Gerardo
Balestrieri: "I nasi buffi e la scrittura musicale"
Un napoletano che guarda alla Francia - Lucia
Carenini
Ne ha fatto di cose prima di approdare al suo
primo album. Nato a Remscheid nel '71, si è laureato con una tesi sulla
spiritualità nella musica popolare brasiliana, ha collaborato con Daniele Sepe
e Bebo Storti, ha fatto parte di E. Zezi, ha partecipato ad Arezzo Wave '96, ha
recitato in una soap opera ed è comparso in un paio trasmissioni televisive. E’
stato invitato un paio di volte al Club Tenco: la prima nel ’99 come cantautore
inedito (dove presentò alcuni brani poi finiti in questo cd), la seconda nel
2005, come session man per il dopo-Festival. Anche di riconoscimenti ne ha
avuti, dalla vittoria nel 1995 al Festival Buskers di Pelago al titolo di
“cantautore rivelazione” al festival “Dallo Sciamano allo Showman 2006”
passando per il premio per il miglior testo al terzo Mantovamusicafestival.
Però
l’agognato disco non era ancora riuscito a pubblicarlo; ce l’ha fatta
quest’anno ed è finito dritto dritto nella cinquina delle nomination per la
Targa Tenco. Qualcosa vorrà pur dire… Andiamo a vedere, o meglio a sentire.
A rappresentarlo in copertina Balestrieri sceglie un disegno di Tomi Ungerer,
importantissimo disegnatore satirico contemporaneo e uomo impegnato in mille
battaglie politiche e sociali. Il disegno in questione illustra un gatto che
canta in un microfono a forma di topo. Ma visto che le fauci sono spalancate –
e il microfono è appunto un topo – il tutto suggerisce diverse chiavi di
lettura. I gatti, indolenti, sensuali, furbi ed egoisti, sono sempre stati
fonte di ispirazione per Ungerer. In quale di questi tratti si identificherà
Balestrieri? Proviamo a scoprirlo con le canzoni.
Musicalmente si capisce che il ragazzo è preparato: si va dalla tarantella al
bolero, dallo swing al blues, dal tango alla giga e alla mazurca, da Napoli a
Parigi passando per Atene in una girandola di suoni accattivante e trasversale.
Sensuale e sorniona la voce, interessanti le parole, con i toni che si fanno di
volta in volta beffardi, flemmatici, acuti, marpioneggianti e sarcastici. “La
possente passione passeggia passando tra la voglia e il sonno, tra il senno e
la nebbia” è un buon esempio del lavoro di lima fatto sui testi,
sostenuti da piano, fisarmonica e da una serie pressoché infinita di altri
strumenti suonati dallo stesso Gerardo assieme a una pletora di musicisti.
Ospite illustre, in “Furto ai nobili di Rue Berget”, Daniele
Sepe con il suo sax, a dare note acide e sentori di selvaggina a una
canzone che sembra avere radici nel periodo jazz-parigino di Boris Vian mescolato
a quello delle cantine astigiane di un noto avvocato.
I richiami al patafisico francese non si fermano però qui: il nostro ci dà modo
di apprezzare le sue doti di interprete in “Barcelone” e
quelle di traduttore in “La java des B.A.”. Peraltro non si
fermano qui neanche i riferimenti all’avvocato astigiano e forse anche al
fratello del suddetto: “Il blues del putagè” (il putagé
è la tipica stufa in ghisa delle campagne piemontesi, su un angolo della quale
veniva lasciata per tutto il giorno la minestra - putage - a sobbollire
borbottando) echeggia delle storie del Conte piccolo (se così si può definire
il grande Giorgio), delle sue erbe di San Pietro, delle mele cotte al forno e
delle giostre dei vari Bastiani. Ma non è un male: Balestrieri in una delle sue
tante peregrinazioni (ai traslochi va uno dei ringraziamenti nelle note finali
del disco) ha respirato quell’aria, l’ha assimilata e l'ha fatta sua. E il
risultato è affascinante.
Il fatto che Balestrieri deve aver ascoltato parecchio Paolo Conte si
evince anche da “L’Ame du Vin”, poesia di Baudelaire
messa in musica e da “Il gusto nel niente e nel sorridere” -
il brano che contiene la frase che dà il titolo all’album - un collage di immagini
che si inanellano come perle di una collana onirica legata da un filo di note
di piano e fisarmonica. “lettera di spezie e sogni, forse una ricetta”,
la definisce lui nel sottotitolo, ma evoca sicuramente i toni di un film anni
Trenta in bianco e nero. Incantevole e incantato.
Qualcuno ha scomodato altri due grandi, e ha detto di Balestrieri che “canta
alla stregua d’un De André colto da infingarda ebbrezza
caposseliana o di un Capossela colto da flemmatico acume
deanreiano”. Probabilmente ha ascoltato, assimilato, elaborato, digerito.
