile, Dominica, Ecuador, El Salvador, Grenada,
Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Messico, Nicaragua, Panama,
Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e
Grenadine, Santa Lucia, Suriname, Trinidad e Tobago, Uruguay e Venezuela.
«La popolazione afrodiscendente dell’America latina e
dei Caraibi è composta principalmente da discendenti di popoli africani ridotti
in schiavitù durante la tratta degli schiavi operata nella regione per quasi
400 anni. Sebbene si tratti di gruppi umani diversi, risultanti dal processo di
schiavitù e dalla riproduzione delle disuguaglianze consolidate a partire dalla
creazione dei nuovi stati della regione, le popolazioni afrodiscendenti
latinoamericane soffrono senza distinzione il razzismo e la discriminazione
strutturale. Nonostante il contesto avverso, gli afrodiscendenti hanno
resistito e combattuto in modo permanente, riuscendo a posizionare le loro
rivendicazioni storiche nelle agende internazionali, regionali e nazionali,
principalmente nel secolo attuale. Uno dei corollari di questo processo è il
Decennio Internazionale per gli afrodiscendenti istituito dalle Nazioni Unite
per il periodo 2015-2024, basato su tre pilastri: riconoscimento, giustizia e
sviluppo».
Una persona
su quattro in America Latina e nei Caraibi si riconosce come afrodiscendente
ma, nonostante ciò, questo gruppo etnico è sicuramente la minoranza più
invisibile della regione. Lo certifica tra gli altri, la Banca Mondiale, che in
un report del 2018 contabilizza in 133 milioni
gli appartenenti alla comunità afrodiscendente presenti nella regione
latinoamericana. Sono il Brasile, il Venezuela, la Colombia, Cuba, il Messico e
l’Ecuador a concentrare la maggior parte della popolazione afrodiscendente ma,
anche in tutto il resto della regione, la presenza dei discendenti di
coloro che furono portati in catene nel Nuovo Mondo, è parte dell’eredità
storica e culturale nazionale.
Resistere per esistere
Quella delle
persone afrodiscendenti con l’America latina è una
relazione carnale, costruita sui loro corpi – e con i loro corpi,
templi di resistenza immolati alla causa della libertà. Se per le popolazioni indigene parliamo di lotta per la
sopravvivenza, nel caso delle comunità afrodiscendenti si aggiunge l’elemento
di insorgenza e ribellione che ha caratterizzato il lungo cammino per la
conquista del riconoscimento come esseri umani prima e come attori sociali e
politici poi.
La tratta
degli schiavi in America Latina e nei Caraibi ebbe inizio per sopperire a un massacro perpetrato dai conquistadores nei
confronti delle popolazioni indigene. I primi a soccombere di fronte al massivo
sfruttamento dei nativi da parte dei nuovi arrivati furono i due popoli
indigeni Taino e Caribe – da cui deriva il nome di Caraibi – e il loro destino
si trova ben descritto nel volume di Sebastián Robiou Lamarche Taínos y caribes: Las culturas aborígenes antillanas (Editorial
Punto y Coma, 2003). Le Antille spagnole,
nome attribuito alle isole dell’arcipelago delle Antille facenti parti
dell’impero spagnolo (dal 1492 al 1898) si trasformano fin da subito in una
fonte di grande ricchezza per la Spagna e più tardi anche per altre potenze
europee.
Durante
tutto il periodo della colonia l’espansione capitalista guidata dalle politiche
e dagli interessi delle metropoli del vecchio continente si è basata su una
crescente e pressante richiesta di mano d’opera da sfruttare per le attività
agricole, l’allevamento, i lavori di costruzione, di estrazione di risorse
naturali e anche per le guerre. Come già riportato per il caso dei Taino e dei
Caribe, la popolazione indigena fu falcidiata in pochi anni dagli
incontri/scontri con i colonizzatori a causa della riduzione in
schiavitù, dalle malattie importate dal Vecchio Continente e dalle guerre. Il
collasso demografico conseguente a questa situazione portò le potenze europee a
concentrare la loro attenzione sull’Africa, nello specifico sul Golfo di
Guinea, conosciuto tra il XVII e XIX secolo come la Costa degli Schiavi.
