Il governo degli Stati
Uniti ha forti legami con Israele, e in nessun luogo è più evidente che nelle
sale delle Nazioni Unite. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU, Nikki
Haley, una volta ha affermato: “Da nessuna parte il fallimento delle Nazioni Unite
è stato più coerente e più oltraggioso del suo pregiudizio contro il nostro
stretto alleato Israele”.
Infatti, dal 1949,
tale Stato è stato oggetto di centinaia di risoluzioni dell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, quasi tutte critiche di Israele, “la potenza occupante”.
Ogni anno l’agenda dell’Assemblea Generale include una dozzina o più
discussioni sull’ingiustizia israeliana nei confronti dei palestinesi, ma
raramente è il contrario.
Molti sostenitori di
Israele concordano con Haley che questo indica una tendenza anti-israeliana o
addirittura antisemita nelle Nazioni Unite. La Lega Anti-Diffamazione
(Anti-defamation League – ADL) suggerisce che “gli stati arabi membri dell’ONU
hanno usato l’Assemblea Generale come un forum per isolare e castigare
Israele”. L’ADL ipotizza che le “nazioni del terzo mondo” aggiungano i loro
voti a quelli degli stati arabi ostili per approvare misure contro Israele.
Questa analisi è sia inverosimile che antistorica.
L’AGENDA DELLE NAZIONI
UNITE
I temi trattati nell’Assemblea
Generale non emergono da avversioni personali, ma dalle priorità delle Nazioni
Unite e dai fatti geopolitici. Le Nazioni Unite si impegnano a promuovere la
crescita economica, mantenere la pace, sostenere i paesi in via di sviluppo e
promuovere i diritti umani, la giustizia e il diritto internazionale. Gli
argomenti all’ordine del giorno dell’Assemblea generale riguardano questioni
complesse. La maggior parte degli argomenti viene rivista automaticamente ogni
anno fino a quando non vengono risolti; occasionalmente, ne viene aggiunto uno
nuovo, oppure uno viene eliminato o accorpato ad un altro.
Le risoluzioni non
derivano da sentenze o opinioni, ma da testimonianze oculari basate sui fatti,
molte delle quali richieste dall’ONU. Esperti e membri dei comitati delle
Nazioni Unite contribuiscono regolarmente a relazioni accuratamente
documentate. A partire dalla fine degli anni ’60, ad esempio, le Nazioni Unite
hanno approvato risoluzioni riguardanti il Sudafrica, chiedendo la fine
dell’apartheid e incoraggiando tutti i paesi amanti della giustizia a
boicottare, sanzionare e isolare il paese. Gli Stati membri dell’ONU hanno
sostenuto a stragrande maggioranza gli sforzi per porre fine all’apartheid, non
per un pregiudizio anti-sudafricano, ma per una passione per la giustizia.
L’argomento: Politiche di apartheid del governo del Sudafrica, è stato
ridiscusso anno dopo anno fino al 1994, quando il problema è stato risolto.
Israele, d’altra parte, non ha apportato nessuno dei cambiamenti richiesti
dalla comunità internazionale. Sebbene non sorprenda che i paesi arabi
sostengano la Palestina alle Nazioni Unite, non sono abbastanza numerosi per
realizzare qualcosa autonomamente. Gli Stati membri di tutto il mondo votano a
favore di risoluzioni che censurano Israele: i delegati esaminano i fatti e le
raccomandazioni e decidono se sono convincenti.
Il fatto che
l’Assemblea Generale approvi una dozzina o più di risoluzioni che affrontano la
questione palestinese ogni anno non deve essere imputato a un pregiudizio
contro Israele (o gli ebrei), ma all’enorme portata e alla lunga storia del
problema. La situazione palestinese è stata una priorità dell’organizzazione
per decenni ed è cresciuta nella portata, non solo perché il numero di
palestinesi è cresciuto, ma perché la brutalità di Israele si è intensificata.
Vale la pena prendersi
del tempo per rintracciare le radici della presunta preoccupazione
dell’Assemblea Generale nei confronti della Palestina e determinare se è
dannosa o costruttiva.
