giovedì 13 agosto 2020

Il passato non è passato - Alessandro Siciliano

  

Come tutti sanno, l'essere umano non vive in una singola univoca dimensione temporale, tale per cui si farebbe (per usare un'immagine) il proprio cammino da un punto 1 a un punto 2, progressivamente e secondo un'idea lineare di tempo. In questa prospettiva, passato presente e futuro sono semplicemente tre momenti collocati su quella stessa linea, uno di fronte all'altro, o dopo l'altro, distribuiti secondo un vettore che punta in avanti, in direzione dell'avvenire, ed eventualmente del punto ultimo, la fine - o l'aldilà, secondo la religione.

In psicoanalisi osserviamo qualcosa di diverso. Osserviamo che passato presente e futuro ora si addensano, si "coagulano", ora si dipanano, insomma entrano in relazioni dinamiche e complesse.

Per fare un esempio, osserviamo che spesso, praticamente sempre, il sintomo è una riedizione nel presente di una questione che viene dal passato. Letteralmente, il passato è presente. Spesso, o sempre, quando si chiede a un analizzante di associare liberamente, di dire tutto ciò che salta in mente a proposito di un dato problema o disturbo o disagio, viene fuori un ricordo del passato, oppure un tratto del presente che si rivela, però, essere una conoscenza che viene da lontano, di lunga data.

È stato spesso rimproverato alla psicoanalisi di porre eccessiva attenzione al passato, a discapito del "qui e ora", ma ad essere sinceri occorre ricordare che la psicoanalisi non è una teoria astratta dell'uomo, bensì una messa in logica dell'esperienza clinica. Sono perciò le persone che, lasciate libere di parlare a vanvera, a briglia sciolta, senza intenzioni o cause che facciano da padrone, rievocano nel "qui e ora" il "lì e allora", collegano il presente al passato. La psicoanalisi prende semplicemente in conto questo dato clinico e ne asseconda la necessità in vista del futuro, del cambiamento che il soggetto cerca, della trasformazione, della "sovversione" dei rapporti del soggetto con la sua propria vita e la sua propria realtà.

Dunque il passato, in psicoanalisi, non passa. Bensì si ripete, o si rievoca, o addirittura si patisce. Un buon modo per dire questo "passato" potrebbe essere, con Lacan, "il non-nato", "il non-avvenuto". Più precisamente, non è un generico passato che bussa al presente, talvolta disturbando, ma qualcosa che è rimasto come in sospeso, in giacenza in quella dimensione che chiamiamo l'inconscio - a cui giustamente Freud attribuiva il carattere della atemporalità. Qualcosa che (forse solo per comodità) diciamo provenire dal passato è in sospeso nel presente per avvenire a un riconoscimento futuro, per essere annesso nel campo della coscienza e del senso.

È certamente l'angoscia, fra tutte, l'esperienza che maggiormente ci mostra questo punto. L'angoscia è precisamente ciò che buca i buoni rapporti tra soggetto e presente, tra soggetto e realtà. L'angoscia è ciò che impedisce un felice accomodamento del soggetto nel presente e nella realtà. L'angoscia è ciò che ossessiona il soggetto e lo obbliga a interrogarsi su cosa ci sia, nel qui e ora, che "non torna", che non quadra.

Sarebbe tuttavia scorretto dire che l'angoscia proviene dal passato. L'angoscia è certamente presente, e certamente reale. Sono le sue stesse dolorose necessità, presenti e reali, che obbligano il soggetto a "rimettere" in discussione la sua esistenza, passata presente e futura.

Strana messa in discussione, rispetto a cui il senso, da solo, fa più da alimento che da paciere, rispetto all'angoscia. Il senso non basta. Oltre al senso, occorre un lavoro di bricolage per entrare in contatto con i buchi del senso. Risolvere il non-senso sciogliendolo integralmente nel senso è una pia illusione di cui la psicoanalisi ha fatto propria la lezione.

Ragion per cui la psicoanalisi nasce e si sviluppa a contatto con il fuori-senso, cioè l'inconscio.

da qui

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