Come tutti
sanno, l'essere umano non vive in una singola univoca dimensione
temporale, tale per cui si farebbe (per usare un'immagine) il
proprio cammino da un punto 1 a un punto 2, progressivamente e secondo un'idea
lineare di tempo. In questa prospettiva, passato presente e futuro sono
semplicemente tre momenti collocati su quella stessa linea, uno di fronte
all'altro, o dopo l'altro, distribuiti secondo un vettore che punta in avanti,
in direzione dell'avvenire, ed eventualmente del punto ultimo, la fine - o
l'aldilà, secondo la religione.
In psicoanalisi osserviamo qualcosa
di diverso. Osserviamo che passato presente e futuro ora
si addensano, si "coagulano", ora si dipanano, insomma
entrano in relazioni dinamiche e complesse.
Per fare un
esempio, osserviamo che spesso, praticamente sempre, il sintomo è una riedizione nel presente di una questione che
viene dal passato. Letteralmente, il passato è presente. Spesso, o
sempre, quando si chiede a un analizzante di associare liberamente, di dire
tutto ciò che salta in mente a proposito di un dato problema o disturbo o
disagio, viene fuori un ricordo del passato, oppure un tratto del presente che
si rivela, però, essere una conoscenza che viene da lontano, di lunga data.
È stato
spesso rimproverato alla psicoanalisi di porre eccessiva attenzione al passato,
a discapito del "qui e ora", ma ad essere sinceri occorre ricordare
che la psicoanalisi non è una teoria astratta dell'uomo, bensì una messa in
logica dell'esperienza clinica. Sono perciò le persone che, lasciate
libere di parlare a vanvera, a briglia sciolta, senza intenzioni o cause che
facciano da padrone, rievocano nel "qui e ora" il "lì e
allora", collegano il presente al passato. La psicoanalisi
prende semplicemente in conto questo dato clinico e ne asseconda la necessità
in vista del futuro, del cambiamento che il soggetto cerca, della
trasformazione, della "sovversione" dei rapporti del soggetto con la
sua propria vita e la sua propria realtà.
Dunque il
passato, in psicoanalisi, non passa. Bensì si ripete, o si rievoca, o
addirittura si patisce. Un buon modo per dire questo
"passato" potrebbe essere, con Lacan, "il non-nato",
"il non-avvenuto". Più precisamente, non è un generico passato che
bussa al presente, talvolta disturbando, ma qualcosa che è rimasto come in
sospeso, in giacenza in quella dimensione che chiamiamo l'inconscio - a cui
giustamente Freud attribuiva il carattere della atemporalità. Qualcosa che
(forse solo per comodità) diciamo provenire dal passato è in sospeso nel
presente per avvenire a un riconoscimento futuro, per essere annesso nel campo
della coscienza e del senso.
È certamente l'angoscia, fra tutte, l'esperienza che maggiormente ci
mostra questo punto. L'angoscia è precisamente ciò che buca i buoni
rapporti tra soggetto e presente, tra soggetto e realtà. L'angoscia è ciò che
impedisce un felice accomodamento del soggetto nel presente e nella realtà.
L'angoscia è ciò che ossessiona il soggetto e lo obbliga a interrogarsi su cosa
ci sia, nel qui e ora, che "non torna", che non quadra.
Sarebbe tuttavia scorretto dire che
l'angoscia proviene dal passato. L'angoscia è certamente presente, e certamente
reale. Sono le sue stesse dolorose necessità, presenti e reali, che obbligano
il soggetto a "rimettere" in discussione la sua esistenza, passata
presente e futura.
Strana messa
in discussione, rispetto a cui il senso, da solo, fa più da alimento che da
paciere, rispetto all'angoscia. Il senso non basta. Oltre al senso, occorre un
lavoro di bricolage per entrare in contatto con i buchi del senso. Risolvere il
non-senso sciogliendolo integralmente nel senso è una pia illusione di cui la
psicoanalisi ha fatto propria la lezione.
Ragion
per cui la psicoanalisi nasce e si sviluppa a contatto con il
fuori-senso, cioè l'inconscio.
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