1948: I RIFUGIATI E L’UNRWA
Almeno 750.000
palestinesi sono fuggiti o sono stati esiliati dalle loro case e villaggi
quando lo stato di Israele è stato istituito nel 1948 sul 78% della Palestina
storica. Le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione che esprime la loro
aspettativa che i rifugiati possano tornare. Israele ha rifiutato di
ottemperare.
Nel 1949, l’ONU creò
l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei
Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works
Agency for Palestine Refugees in the Near East), conferendole il mandato di
prendersi cura di quei rifugiati e di aiutarli a tornare in patria. E poiché i
profughi palestinesi dal 1948 sono ancora in esilio, l’UNRWA è ancora attiva,
fornendo assistenza sanitaria, istruzione e servizi sociali alla popolazione di
rifugiati dei territori palestinesi.
Ogni anno, dal 1952,
l’UNRWA ha riferito all’Assemblea Generale sul suo operato ed è stata
incaricata, tramite risoluzione, di proseguire i suoi sforzi. 67 risoluzioni in
67 anni in attesa che Israele garantisca ai rifugiati il diritto al ritorno.
Ogni anno alcuni palestinesi lasciano i campi profughi ed emigrano nei paesi di
tutto il mondo, ma la maggioranza rimane, o perché non possono permettersi di
andarsene, o nella speranza di tornare in patria. Il numero dei rifugiati è
cresciuto da 750.000 a circa 3 milioni, e i costi per l’UNRWA sono aumentati in
modo esponenziale.
Nel 1970, l’Assemblea
Generale ha creato il Gruppo di lavoro sul finanziamento dell’UNRWA per affrontare
la crisi finanziaria dell’Agenzia. Da allora, ogni anno, il gruppo di lavoro ha
perseguito nuove modalità per finanziare il lavoro dell’UNRWA e ha prodotto una
relazione sui suoi sforzi; ogni anno, l’ONU approva una risoluzione per la
continuazione di questi sforzi: 49 anni, 49 risoluzioni.
I RIFUGIATI DEL 1967
Circa 200.000
palestinesi furono sfollati durante la cosiddetta guerra dei sei giorni nel
giugno del 1967 (alcuni di questi erano già stati sfollati nel 1948) quando
Israele occupò ciò che era rimasto della Palestina. Ancora una volta, Israele
rifiuta di lasciarli tornare.
Nel 1983, l’Assemblea
Generale iniziò ad affrontare la questione individualmente, chiedendo che non
solo i rifugiati del 1948 (#Nakba), ma anche quelli del 1967 (#Naksa), potessero
tornare. Poiché Israele ha fermamente rifiutato di dare loro questo diritto,
l’argomento: “Persone sfollate a seguito delle ostilità del giugno 1967” e
successive, ha portato a risoluzioni annuali dal 1975, 44 anni di fila.
INSEDIAMENTI: IL FURTO
DELLA TERRA
Non appena Israele
iniziò la sua occupazione nel 1967, cominciò a costruire insediamenti, gruppi
di cittadini israeliani vivevano illegalmente in terra palestinese. In un
altro affronto alla giustizia e al diritto internazionale, la costruzione di
insediamenti include la demolizione di interi villaggi palestinesi, la confisca
delle proprietà palestinesi e l’espulsione dei palestinesi. Nel 1972, il
Comitato Speciale di Indagine sulle Pratiche Israeliane Riguardanti i Diritti
Umani della Popolazione dei Territori Occupati (Special Committee to
Investigate Israeli Practices Affecting the Human Rights of the Population of
the Occupied Territories) aveva portato questo argomento all’attenzione
dell’Assemblea Generale, che iniziò a seguire la costruzione di insediamenti
israeliani approvando risoluzioni che condannano la pratica, chiedendo al
Comitato Speciale di dare seguito a 47 risoluzioni in 47 anni. (Fino al 2019,
gli Stati Uniti hanno concordato con il resto del mondo che questi insediamenti
sono illegali.)
Poiché Israele ha
costantemente ignorato le richieste delle Nazioni Unite, almeno 600.000
israeliani vivono ora illegalmente nei territori palestinesi, compresa
Gerusalemme est.
