1.
Come recita nelle sue prime righe, La Carta di Genova – La scuola delle Regioni è un atto programmatico
elaborato nell’ambito del Convegno Nazionale sulla Riforma dell’Orientamento
svoltosi a Genova durante il Salone Orientamenti 2021 (4 dicembre). Il
documento descrive gli indirizzi nazionali per la programmazione e l’attuazione
di misure di orientamento nei confronti di percorsi di istruzione e formazione
e al lavoro. Lo scopo è «offrire un quadro comune per le iniziative che
verranno intraprese da tutti i soggetti che operano sui territori regionali
garantendo coesione ed unitarietà nella definizione di obiettivi comuni». A ben
vedere, il documento si suddivide in due parti: la prima è praticamente
un’elencazione di proposte di orientamento, gestite dalle Regioni e rivolte
alle scuole; la seconda consiste invece nell’abbozzo di una specie di filtro
post-diploma, affidato de facto direttamente alle aziende. In
entrambi i casi si tratta di un insieme di provvedimenti presi per «l’accesso e
la gestione efficace dei fondi del programma Next Generation Eu» (p. 2).
L’elemento centrale, corrispondente alla preoccupazione di non perdere anche
questa volta i soldi della UE, è quel riferimento al “quadro comune” in cui
tutti stiano, allineati e coperti, all’interno dei paletti imposti dalla
burocrazia europea. C’è però una sostanziale differenza fra la prima e la
seconda parte del documento, ascrivibile alla diversa storia, e quindi alla
diversa identità, delle due istituzioni coinvolte: clientelare la prima, le
Regioni, e produttivistica la seconda, le Associazioni del mondo della
produzione. Con l’istituzione scolastica che in entrambi i casi appare sempre
più bistrattata ed esclusa dai luoghi in cui pure si discute del suo destino.
2.
Per quanto riguarda l’orientamento, è prevista
innanzitutto tutta una serie di azioni, finanziate e guidate dalle Regioni,
alcune delle quali non sostanzialmente dissimili da quelle degli anni scorsi:
saloni dell’orientamento; incontri con testimoni del mondo del lavoro; visite
alle imprese etc. A queste però si affiancano azioni imperniate sulla presenza
della figura dell’orientatore che, nelle secondarie, dovrebbe svolgere azioni
di individuazione, segmentazione e individualizzazione delle vocazioni; e prima
ancora, nelle primarie, azioni di aiuto «alla conoscenza ed alla
rappresentazione di sé, nonché all’acquisizione della capacità di scegliere e
allo sviluppo della curiosità e della volontà di apprendere» (p. 5) da parte
dei bambini. In entrambi i casi, come vedremo, la guida di questi interventi
sarebbe nelle mani delle aziende. Infine è prevista la riformulazione dei
programmi di alternanza scuola-lavoro che diventano PCTO, cioè Percorsi per le
Competenze Trasversali e per l’Orientamento. Questi dovranno operare in
collaborazione con le Fondazioni ITS, cioè con gli Istituti Tecnici Superiori
che vanno diffondendosi in tutta Italia sotto l’ombrello delle grandi aziende.
3.
La vera novità del documento di Genova è la
istituzione di un luogo di filtro post-diploma, direttamente affidato alle
aziende tramite i tecnici ITS. Filtro che mira a impartire «formazione
orientativa […] al personale docente e agli orientatori che vogliano sviluppare
delle competenze relative all’utilizzo di nuove metodologie didattiche e di
software specifici per lo sviluppo della didattica orientativa. In particolare
le proposte formative verteranno: per i docenti delle primarie sui metodi
innovativi di insegnamento, per le secondarie di 1° grado su orientamento e
conoscenza dei percorsi successivi per attitudini e contesto territoriale, per
secondarie di 2° grado sull’orientamento verso ITS e inserimento al lavoro
oltre a quello universitario». Si tratterebbe di una compartimentazione che
partirebbe dalle elementari, proseguirebbe nelle medie inferiori e superiori, e
si concluderebbe con un filtro, gestito direttamente dalle imprese, alla fine
dell’adolescenza. Questo filtro condurrebbe ad una delle seguenti opzioni:
direttamente al lavoro meno qualificato; all’iscrizione negli Istituti Tecnici
Superiori, riconosciuti e finanziati dallo Stato, ma gestiti direttamente dalle
aziende, in grado di rilasciare diplomi europei (EQF) di V° o di VI° livello e,
almeno nella propaganda, capaci di garantire occupazione stabile; oppure all’università,
anch’essa presumibilmente ridotta a logiche aziendalistiche, e sulla quale in
ogni caso non si dice nulla.
