(ripreso da ilpost.it)
Le Monde racconta come molte aziende e istituzioni preferiscano non parlare
di come – in modo diretto o indiretto – fecero fortuna con la tratta degli
schiavi
La tratta degli schiavi tra il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo non ha
lasciato solo statue o edifici nelle città europee dei paesi che vi hanno preso
parte: ha portato anche alla fondazione e alla fortuna di varie aziende e
istituzioni. Lo scorso giugno, dopo che il movimento Black Lives Matter ha ripreso forza
in tutto il mondo a partire dagli Stati Uniti, la Royal Bank of Scotland, la
Lloyds Bank, la Banca d’Inghilterra e persino il birrificio Greene King, tra
gli altri, hanno riconosciuto i loro legami con
la schiavitù, si sono scusate e alcune hanno anche promesso dei risarcimenti.
In Francia, a differenza del Regno Unito, il passato schiavista di certe
aziende e istituzioni del paese non è mai stato riconosciuto.
La Francia, così come il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Spagna e il
Portogallo, sono tra i principali stati europei ad aver praticato il cosiddetto
“commercio triangolare”, uno dei più grandi traffici sviluppatisi nelle acque
dell’oceano Atlantico tra il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo e avente come
poli tre continenti: Europa, Africa e America. La prima tappa prevedeva il
passaggio dall’Europa all’Africa, dove i prodotti europei venivano
barattate in cambio di persone. Dall’Africa, gli schiavi venivano poi
trasportati e venduti in America, mentre la terza tappa prevedeva il ritorno
delle navi in Europa, con le stive cariche di altri prodotti come caffè e
cotone. È stato calcolato che la Tratta Atlantica portò alla deportazione di
più di 12 milioni di persone. La navi francesi partivano soprattutto dai porti
di Nantes e di Bordeux per poi arrivare nelle colonie come Haiti, Santo
Domingo, la Martinica, la Guyana o le Antille.
La Francia abolì la schiavitù una prima volta nel 1794, poi nel 1802 Napoleone la reintrodusse e l’abolizione definitiva arrivò nel 1848. Il passato coloniale francese, così come negli altri paesi europei, è comunque molto presente e visibile: basti pensare che il palazzo dell’Eliseo a Parigi, residenza ufficiale del presidente della Repubblica, venne costruito nel 1720 grazie ai finanziamenti di Antoine Crozat, proprietario di una delle più importanti società del commercio triangolare. Sulla schiavitù vennero fatte anche grandi fortune, la cui storia in Francia è però meno conosciuta o indagata che altrove (in una rimozione non così diversa da quella che riguarda il brutale colonialismo italiano).
Qualche giorno fa Le Monde ha pubblicato un articolo in cui ha
raccontato la storia di alcune società e istituzioni coinvolte più o meno
direttamente nella tratta degli schiavi, o la cui prosperità si è basata sulla
riscossione delle compensazioni finanziarie pagate ai proprietari di schiavi
dopo l’abolizione della schiavitù.
L’articolo cita per esempio Jacob du Pan, colono di Santo Domingo che
arrivò in Francia poco dopo che l’isola dichiarò l’indipendenza, nel 1804, e
che grazie alle ricchezze fatte con le piantagioni di canna da zucchero
partecipò alla fondazione, nel 1816, della Compagnie dʼassurances mutuelles
contre lʼincendie de Paris. Questa compagnia, dopo vari passaggi, alla fine
degli anni Ottanta entrò a far parte del gruppo Axa, che la riconosce
esplicitamente come la propria prima antenata diretta. Le Monde ha
poi parlato dello storico Anisette, un liquore prodotto da Marie Brizard e dato
in cambio di schiavi. Tra i commercianti che contribuirono a fondare la Banca
di Francia, scrive sempre Le Monde, ce n’erano alcuni che si sono
arricchiti con la tratta di schiavi, così come fu – fino al 1883 – la Caisse
des dépôts (Cassa dei depositi) a gestire il cosiddetto
“debito di indipendenza” di Haiti, il risarcimento finanziario che dopo
l’indipendenza, appunto, il paese dovette versare ai coloni.
Nei confronti di questo passato, però, scrive Le Monde, c’è
molta reticenza. Le società interessate dicono cose ovvie: e cioè che le loro
attività attuali non hanno nulla a che fare con quel passato. Temono la
pubblicità negativa che porterebbe qualsiasi associazione del loro nome con
questa storia. Alcune per lo stesso motivo faticano anche a contribuire alla
Fondazione per la memoria della schiavitù. Questo occultamento non può però
continuare, scrive Le Monde in un editoriale: «Perché le aziende che
ora accettano la loro responsabilità sociale e ambientale non dovrebbero
assumersi la loro responsabilità storica? (…) Nessuna delle borse di studio
concesse dalla Banque de France o dalla Caisse des Dépôts, la cui storia si
interseca tuttavia con quella della schiavitù, è dedicata alla tratta degli
schiavi. Legate allo Stato, queste istituzioni dovrebbero dare l’esempio».
Il Conseil Représentatif des Associations Noires (CRAN) ha fatto della
questione dei risarcimenti economici la propria battaglia principale, ma il
punto centrale, secondo molti, non è tanto quello di ottenere dei risarcimenti
tra l’altro difficilmente calcolabili, ma non ignorare che lo schiavismo è
stato centrale nella costruzione del capitalismo francese. La riparazione deve
dunque passare attraverso la conoscenza e la trasparenza, la promozione della
ricerca, di un’educazione antirazzista e la costruzione di una memoria
collettiva onesta.
Nel 2018, una serie di associazioni antirazziste chiesero al presidente
Emmanuel Macron di rinnovare l’impegno già preso dal suo predecessore François
Hollande di creare un memoriale e museo storico della schiavitù a Parigi.
Macron, dopo aver riaffermato gli orrori del passato ma esaltando la Francia
per la sua doppia abolizione, accettò la proposta di costruire un memoriale ma
rifiutò quella di un museo.
Nessun commento:
Posta un commento