Il 6 agosto del 1945 l’atomica devasta Hiroshima; il 9
agosto cade su Nagasaki. Uno dei ricordi più profondi – per portata etica –
della tragedia è il film di Akira Kurosawa, “Rapsodia in agosto” (1991). In
quel caso, il tema è la sequela della memoria (cosa ricorda chi non ha visto,
chi non c’era?), il rapporto con i ‘nemici’, la natura della tradizione.
L’anziana Kane – sopravvissuta, ha perso il marito a Nagasaki – vive in un
tempo fuori dalla storia, non ha brama né bisogni, lacera di ricordi, sfida la
tempesta. La bomba atomica le appare come un occhio di fuoco che squarcia il
cielo. Viviamo per salvare i nostri morti, in un gesto eccessivo, contro
natura, si direbbe. Molti sono i libri intorno all’atomica: cito “Diario di
Hiroshima” di Michihiko Hachiya e “La pioggia nera” di Ibuse Masuji. Per
autorevolezza e sguardo sul futuro, però, preferisco il libro di Kenzaburō Ōe,
Nobel per la letteratura nel 1994, scrittore eccezionale, forse troppo
complesso per i nostri criteri editoriali (leggete, se li trovate, “Gli anni
della nostalgia”, “Un’esperienza personale”, “Insegnaci a superare la nostra
pazzia”). Nel 2008 Alet Edizioni pubblica “Note su Hiroshima”, frutto di un
reportage che Kenzaburō Ōe realizza negli anni Sessanta. I temi del libro sono,
dunque, decisivi: nonostante il disastro le potenze si riarmano, ostentando il
bicipite della bomba nucleare; che senso ha, allora, la memoria? Il libro nasce
intorno a un momento di dolore. “Un nostro comune amico si era tolto la vita
impiccandosi a Parigi, sopraffatto dal terrore della minaccia nucleare e di una
guerra mondiale estrema – un’ossessione che si era insinuata nella sua
coscienza giorno dopo giorno, fino all’annichilimento totale”. Inoltre, il
figlio di Kenzaburō Ōe, gravemente malato, nato nel 1963, “giaceva tra la vita
e la morte, senza la minima speranza di guarigione, in un contenitore dalle
pareti di vetro”. In queste circostanze, lo scrittore parte per Hiroshima
e scopre il miracolo della dignità umana. Naturalmente, 75 anni dopo la
tragedia, questo libro così importante è “attualmente non disponibile” nei
comuni canali di vendita.
In questa
nostra epoca di armamenti nucleari, in cui, come affermano con piena sincerità
i fautori del libro bianco sui danni della bomba atomica, viene rivolta
maggiore attenzione al loro potenziale distruttivo piuttosto che all’infelicità
che provocano, e in cui le attività dell’uomo tendono sempre più alla
loro rapida proliferazione, cos’è che noi giapponesi dobbiamo… O meglio, cos’è
che io stesso, come singolo individuo, devo continuare a ricordare?
Inutile dire che si tratta di
qualcosa che ha a che fare con Hiroshima, ovvero con la tragedia umana di
questa città. Inutile dire che si tratta di qualcosa che riguarda il complicato
processo innescatosi in seguito al tentativo di superare questa tragedia,
nonché il nuovo umanesimo della gente di Hiroshima. Ma al di là di tutto, mi chiedo, quali principi
e quale e quale morale sono ancora oggi degni di fiducia?
In tempi come questi, è
necessario più che mai dare forma concreta ai pensieri dello straordinario
popolo di Hiroshima, luogo unico al mondo. Hiroshima
è come una ferita aperta su tutto il genere umano, e al pari di tutte le
ferite, anche questa pone due possibili sviluppi: la speranza di guarigione da
un lato e il pericolo di un’infezione fatale dall’altro. Se noi
giapponesi di oggi non perseveriamo nel ricordare l’esperienza di Hiroshima, i
segnali di guarigione che affiorano flebilmente da questo luogo unico al mondo
cominceranno in breve a marcire, condannandoci alla degenerazione finale… Nel
corso della notte in cui la Cina ha dato inizio ai suoi esperimenti nucleari,
sono stato svegliato di continuo, fino all’alba, dalle telefonate dei
giornalisti. Tuttavia, in questo scritto tento di ricostruire una mia personale
immagine di Hiroshima. Questa immagine verterà in particolare sulla dignità
umana, perché si tratta del concetto più importante che ho scoperto in questa
città, nonché ciò di cui ho bisogno io stesso per dare supporto alla mia vita.
Ho appena affermato di aver scoperto la dignità umana a Hiroshima, tuttavia
occorre precisare che questo non significa che sia in grado di spiegarla
adeguatamente a parole. Direi anzi che la realtà di questo concetto trascende
il nostro linguaggio, e aggiungo che ho cominciato a persuadermene fin dai
tempi della mia fanciullezza…
Ho
già scritto, per esempio, della tenace combattività di quell’anziano signore
che, preso dall’indignazione, tentò invano il suicidio in segno di protesta
contro la ripresa degli esperimenti nucleari; e ho poi raccontato
di come le sue lettere di protesta furono del tutto ignorate e di come
quell’uomo continuasse a ripetere: “Povero me, condannato all’eterna
vergogna!”. A dispetto dal senso di fallimento da cui era afflitto sono
convinto che avesse dignità umana da vendere, quel tipo di dignità che
m’intriga e mi spinge a riflettere. Per dirla in altri termini, quell’uomo era
rimasto in possesso di nient’altro che della sua dignità umana. Se penso al
tentato suicidio, alla protesta ignorata, al tempo passato in un letto
d’ospedale e m’interrogo sul significato della sua vita, la risposta mi viene
spontanea: il significato e, dunque, il valore dell’esistenza di quell’uomo
giacciono proprio nella straordinaria dignità umana perseguita negli ultimi
mesi di vita grazie a quei penosi eventi. Confinato in un letto d’ospedale con
una grossa ferita sull’addome scarnito, quell’uomo possedeva finalmente la
forza necessaria per sostenere con dignità lo sguardo di tutti gli esseri umani
senza cicatrici e cheloidi. Questo è senza dubbio un magnifico esempio di ciò
che intendo per dignità umana.
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