Echi di molti, clone di nessuno, Balestrieri va tenuto d’occhio. Augurandosi di
non dover aspettare altri otto anni per avere la conferma di un talento.
Gerardo
Balestrieri: "Un turco napoletano a Venezia"
Canzoni napoletane col caffettano - Silvano
Rubino
La prima parola che viene in mente ascoltando “Un
turco napoletano a Venezia” è fascino. È il fascino discreto della
contaminazione, dell’incontro tra culture, atmosfere, facce e lingue. Quello
che rende uniche città come Sarajevo, Gerusalemme. O come Venezia, Napoli,
Istanbul. Queste ultime tre sono proprio le protagoniste della stravagante
operazione imbastita da Gerardo Balestrieri per questo suo secondo disco.
Canzoni napoletane della tradizione rivestite da sonorità mediorientali, per
uno spettacolo (poi diventato disco) concepito e suonato a Venezia, città
d’adozione del partenopeo Balestrieri.
Scrive lui stesso nelle note di copertina: «L'idea di questo disco mi è
acquaticamente balenata in mente un giorno quando in barca da San Marco
guardando il bacino, mi sono comparsi il Vesuvio e il Bosforo tra l'isola di
San Giorgio e la Giudecca, Napoli, Venezia e Istanbul: armoniose, sincretiche,
città….da far incontrare attraverso la musica. Ho scelto la forma canzone,
quella napoletana che meglio conosco e che desideravo incidere da tempo per
tentare il sogno: Napoli città storicamente aperta alle contaminazioni che
s’imbatte nella Istanbul imperiale attraverso Venezia porta tra Oriente ed
Occidente, questa volta non in guerra…ma in musica ».
Dichiarazioni di intenti ambiziosa. Per
l’ennesima rivisitazione di un repertorio, quello della canzone napoletana,
vitale quanto si vuole, ma che di certo non ha bisogno di essere riscoperto
(basti pensare alla fortuna popolare delle interpretazioni di Renzo Arbore e
allo splendore di quelle firmate dalla coppia Massimo Ranieri-Mauro Pagani)...
In questo caso c’è il valore aggiunto di una scommessa, quella di tentare un
azzardo, un esperimento musicale totalmente inedito.
Lo si capisce dagli strumenti utilizzati, che hanno i seguenti nomi:
Kanun-Santur, oud, tar, saz, bouzuki, cumbus, accordeon, daf, zill, bass
kementche, ney, kaval, daf, tombak, darbuka, riqq, mazhar. Niente mandolini,
quindi. Immaginiamo, per esempio, che qualcuno di voi che non ha mai sentito
prima “‘O guappo ‘nnammurato”, canzone di Raffaele Viviani del
1917 la ascolti per la prima volta nella versione (splendida) strumentale
contenuta in questo disco senza sapere nulla prima del progetto. Non credo che
direbbe che si tratta di una canzone napoletana, quanto piuttosto di un brano
di provenienza mediorentale (per dirla con Balestrieri «un’area molto più ampia
che va dal Maghreb alla Persia»). Stesso discorso per il finale di Core
‘ngrato.
Questo per dire che l’azzardo di un incontro mai sperimentato prima, in una
maniera un po’ misteriosa, è riuscito. Forse perché, come dice ancora
Balestrieri, «dalla struttura armonica, alle melodie, ai passaggi obbligati,
all'uso di una scala musicale comune, ai ritmi, la canzone napoletana ha da
sempre in sé qualcosa di profondamente “turco”». Forse semplicemente perché
l’ensemble scelto da Balestrieri (l’Arif Azerturk ensemble è composto da
musicisti dell’Azerbaijan, dell’Armenia, dell’Iran, della Tunisia, da Venezia,
da Napoli, dalla Grecia, da Istanbul) ha saputo creare una miscela un po’
magica, un suono scabro ed evocativo, arcaico e coinvolgente, che calza e
incalza le melodie napoletane.
Il repertorio è dei più classici e spazia
lungo un arco temporale di quasi 100 anni, dal 1886 di “A Marecchiare”
di Salvatore di Giacomo al 1975 di “Nascette ‘nmiezz ‘o mare” di
Renato De Simone . Quest’ultima è “un lungo intermezzo”, tra le due parti del
disco, una sorta di storia satirica di Napoli in versi, unico deragliamento dal
repertorio più tradizionale, all’interno del quale figura a buon diritto anche
Renato Carosone, autore di cui Balestrieri re-interpreta in questo disco tre
canzoni (“Maruzzella”, “‘O Sarracino”, “Caravan
petrol”). Un vero e proprio omaggio, quasi a marcare una particolare
vicinanza con lo stile ironico e divertito del grande Renato. Poi ci sono le
classiche canzoni d’amore, quelle da guapperia, in un viaggio senza
preclusioni, senza confini («il repertorio nel suo preciso navigare tende a
cancellare le differenze tra musica colta, popolare sceneggiata, macchietta
ecc.», spiega Gerardo), che affida alle sonorità dipinte dall’ensemble il
compito di dare una profonda unitarietà al lavoro.
