lunedì 3 agosto 2020

domande su Mario Paciolla

Sei domande per il Segretario Generale dell’ONU Antonio Gutérres su Mario Paciolla

Al Segretario Generale dell’ONU, Sua Eccellenza Antonio Gutérres,
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mi chiamo Gennaro Carotenuto e sono un docente universitario italiano, impegnato da sempre nello studio e nella difesa dei diritti umani in America latina. Dal 15 luglio 2020 sono sommamente colpito dalla morte del membro della vostra missione di pace in Colombia, Mario Paciolla, e preoccupato dai mille dubbi che si addensano sulla sua morte. Sono passati 18 giorni, un tempo già troppo lungo, senza sapere nulla di concreto sulla sua fine. Tristemente, molti di questi dubbi riguardano le Nazioni Unite e il suo personale sul campo, e non mi resta che chiedere a lei, nella sua riconosciuta autorità, di chiarirli:
1.      Cosa ha fatto esattamente il Capo della sicurezza della Missione, Christian Thompson, di fronte alla richiesta di aiuto di Mario Paciolla, appena quattro ore prima della sua morte il 15 luglio? Ha risposto alla chiamata? Si è coordinato con i suoi superiori? Si è attivato in prima persona o ha inviato suoi sottoposti? Chi delle NU è materialmente intervenuto sul posto? Cosa ha materialmente fatto l’ONU, nei molti giorni nei quali Paciolla ha espresso timori per la sua vita, per garantirne la sicurezza? È lecita la domanda: “Mario è stato lasciato solo dall’ONU nelle mani dei suoi aguzzini?”
2.      Ha sollevato dubbi nell’opinione pubblica, il corposo curriculum nel campo della sicurezza di Thompson stesso, con multiple esperienze in entità private che possono profilarsi come controparte rispetto agli scopi di pace della missione ONU. A tali dubbi l’unica risposta è stata la fragorosa rimozione del CV di Thompson da Linkedin. Era Christian Thompson la persona adeguata ad assicurare la sicurezza di Mario Paciolla e degli altri componenti della Missione?
3.      La Fiscalia Generale della Colombia accusa la polizia colombiana (SIJIN) di aver permesso alla sicurezza delle Nazioni Unite (SIU) di inquinare il luogo del crimine, rimuovere le pertinenze di Mario Paciolla e riconsegnare l’appartamento dove viveva ed è morto al proprietario, rendendo impossibili accertamenti fondamentali. Varie fonti avanzano dubbi sulla completezza della lista delle pertinenze di Mario Paciolla consegnata alla famiglia, dalla quale mancherebbero alcuni device digitali. Come è possibile tutto ciò?
4.      Come mai a 18 giorni dalla morte di Mario Paciolla, dall’ONU non è venuto nulla che potesse chiarire i fatti e a tutti gli elementi impegnati sarebbe stato chiesto di rimanere nel più stretto riserbo? Non è inoltre venuto nulla che potesse fugare i molti dubbi sull’operato stesso della Missione. Quale era la natura del conflitto intercorso tra Paciolla e i vertici della Missione, e che autorizza a pensare che il cittadino italiano volesse denunciare dei crimini commessi all’interno della missione stessa? Ritiene che sia utile per l’ONU farsi scudo dietro l’immunità diplomatica piuttosto che rispondere a una necessità di trasparenza?
5.      L’opinione pubblica attende ormai da troppo tempo notizie sul risultato delle due autopsie effettuate sul corpo dello sventurato Paciolla, un elemento basilare di trasparenza. Può chiarire il ruolo di Jaime Hernán Pedraza, il medico incaricato dall’ONU di presenziare alla prima autopsia sul corpo di Mario Paciolla e in che modo si è relazionato e coordinato con l’Ambasciata italiana e con la famiglia del vostro funzionario? Risponde al vero che abbia indotto la famiglia Paciolla a credere che fosse delegato dall’Ambasciata italiana, ma che così non fosse?
6.      Oltre ai dubbi specifici sul comportamento ed eventuali responsabilità penali, che speriamo siano accertate in sede legale, la famiglia Paciolla accusa l’ONU di una sostanziale indifferenza e disumanità per la morte del loro congiunto. Non pensa che anche il suo silenzio contribuisca a rendere più tenebroso un caso nel quale l’ONU non può che essere schierata per la Verità e la Giustizia per Mario Paciolla? Non pensa sia ormai ineludibile far sentire la sua voce?
Sottopongo queste domande a lei, certo che possa contribuire a chiarire i dubbi su di un caso che, oltre alla irreparabile morte di Mario Paciolla, sta creando un grande allarme in quanti nel mondo hanno a cuore la difesa dei diritti umani,
Distinti Saluti
Prof. Gennaro Carotenuto



