Non è la
prima volta che l’avv. Speroni si rivolge a ReCommon ed i suoi legali con
siffatti toni inaccettabili.
Dal
momento che l’ultima missiva è stata indirizzata, direttamente e
pubblicamente, alla RAI, ReCommon ed il suo rappresentante si
riservano di agire nelle sedi competenti contro una siffatta condotta
diffamatoria.
I
vertici di una società come Eni, che si professa responsabile e rispettosa
della libertà di parola e dei principi costituzionali, dovrebbero aprire
subito un’indagine interna sull’accaduto e prendere adeguati provvedimenti
nei confronti del direttore dell’ufficio legale. Sulla base dei passi che
muoverà l’azienda al riguardo, dal momento che l’avv. Speroni ha scritto la
missiva non a livello personale ma chiaramente a nome della società,
ReCommon ed il suo rappresentate si riservano di agire nelle sedi
competenti anche nei confronti di questa.
Nel
merito della posizione di Eni come espressa nella richiesta rivolta alla
RAI, si sottolinea che:
1. L’Eni
ed i suoi manager sono stati assolti con formula piena lo scorso marzo dal
tribunale di Milano solamente in primo grado. E’ quindi errato affermare
che l’insussistenza del fatto è stata “verificata in via definitiva”,
poiché la pubblica accusa e la Nigeria, in qualità di parte civile hanno
presentato un atto di appello, che si svolgerà nel corso del 2022. Inoltre
non è escluso che la sentenza di appello possa essere a sua volta
impugnata, per motivi di legittimità, avanti alla Suprema Corte di
Cassazione. L’insussistenza del fatto contestato è stata verificata in via
definitiva solamente per quel che riguarda le azioni dei due intermediari
nell’affare Opl245, che sono stati assolti in via definitiva nell’ambito di
un rito abbreviato. È singolare che il direttore dell’ufficio legale di una
delle più importanti multinazionali italiane, per altro partecipate dallo
Stato, continui a fare affermazioni profondamente errate, che appaiono
altresì irrispettose della Corte di Appello di Milano e delle magistrature
superiori che potranno essere eventualmente chiamate a decidere sui
medesimi fatti. Anche su questo comportamento riteniamo che i vertici della
società dovrebbero aprire un’indagine interna e prendere provvedimenti
adeguati a tutela della reputazione dell’Eni, proprio perché assolta in
primo grado così come i suoi manager.
2. La
richiesta di ReCommon di essere riconosciuta come parte civile al
procedimento di Milano, in qualità di denunciante da cui è partita
l’indagine sull’Opl245, è stata rigettata dal Tribunale non per una
generica mancanza di legittimazione dell’associazione. Il tribunale ha
ritenuto che ReCommon non avesse un fine statutario esclusivamente centrato
sulla lotta alla corruzione. ReCommon ritiene grave che in Italia, tranne
rarissimi casi, fino ad oggi nessuna organizzazione della società civile è
stata riconosciuta parte civile in processi penali sui reati economici e
finanziari dai tribunali italiani, ed in particolare in nessun caso per
quanto riguarda il reato di corruzione internazionale.
È
difficile su queste basi pretendere che i cittadini e la società civile
organizzata contribuiscano attivamente alla lotta alla corruzione, fenomeno
endemico nel nostro paese come certificato da anni dall’Unione Europea, se
i tribunali italiani adottano un approccio così restrittivo per la
legittimazione della parti civili in tali reati, per altro in violazione
dello spirito e della lettera della Convenzione contro la Corruzione delle
Nazioni Unite di cui l’Italia è firmataria e Parte.
In ogni
caso ReCommon ritiene che è stato un suo diritto richiedere di essere parte
civile al processo di Milano e difende tale scelta a fronte delle accuse
denigratorie da parte del direttore dell’ufficio legale di Eni.
3.
ReCommon prende atto del fatto che l’avv. Speroni come direttore
dell’ufficio legale di Eni accusa il Dott. Andrea Peruzy, nel 2014
segretario generale della Fondazione Italiani Europei il cui Presidente è
l’On. Massimo D’Alema, ritenendo che tutti i partecipanti all’incontro
oggetto della trasmissione di Report (Piero Amara, ex avvocato esterno dei
manager di Eni, Vincenzo Armanna, ex dipendente Eni, e Paolo Quinto, allora
capo segreteria dell’On. Anna Finocchiaro) agissero perseguendo fini di
lucro personale, eventualmente a danno di Eni.
4.
ReCommon conferma che, proprio per i motivi esposti da Eni alla RAI, nel
video in oggetto ci sono riferimenti a questioni che, a prescindere dal
profilo penale, di sicuro pongono un problema di reputazione per il
funzionamento dell’azienda, poiché nel video Andrea Peruzy defininsce Piero
Amara, allora importante avvocato dei manager di Eni, come “sensore”
all’interno dell’azienda a beneficio dello stesso Peruzy, Armanna e Quinto
riguardo ad un affare di Eni in Nigeria – definito nel corso dell’incontro
del valore di quattro miliardi di dollari – che i sodali dell’incontro
avrebbero perseguito dall’esterno dell’azienda con fini di lucro personale.
Si fa presente che il rapporto tra alcuni manager di Eni, anche in
posizione apicale nell’azienda, e l’avv. Amara si è interrotto solo dopo
alcuni anni dall’accaduto. Ciò rende legittimo chiedersi quanto solido sia
stato il meccanismo di controllo interno per prevenire tali interferenze di
soggetti esterni all’interno degli affari della società e tale questione
pone un indubbio rischio di reputazione per la società.
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