4.
Per dirla con Totò, si tratterebbe di un lavoro di
«alloggio, vitto, lavatura, imbiancatura e stiratura», affidato agli ITS, cioè
alle aziende, che in questo modo si assicurano non solo un numero rilevante di
fondi “per la scuola”, ma soprattutto la funzione di guida delle iniziative di
orientamento a tutti i livelli. Una funzione a partire dalla quale l’ITS
pretende anche di dettar legge sul piano della didattica, e che appare
sovraordinato e autonomo rispetto sia a quello tradizionalmente affidato alle
Regioni, sia alla scuola, che da soggetto diventa sempre più oggetto, sul cui
corpo si fanno sperimentazioni aziendalistiche, a partire dalle elementari. Si
tratta di un lavoro che probabilmente non sarà mai attuato in maniera così
rigida, e che è stato approntato così per minimizzare il solito fenomeno del
mancato utilizzo dei fondi europei. Un “lavoro” però che ugualmente va
analizzato nei suoi contenuti di fondo, poiché è in essi che si manifesta
l’idea che vanno accarezzando i nostri padroni del vapore, e i politici che li
rappresentano. È la rappresentazione di un’Italia schiacciata sul presente, che
non riesce, e probabilmente neanche vuole guardare al di là del proprio naso.
La scuola così ridotta fa venire in mente la divaricazione che negli anni ’50
del secolo scorso c’era a 10-11 anni fra ammissione alla scuola media,
frequenza della scuola professionale o avvio precoce al lavoro. Solo che oggi
il filtro non viene fatto all’inizio dell’adolescenza, ma alla fine, prendendo
ciò che interessa aziendalmente e che le scremature fatte fin dalle elementari
(attraverso «nuove metodologie didattiche e software specifici»!!) hanno
via via evidenziato, almeno agli occhi di questi moderni “caporali”. E
lasciando il resto alla ventura.
5.
Già nel 1975, Claus Offe poneva in evidenza
l’impossibilità dello Stato, nel capitalismo maturo, di avviare una politica
dell’educazione in grado di pianificare un insegnamento che risultasse
utile per le generazioni future. E ciò per l’incapacità di prevedere
l’evoluzione tecnologica nel medio termine, e di conseguenza di approntare per
tempo le cognizioni capaci di governarla. Ma anche per l’impossibilità di autorizzare
una politica dell’educazione basata sull’apprendimento delle metacognizioni,
cioè sull’unico apprendimento in grado di fornire alla generazione emergente
quella duttilità che avrebbe potuto metterla in grado di affrontare
adeguatamente qualsiasi innovazione tecnologica. Questo tipo di apprendimento,
coniugato alla duttilità, avrebbe infatti permesso alla nuova generazione lo
sviluppo di un pensiero critico potenzialmente sovversivo. Ebbene, dopo quasi
40 anni, il nostro italianissimo e decrepito Stato si lava le mani tanto del
futuro quanto del presente dei nostri figli meno qualificati, così come dei
nostri migranti intellettuali. E mira a far cassa (magari svendendo il
patrimonio accumulato in tempi migliori) e, come auspica Cingolani, a rifornirsi
di digital manager, nella vana speranza che ciò basti ad
affrontare le vere sfide che il futuro ci riserva.
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