Verità e giustizia per Mario - Lorena Cotza


“Continuiamo a lottare, affinché quello che è stato e quello per cui ha lottato Mario non si perda”.
“Insieme a lui continueremo a impegnarci affinché i suoi sogni di giustizia e libertà possano essere, un giorno non molto lontano, la coperta che ci scalda, lo specchio in cui ci guardiamo.”
“Ci hanno privato di un amico meraviglioso, ma non potranno privarci dei nostri ricordi. Hasta siempre, Mario. Ci verimm’ a Napule.”
Da ogni angolo della Colombia e dell’Italia arrivano messaggi, appellipoesiedisegni per ricordare Mario Paciolla, l’operatore delle Nazioni Unite trovato morto lo scorso 15 luglio nella sua casa di San Vicente del Caguán, alle porte dell’Amazzonia colombiana. A gran voce si chiede verità e giustizia, perché diversi elementi portano a scartare l’ipotesi di suicidio avanzata dalla polizia colombiana.
Mario Paciolla, 33enne di Napoli, viveva in Colombia dal 2016. Dopo due anni come volontario per l’organizzazione non-governativa Peace Brigades International (PBI), dall’agosto 2018 collaborava con la Missione delle Nazioni Unite sulla verifica degli accordi di pace tra il governo e le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). Una missione delicata, in una regione martoriata da oltre 50 anni di guerra civile e dove la pace continua a essere una promessa lontana.
Il 20 luglio, Mario sarebbe dovuto tornare a Napoli. Come scrive sulla rivista colombiana El Espectador la sua amica giornalista e attivista Claudia Julieta Duque, era pronto a “bagnarsi nelle acque del Tirreno, per ripulirsi da tutto lo sporco che aveva macchiato le sue ultime settimane”. Ma a tornare –  con un volo atterrato a Roma il 24 luglio – è stato invece il suo corpo senza vita, accolto dal dolore e dalla rabbia della famiglia e degli amici.

Le indagini

In attesa del risultato delle due autopsie, quella condotta dalla polizia colombiana e quella della polizia giudiziaria italiana, le autorità e gli avvocati che seguono il caso stanno mantenendo il massimo riserbo.
Il corpo di Mario Paciolla è stato ritrovato senza vita la mattina del 15 luglio (19.40 ora italiana) da una sua amica e collega, che non vedendolo arrivare in ufficio, si era preoccupata ed era andata a cercarlo a casa. L’ultima connessione su Whatsapp risale alla sera prima, alle 22.45 ora locale, e il certificato di morte indica che il decesso è avvenuto intorno alle 2, ma ciò che è successo quella notte è ancora da chiarire.
La polizia locale ha inizialmente riferito che Mario era stato ritrovato impiccato e con ferite di arma da taglio in varie parti del corpo, ipotizzando un suicidio. L’indagine è ora coordinata dalla vice-procuratrice generale Martha Mancera che – secondo quanto riporta l’Ansa – ha affermato di stare “esplorando tutte le ipotesi” e di aver dato massima priorità a questo caso. Parallelamente, anche le Nazioni Unite hanno avviato una propria indagine interna, lavorando da vicino con la procura colombiana e con l’ambasciata italiana a Bogotà.
L’ipotesi del suicidio è stata immediatamente scartata da chi conosceva Mario e il difficile contesto in cui lavorava. In un’intervista a Repubblica, la madre ha detto: “Vogliamo la verità. Nostro figlio era impaurito, molto. Non mi rassegno alla scena del suicidio di mio figlio in Colombia. Lo Stato italiano deve ascoltarci, deve aiutarci a scoprire la verità. (…) Non è possibile che il nostro Mario, un brillantissimo viaggiatore del mondo e osservatore dell’Onu, si sia tolto la vita”.
A rifiutare in maniera categorica questa ipotesi è anche la giornalista investigativa Claudia Julieta Duque, che aveva avuto modo di stringere amicizia con Mario quando il giovane faceva il volontario per l’ONG PBI, organizzazione che accompagna difensori e difensore dei diritti umani a rischio in zone di conflitto. Duque, una delle attiviste accompagnate da PBI, è da anni sotto costante minaccia, presa di mira dai servizi segreti colombiani da quando aveva iniziato a investigare sull’omicidio di un giornalista nel 2001.
“L’ipotesi del suicidio è inverosimile per chi conosce la tua vitalità, il tuo sorriso, e le tue critiche verso la Missione Onu”, scrive Duque rivolgendosi all’amico. “Il tuo amore verso la vita si contraddice con l’idea che possa aver scelto di suicidarti in un luogo così lontano dai tuoi amici, dalla tua famiglia, dagli affetti e da Napoli, la terra della tua anima”.
Secondo quanto riportano Duque e altri media, nelle ultime settimane Mario avrebbe confidato alla madre e agli amici di essere seriamente preoccupato. Il 10 luglio aveva avuto un’accesa discussione con i suoi capi, si sentiva “disgustato” e aveva detto di non sentirsi al sicuro, tanto da aver rafforzato le misure di sicurezza nella propria abitazione. Il contratto di Mario sarebbe scaduto il 20 agosto, ma aveva deciso di anticipare il viaggio. Proprio il 15 luglio, giorno in cui è stato trovato morto, sarebbe dovuto andare a Bogotà per iniziare le pratiche per il viaggio di ritorno.