VIOLAZIONE DEI DIRITTI
UMANI
Anche il Comitato
Speciale delle Nazioni Unite per le Indagini sulle procedure israeliane che
violano i diritti umani del popolo palestinese sta lottando per i diritti dei
palestinesi. Il comitato è stato costituito nel 1968 per affrontare
specificamente le violazioni di Israele del diritto umanitario internazionale e
del diritto internazionale in materia di diritti umani, sorte in seguito
all’occupazione.
Ogni anno, il Comitato
conduce una missione conoscitiva nella regione, e ogni anno, il governo
israeliano si rifiuta di partecipare o addirittura di permettere ai membri di
entrare nei territori palestinesi occupati. Attraverso indagini, ricerche
indipendenti e interviste con membri delle commissioni competenti delle Nazioni
Unite e autorevoli ONG, il Comitato redige un rapporto in linea con il loro
mandato. Vari gruppi utilizzano questi rapporti per svolgere attività di
sostegno.
Ogni anno, dal 1971,
l’Assemblea Generale ha approvato una risoluzione che incarica il Comitato di
continuare il suo prezioso lavoro. Sono 48 le risoluzioni in 48 anni.
DIRITTI INALIENABILI
Nel 1975, l’Assemblea
Generale era “seriamente preoccupata” per il fatto che ai rifugiati palestinesi
mancavano ancora i loro inalienabili diritti all’autodeterminazione, alla
sovranità e alla possibilità di tornare in patria. L’organismo ha dichiarato:
“Le Nazioni Unite
hanno una responsabilità permanente rispetto alla questione della Palestina
fino a quando la questione non sarà risolta in tutti i suoi aspetti in modo
soddisfacente secondo la legittimità internazionale”.
L’Assemblea Generale
ha creato il Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo
Palestinese (Committee on the Exercise of the Inalienable Rights of the
Palestinian People) nella speranza di trovare una soluzione.
A partire dal 1976, e
ogni anno da allora, il Comitato ha collaborato con altre organizzazioni in
tutto il mondo che stanno sostenendo una soluzione equa. Hanno riferito ogni
anno, e ogni anno l’Assemblea Generale ha approvato una risoluzione, 43 in
totale, riconoscendo il lavoro e autorizzandolo a proseguire.
AUTODETERMINAZIONE
Anche il Comitato
sociale, umanitario e culturale delle Nazioni Unite (UN Social, Humanitarian,
and Cultural Committee) ha affrontato la questione palestinese, ponendo
l’accento sullo “sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni, basate sul
rispetto del principio della parità di diritti e dell’autodeterminazione dei
popoli”. Questo comitato opera e riferisce dal 1995; ogni anno, l’Assemblea
Generale approva una risoluzione che riafferma questi sforzi: 24 risoluzioni in
24 anni.
FURTO DI RISORSE
NATURALI
A partire dal luglio
1996, l’Assemblea generale si è unita alla Commissione Economica e Sociale
delle Nazioni Unite per l’Asia Occidentale (UN Economic and Social Commission
for Western Asia) per evidenziare (tra l’altro) l’impatto devastante degli
insediamenti israeliani sull’accesso dei palestinesi alle proprie risorse
naturali.
Per anni, il governo
israeliano e i coloni illegali hanno confiscato o distrutto terreni agricoli e
frutteti, condotte idriche e reti fognarie e hanno deviato i corsi d’acqua
dalle città palestinesi agli insediamenti illegali.
Il Comitato per la
Sovranità Permanente sulle Risorse Naturali ( Permanent Sovereignty over
Natural Resources Committee) traccia e riferisce queste azioni nel tentativo di
ritenere Israele responsabile per lo sfruttamento e la distruzione delle
risorse naturali palestinesi.
Israele si è rifiutato
di intraprendere azioni adeguate. L’Assemblea Generale ha quindi continuato ad
approvare risoluzioni per mantenere il Comitato in carica, 23 risoluzioni in 23
anni.
LA CITTÀ SANTA DI
GERUSALEMME
Sin dal 1947, prima
che lo Stato di Israele venisse istituito sulla terra palestinese, Gerusalemme
è stata un punto focale delle Nazioni Unite. La risoluzione 181 ha
dichiarato:
“La città di
Gerusalemme sarà considerata come un “corpus separatum” sotto uno speciale
statuto internazionale e sarà amministrata dalle Nazioni Unite”.