La struttura
gerarchica, classista e razzista dell’epoca coloniale determinò fin da subito
una posizione di estrema subordinazione della
popolazione africana in America Latina e nei Caraibi, posizione assimilabile a quelle delle popolazioni indigene in
termini di povertà materiale ed esclusione sociale e politica. Bisogna
sottolineare che questa subordinazione non ha avuto termine con la liberazione
delle persone afrodiscendenti dalla condizione di schiavi, ma estende la sua
ombra fino ai giorni nostri e si manifesta attraverso il razzismo strutturale
che relega queste comunità in una situazione di maggiore tasso di povertà,
minor accesso all’educazione, minor accesso ai centri di salute, minore accesso
al lavoro degno ed esclusione dagli
spazi di decisione politica. A questo si aggiunge un elemento di negazione storica della presenza di persone afrodiscendenti nella
regione e della loro partecipazione tanto nei processi di
liberazione dal potere coloniale così come nello sviluppo sociale e culturale
delle nazioni latinoamericane (Cepal, 2017).
Cosa identifica il termine
afrodiscendente ?
«Lo studio della popolazione afrodiscendente presenta
numerose sfide, a cominciare dalla mancanza di consenso su chi è e chi non è
afrodiscendente, anche all’interno dei contesti nazionali. Il termine è stato
adottato per la prima volta da organizzazioni regionali di discendenza afro
all’inizio degli anni 2000. La parola descrive persone unite da un’ascendenza
comune (ma che vivono in condizioni abbastanza dissimili), che vanno dalle
comunità afroindigene, come i Garífuna del Centro America, fino a enormi
segmenti della società maggioritaria, come i pardos del Brasile. Negro, moreno,
pardo, preto, zambo e creole, tra i tanti altri, sono termini molto più vicini
alle nozioni di razza e relazioni razziali dei latinoamericani. Comunemente,
queste categorie hanno stigmi e pregiudizi associati, come risultato di una
lunga storia di discriminazione e razzismo. Nella maggior parte dei paesi,
l’adozione del termine afrodiscendente è ancora parziale. In Venezuela, la
maggioranza della popolazione morena (di razza mista) spesso rifiuta il termine
e le sue implicazioni, mentre nella Repubblica Dominicana la maggioranza degli
afrodiscendenti di razza mista preferisce identificarsi come indigeni».
Le
difficoltà per identificare, mappare e censire le persone di ascendenza
africana nei paesi latinoamericani sono legate a doppio filo con la negazione della discriminazione razziale da parte
degli stessi, oltre allo storico tentativo di rendere
invisibile la pluralità etnica nella regione. Questa volontaria
cecità sociale è figlia dell’opera di conseguimento dell’immagine europea di
sviluppo e modernità, chimera vissuta dai governi liberali dell’Ottocento e
dell’inizio del Novecento in America latina. In questo schema di emulazione
politica e sociale, le popolazioni indigene e gli afrodiscendenti erano visti e
interpretati come elementi di disturbo, di arretratezza e di un passato da
“pulire” con un’opera di blanqueamiento –
lo “sbiancamento razziale”, ovvero quella pratica sociale, politica ed
economica utilizzata in molti paesi postcoloniali per raggiungere un supposto ideale di bianchezza. Il
termine si origina in America latina e può essere considerato sia in senso
simbolico che biologico. Simbolicamente, lo sbiancamento rappresenta
un’ideologia nata dalle eredità del colonialismo europeo, descritto dalla teoria della colonialità del potere di Aníbal Quijano,
che si rivolge al dominio bianco nelle gerarchie sociali. Biologicamente, lo
sbiancamento è il processo realizzato sposando un individuo dalla pelle chiara
per produrre una prole dalla pelle non più scura.
Per
raggiungere questo scopo venne favorita, da numerosi paesi latinoamericani
(basti citare il Venezuela come esempio esplicativo), una massiccia
immigrazione di persone dall’Europa: regione vista come culla della civiltà,
Mater culturae e fornitrice di intellettualità, creatività, professionalità e
soprattutto di pelle bianca. Successivamente, durante il XX secolo e con
l’affermazione di identità nazionali fluide e plurali, si diffuse in America
Latina la falsa percezione di aver raggiunto una sorta di giustizia sociale
multietnica. In quel contesto, l’identificazione di una parte della popolazione
come afrodiscendente venne interpretata come un elemento di fomento al razzismo
e di conseguenza nessun dato su questa popolazione appariva nelle statistiche
latinoamericane. A testimonianza, la Banca Mondiale ci ricorda nel suo report
che negli anni Sessanta del XX secolo, solo il Brasile e Cuba includevano delle
variabili etniche nei loro censimenti…
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