Mario Paciolla, sognatore

Sognatore, militante, attivista, poeta, artista, giornalista. Così viene descritto Mario Paciolla da chi l’ha conosciuto. Sotto anonimato per ragioni di sicurezza, una sua amica dalla Colombia lo ricorda così a Valigia Blu:
“È la determinazione e la lealtà che hai dimostrato nel difendere ciò che ti sembrava giusto che mi viene in mente quando ripenso a te. Ti vedo ancora impegnato in una di quelle discussioni appassionate che ti sono sempre piaciute tanto e che costringevano chi ti stava vicino a interrogarsi e a ripensare alle proprie certezze. Parlavi sempre di tutto con profondità e sincerità; leggevi, ascoltavi, osservavi e riflettevi, perché più di ogni altra cosa cercavi di capire. Hai voluto capire fino in fondo la violenza, capire questo conflitto che infuria da tanti anni, per sostenere nel modo più appropriato gli sforzi di pace in cui credevi. E lo stavi facendo in modo brillante. Il tuo impegno e il tuo idealismo sono stati la tua più grande forza, perché ti hanno impedito di arrenderti anche quando gli altri non ci credevano più. Sei stato instancabilmente con chi cercava la verità, con chi lottava per la giustizia, con chi consegnava le armi e si impegnava a invertire il corso della violenza. E tutto questo con un’umiltà di cui pochi sarebbero capaci. Mario, tu che irradiavi tanta vitalità, non ti saresti mai suicidato, non avresti mai rinunciato a tutto ciò in cui credevi. Puoi essere certo che continueremo a lottare per questo paese che avevi tanto amato, spinti dal ricordo ardente della bellezza e della poesia che segnava ogni tua battaglia”.
Come scrivono gli amici e le amiche nella pagina Facebook “Giustizia per Mario Paciolla”, Mario era un “cittadino del Mondo e con un cuore enorme. Sempre disponibile per gli altri ed impegnato nella quotidiana missione di aiutare chi ha avuto meno fortuna nella vita”. 
Laureato in Scienze politiche all’Orientale di Napoli, Mario Paciolla lavorava da anni all’estero e aveva vissuto in India, Giordania e Argentina prima di trasferirsi in Colombia. Dal 2018, all’interno della Missione Onu, Mario si occupava di un programma di reinserimento sociale per ex-guerriglieri, partecipava spesso a incontri con le autorità locali, e con il suo lavoro di monitoraggio sul campo contribuiva alla stesura dei report della Missione. Tra i vari progetti seguiti, quello di “Remare per la pace”, con cui aveva portato un gruppo di ex-guerriglieri a una gara mondiale di rafting in Australia. 