A sostegno della
richiesta di Israele per l’adesione all’ONU, il delegato israeliano Abba Eban
ha assicurato all’Assemblea Generale che lo stato ebraico era d’accordo con la
Risoluzione 181.
Negli ultimi
settant’anni, Israele non ha mai rispettato il piano delle Nazioni Unite.
Israele controllava gran parte della città a partire dal 1948 e ufficialmente,
e illegalmente, annetteva il restante territorio nel 1980, un atto che le
Nazioni Unite hanno ritenuto “senza valore giuridico” (ma che l’attuale
amministrazione statunitense sostiene).
Il tema di Gerusalemme
è emerso in 38 sessioni e risoluzioni dell’Assemblea Generale mentre
l’organismo ha tentato ripetutamente di esercitare pressioni su Israele
affinché si sottomettesse al diritto internazionale e alle dichiarazioni delle
Nazioni Unite, nonché alle stesse promesse di Israele.
ISRAELE HA CREATO UNA
CRISI ECONOMICA
Il Consiglio Economico
e Sociale delle Nazioni Unite (Economic and Social Council of United Nations
works with) collabora con vari organismi delle Nazioni Unite per identificare
“le ripercussioni economiche e sociali dell’occupazione israeliana sulle
condizioni di vita del popolo palestinese” operando per oltre quattro decenni
per coordinare e fornire l’assistenza necessaria. Di conseguenza, il tema
“Assistenza al popolo palestinese” ha generato 40 risoluzioni.
L’ONU COME
DEMISTIFICATRICE
Come l’Assemblea
Generale ha constatato, anno dopo anno, l’impunità di Israele per gravi
violazioni dei diritti umani, l’organismo si è rivolto al Dipartimento della
Pubblica Informazione delle Nazioni Unite (UN Department of Public Information
– DPI) per aumentare la pressione. Il DPI era stato istituito nel 1946, “per
promuovere la consapevolezza globale e la comprensione del lavoro delle Nazioni
Unite e creare sostegno per la pace, lo sviluppo e i diritti umani per tutti.
L’Assemblea Generale
ha incaricato il DPI di stabilire uno stretto contatto con i media, organizzare
conferenze e incontri con le ONG, pubblicare aggiornamenti e articoli e
organizzare viaggi per i giornalisti “al fine di aumentare la consapevolezza
dei fatti relativi alla questione della Palestina”. Ogni anno dal 1996,
l’Assemblea Generale ha approvato risoluzioni che rinnovano il mandato del DPI,
23 anni consecutivi.
Lo sforzo potrebbe
essere ripagato nell’unico paese che sta più risolutamente dalla parte di
Israele: i sondaggi stanno iniziando a indicare che gli americani stanno
diventando meno favorevoli a Israele e alle politiche del governo degli Stati
Uniti che favoriscono lo “Stato ebraico”.
I NUMERI PARLANO
CHIARO
La Palestina è un
argomento importante alle Nazioni Unite dal 1949 ed è stata oggetto di almeno
settecento risoluzioni, di cui solo una parte è esposta qui.
L’elenco delle
commissioni e dei gruppi di lavoro che si occupano della questione palestinese
è lungo. L’Assemblea Generale trascorre infatti molto tempo a discutere e
dibattere questo argomento. Il loro operato attesta non una cultura
anti-israeliana o antisemita nelle Nazioni Unite, ma la tenacia di questo
organismo globale, e la spudorata belligeranza di Israele.
Dimostra inoltre che
gli Stati Uniti rimangono uno dei pochi alleati di questo stato canaglia.
Finché questo non cambierà, non c’è motivo di aspettarsi che il comportamento
di Israele migliorerà.
Kathryn Shihadah
scrive per MintPress News e If Americans Knew. Parla regolarmente
dell’ingiustizia e della demonizzazione che i palestinesi affrontano nelle mani
di Israele con complicità dagli Stati Uniti, in particolare al pubblico
cristiano. Kathryn vive in Medio Oriente da dieci anni e ha viaggiato molto.
Scrive su PalestineHome.org
Trad: Beniamino Rocchetto
– Invictapalestina.org
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