venerdì 28 agosto 2020

2058 - Paolo Cacciari

 

Caro mio nipotino, ti scrivo una letterina che vorrei tu leggessi nel 2058, scadenza entro la quale i debiti dello storico Recovery Fund europeo da 270 miliardi di euro dovranno essere rimborsati. Allora io non ci sarò più. Tu invece avrai quarant’anni e sarai in piena attività e carico delle esigenze che la vita richiede. Stando alle previsioni scientifiche più attendibili e realistiche, il mondo attorno a te avrà seri problemi: la temperatura media globale sarà superiore di un altro grado centigrado, il manto ghiacciato artico, gran parte del permafrost e delle foreste primarie saranno scomparsi, un miliardo e mezzo di esseri umani si troverà ad abitare in aree la cui vita è impossibile, la distruzione degli habitat delle specie selvatiche avranno creato le condizioni per nuove epidemie di agenti patogeni. Altre crisi ecologiche minacceranno la “rete della vita” e, con essa, le stesse condizioni per una convivenza pacifica dell’umanità. Ti chiederai allora come tutto ciò – ampiamente pronosticato – sia potuto accadere senza che venissero prese misure efficaci di contrasto.

Mi preme quindi metterti in guardia da alcune possibili falsità che le autorità politiche del tuo tempo potrebbero raccontare a proposito della disastrosa pandemia che ha investito il mondo nel 2020, considerato l’anno della storica svolta nelle politiche economiche, transitate da un rozzo monetarismo di stampo neoliberista ad un “ambizioso” piano di spesa pubblica in deficit di stampo keynesiano. Il piano fu chiamato “Next Generartion Eu” a sancire enfaticamente l’intenzione di agire in nome, per conto e per il benessere delle future generazioni, cioè tuo. Un piano che avrebbe dovuto facilitare una “transizione verde e giusta” del sistema economico, causa prima dei disastri ecologici e sanitari in atto.

L’iniziativa però non avrebbe potuto funzionare, principalmente, per due ragioni. Perché i finanziamenti pubblici, le agevolazioni, gli incentivi, le defiscalizzazioni… vennero usati per espandere un consumo di merci e la costruzione di infrastrutture prive di autentica utilità, spesso dannose per la salute e pesantemente impattanti sull’ambiente. Le “condizionalità green” (non parliamo nemmeno del rispetto dei diritti civili e umani, non pervenuti) richieste dalla Ue agli stati per accedere ai finanziamenti sono rimaste evanescenti, buone tutt’al più per il marketing aziendale dell’automobile, dell’agroindustria, degli smartphone, della moda, persino degli armamenti. Secondo, perché i finanziamenti pubblici sono stati reperiti ricorrendo ai mercati dei capitali con l’emissione di bond europei a “tripla A”, super garantiti dalle Banche centrali per fare la felicità e la fortuna degli “investitori” che durante la lunga austerity avevano accumulato liquidità enormi (da rendite e da profitti) che non sapevano più come “mettere a profitto” in un mercato saturo. Per contro, non venne realizzata nessuna vera politica fiscale e patrimoniale redistributiva e nessun serio divieto all’uso esclusivo di risorse naturali limitate e non rinnovabili come il suolo, l’acqua, l’atmosfera, l’etere, i semi… e dei beni comuni cognitivi, storici e culturali. Più che alle nuove generazioni e all’ambiente naturale, il Recovery Fund è servito a rianimare i consumi meccanismi produttivi espansivi e le vecchie logiche di valorizzazione dei capitali finanziari privati, procrastinando l’agonia di un sistema economico in crisi permanente che trascina con sé la distruzione dei cicli vitali naturali e depriva l’umanità.

Tuo nonno Paolo, agosto 2020


Nota. Confesso di essere molto invidioso di Keynes che scriveva ai suoi nipoti – avrei potuto essere uno di loro – in modo del tutto diverso dal mio. Sir John Maynard nelle sue profezie e esortazioni prospettava un futuro radioso, in cui le magnifiche sorti del capitalismo avrebbero soddisfatto ogni bisogno materiale dei popoli della Terra e ridotto di molto ed equamente il tempo di lavoro necessario alla sussistenza. Una tragica illusione, in una logica di sistema perversa, dell’economia del debito globalizzato, in cui la ricerca della massimizzazione della crescita del valore monetario dei beni e dei servizi non può che condurre alla crescita dello sfruttamento dei suoi “fattori produttivi”: le risorse naturali e il lavoro vivo umano.

da qui

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