Gli Accordi di pace tra il governo colombiano e le Farc

Gli Accordi di pace tra il governo colombiano e le Farc sono stati ratificati nel novembre 2016, sotto il governo di Juan Manuel Santos, dopo lunghe e difficili trattative. La firma ha posto ufficialmente fine a una brutale guerra civile durata 52 anni e che ha causato più di 260mila vittime, oltre a 80mila desaparecidos i cui cadaveri non sono mai stati rinvenuti e milioni di sfollati interni che hanno perso la propria casa a causa del conflitto.
Ma si tratta di una pace fragile, che esiste solo sulla carta e che tarda a diventare realtà. Le autorità colombiane infatti – per incapacità, mancanza di volontà politica, o spesso per complicità – non riescono a controllare e pacificare il paese, dove il vero potere sta nelle mani di una complessa rete di paramilitari, narcotrafficanti, organizzazioni criminali, gruppi armati legali e illegali, guerriglieri, imprenditori e politici collusi. Sono questi gruppi, con alleanze spesso mutevoli, a controllare la produzione e il traffico di cocaina, schizzato alle stelle in seguito alla firma degli Accordi, il traffico di armi, e lo sfruttamento delle risorse naturali come minerali preziosi, legname e petrolio.


A farne le spese sono la popolazione civile e soprattutto quelle persone considerate “scomode”: sindacalisti, leader indigeni, campesinos, attivisti e attiviste per i diritti umani. Secondo l’ultimo report pubblicato dall’Istituto di Studi per lo Sviluppo e la Pace (Indepaz), dalla firma degli Accordi di pace al luglio 2020 sono stati assassinati 971 difensori e difensore dei diritti umani. Di questi, 95 sono stati uccisi dall’inizio della pandemia. Come denunciano le ONG che si occupano di diritti umani, gli attivisti – obbligati a restare soli e confinati nelle proprie case – sono infatti divenuti un bersaglio ancora più facile. 
Nell’ultimo rapporto sulla Colombia dell’ex-Relatore Speciale dell’ONU, Michel Forst, pubblicato nel 2019, si legge che “la maggioranza dei difensori e delle difensore dei diritti umani è in pericolo”. Tra le cause strutturali di questi attacchi, si citano la mancanza di volontà politica e di finanziamenti per l’attuazione dell’accordo di pace, l’aumento della violenza perpetrata da gruppi armati legali e illegali, e l’altissimo livello di impunità. 
Come spiega un report a cura di alcune ONG italiane che fanno parte della rete “In Difesa Di, per i diritti umani e chi li difende”, la situazione è ulteriormente peggiorata sotto la presidenza di Iván Duque, eletto nel 2018. Mancano i fondi per l’implementazione degli Accordi, ma soprattutto manca la volontà politica: non è un caso che Duque abbia nominato come direttore del Centro nazionale per la memoria storica Darío Acevedo, uno storico negazionista del conflitto armato interno colombiano, e che abbia fatto entrare nella squadra di governo diversi generali coinvolti in gravi violazioni dei diritti umani.
Come si legge nel report, nei territori lasciati liberi dalle Farc sono avanzati rapidamente gruppi di paramilitari e di narcotrafficanti. I paramilitari di estrema destra, che secondo i dati del Centro Nazionale per la Memoria Storica sono stati i responsabili della maggior parte dei crimini perpetrati durante la guerra civile, non sono mai stati smobilitati.
“Appare sempre più evidente la mancanza di volontà politica per portare pace nel paese”, dice a Valigia Blu Monica Puto, referente per la Colombia di Operazione Colomba. “L’Accordo di pace, uno tra i più belli scritti sulla carta nella storia dell’umanità – è stato ridotto in briciole, a cominciare dai punti fondamentali come la riforma agraria o lo smantellamento dei gruppi paramilitari. Il governo continua a negarne l’esistenza. Ma in qualunque modo li vogliamo chiamare – neoparamilitari o Bacrim [ndr, acronimo per bande criminali emergenti] – quello che è certo è che ogni angolo della Colombia è stato occupato da questi gruppi non appena si sono ritirate le Farc e sono quotidiani gli scontri armati, gli omicidi, le vittime tra i civili, le violenze”.
Inoltre si sono arenati i negoziati con l’altro gruppo armato ribelle, l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e anche la smobilitazione delle Farc procede con difficoltà. La maggior parte dei guerriglieri ha accettato di lasciare le armi, permettendo la trasformazione delle Farc in un partito politico, con lo stesso nome ma il cui acronimo sta oggi per Forza Alternativa Rivoluzionaria del Comune. Tuttavia alcuni gruppi di dissidenti, attivi in particolar modo nel dipartimento di Caquetá dove viveva Mario Paciolla, non hanno mai accettato gli Accordi.
La lotta contro i guerriglieri inoltre è spesso divenuta pretesto per ulteriori violazioni dei diritti umani. Nell’agosto 2019, nelle campagne intorno a San Vicente del Caguán il governo autorizzò un’operazione militare contro l’accampamento di un fronte dissidente delle Farc. Nell’attacco,  definito “operazione impeccabile” dal presidente Iván Duque, morirono 18 minori. Secondo il sito Colombia Reports, dal 2016 sono stati uccisi 219 ex-combattenti che avevano deposto le armi. 
La giornalista Duque scrive che Mario Paciolla, che aveva seguito da vicino la vicenda, aveva espresso la sua indignazione, “per un’organizzazione che nel suo report del 2019 aveva dedicato solo un paragrafo di sei righe a un bombardamento militare in cui erano morti 18 bambini e bambine reclutati dai dissidenti delle Farc”.
E aggiunge Duque, rivolgendosi a Mario: “So che ti disturbava il tono delicato dei report dell’ONU, la complessa relazione di alcuni funzionari con le forze dell’ordine, i civili contrattati dalle forze militari, l’atteggiamento passivo della Missione di fronte ai bombardamenti contro i civili nel sud del Meta e l’aumento degli omicidi mirati contro gli ex-guerriglieri delle Farc”.
In questo difficile contesto, ciò che faceva Mario – prima come volontario di PBI e poi all’interno della Missione – era un lavoro delicato, complesso ma estremamente prezioso per le comunità locali.
“L’accompagnamento internazionale è fondamentale per garantire sicurezza a tutte quelle comunità e persone che, per il loro lavoro di tutela dei diritti umani, corrono altissimi rischi. Con l’accompagnamento internazionale cerchiamo di disincentivare le violenze e mettere queste persone in grado di svolgere il loro lavoro. E per chi ‘accompagna’, è un vero e proprio onore mettersi affianco di chi arriva a mettere a repentaglio la propria vita per i propri ideali, per i propri valori, per la costruzione della pace”, dice Puto a Valigia Blu.


Verità e giustizia per Mario

Dal momento in cui in Italia è arrivata la notizia della morte di Mario, gli amici e la società civile hanno lanciato diverse iniziative per far luce sulla vicenda e tenere alta l’attenzione. La petizione su Change, lanciata dagli amici e dalle amiche di Mario, ha già raccolto quasi 60mila firme. Oltre 500 adesioni anche all’appello di Europaz, una rete di accademici e ricercatori nata a sostegno degli Accordi di Pace, in cui si chiede un’indagine indipendente, verità e giustizia per Mario. 
Da Napoli è subito partita una forte mobilitazione e giovedì 30 luglio si terrà un evento pubblico di commemorazione. Il sindaco Luigi de Magistris ha dichiarato che “Napoli è protagonista in questo momento per la ricerca della verità e per fare giustizia su questa morte assurda di un ragazzo impegnato fortemente per i suoi ideali”.
Sono state inoltre presentate diverse interrogazioni parlamentari, tra cui quella di Sandro Ruotolo e di Erasmo Palazzotto. Il ministro degli Esteri Luigi di Maio, ha assicurato il massimo impegno della Farnesina “per un caso che ha coinvolto un giovane brillante impegnato in una missione delicata”.
Numerosi anche i messaggi dalla Colombia, dove chiunque lo abbia conosciuto si sta impegnando a cercare giustizia. Scrive Duque a Valigia Blu: “Mario era un appassionato di musica salsa, di film classici, di poesia, di calcio, e amava le persone sensibili. Un uomo curioso, un investigatore inquieto, un sognatore che credeva la pace fosse possibile. È stato questo sogno che lo ha portato in Colombia, prima come accompagnatore di Peace Brigades International e poi con la Missione delle Nazioni Unite.
È stato questo sogno che gli è costato la vita. Mario è la faccia di tutti quegli uomini e donne che fanno accompagnamento sul campo, e che mettono a repentaglio le proprie vite per salvare le nostre. Mario non è morto: Mario lo hanno ucciso. Questo crimine segna uno spartiacque, c’è un prima e c’è un dopo. E lascia in una terribile condizione di vulnerabilità tutti coloro che, come lui, vengono in Colombia come volontari o come osservatori internazionale. La mia promessa per Mario, e per tutti, è arrivare alla verità e ottenere giustizia”.

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