Alla voce rauca e graffiante di Gerardo si
affianca (e in un paio di canzoni viaggia anche da sola) quella di Paola
Fernandez dell’Erba, cantante argentina di origini lucane. Ennesimo esempio di
contaminazione in un lavoro che è qualcosa di più di un disco, è un’operazione
culturale. Che non può non far tornare alla mente quella fatta da Fabrizio De
André e Mauro Pagani 25 anni fa. E che, come quella, è un’operazione carica di
rischi. Perché quasi sicuramente scontenterà i puristi della canzone
napoletana, che faranno fatica a riconoscere i loro classici rivestiti di
caffettano, pantaloni rigonfi e babbucce. Dall’altra parte i cultori delle
sonorità mediorentali forse non gradiranno la scelta di piegarle alle melodie
napoletane. Chi ama mischiare le carte, chi è abituato a scoprire il bello
della contaminazione, invece, sarà piacevolmente coinvolto nell’invito al
viaggio lungo l’immaginaria rotta tracciata da Balestrieri tra Venezia, Napoli
e Istanbul. Bon voyage.
Canzoni del mare salato - Mario Bonanno
“Perché un disco su Corto Maltese… per l’infinita ricchezza
nelle sue storie…perché non le ho ancora lette tutte. Per una sua natura
apolide che riconosco nella mia. E per tutta una serie di coincidenze…perché
sono del segno dei gemelli come Corto Maltese e come Hugo
Pratt. Perché vivo a Venezia, da un po’ di anni in via Corte Sconte detta
Arcana. Perchè ho avuto parecchi gatti…per il linguaggio del vento e del mare
che avrei voluto conoscere a fondo ma sono un marinaio di bosco. Per la
gentilezza e la libertà. Per la via del sogno che mi fa stare sveglio”.
E' questo il sunto evocativo con cui Gerardo Balestrieri riepiloga
i moventi del suo nuovo concept-album, un album che sta ai climi di Corto
Maltese come nel 1987 poteva starci l'Aguaplano di Conte per
libere associazioni. Le Canzoni del mare salato (Egea
Music) di Gerardo Balestrieri discendono, divagano, si
propagano in continuità con l’universo suggestionante e inesausto
del marinaio gentiluomo. Gli sono, come dire, satellitari:
all’aura, alle trame, agli intrighi, ai personaggi. Una frotta cospicua e
meta-significante, idonea all’indole della vera letteratura a fumetti
e altrettanto della vera canzone d’autore.
Pandora, Bocca Dorata, Morgana, Rasputin, Banshee, Tiro Fisso (diversi altri),
di traccia in traccia si tramandono il testimone di un disco errante per
mari salati, seppure circolare e gravido di sortilegi. Malie dell’avventura e
della musica, curate e variegate al punto da certificarne l’autorialità. Così
che i toni piani che avvolgono Pandora e Favola
di Venezia, preludono agli esotismi di Samba con Tiro Fisso e La
casa dorata di Samarcanda. La straniazione sottesa a Il mondo di Mu agli
esoterismi di Corte Sconte detta Arcana. E la tiritera
divertente/divertita di La filastrocca delle isole e dei pesci schiude
le porte all’autoritratto di Rasputin, più sosia che alter ego del
personaggio di Ugo Pratt.
Ancora Balestrieri: “Sono partito dalla stesura dei testi per
poi arrivare alle musiche cercando il gusto esotico dello stesso Pratt che
di musica ne sapeva e andando a scoprire in ogni luogo narrato quel che poteva
musicalmente ispirare la scrittura e gli arrangiamenti”. Sia come sia,
è certo che quest'album non perde un colpo. Chissà se perchè circumnaviga i
fumetti di Corto Maltese per rotte antinomiche, e per ciò
misteriose, e per ciò ipnotiche, e per ciò affascinanti. Fuori e tra le
righe, taglia le storie come taglia Africa e
Europa. Sud America ed estremo Oriente. Buio e luce. Rebus, fascinazione. E
tutto questo vale anche per musiche e arrangiamenti, cangianti ma adesi
all'atmosfera d'insieme, congrui senza sbavature. Chapeau.
Gerardo Balestrieri - Canzoni del mare salato
Quale pretesto migliore di un’ossessione
per dare vita a un disco? Sono il contrario dei non luoghi, le ossessioni: non
esistono geograficamente eppure sono perfettamente
delimitate, dimensioni nel cui perimetro vigono leggi e rapporti di forza
peculiari, equlibri e squilibri potenti che, seppure confinati in un sistema
chiuso, alludono a tutto quello che c’è fuori, ne sono un riflesso aumentato,
trasfigurato. Le ossessioni definiscono uno spazio narrativo potente. Sono già
dei racconti in sé.
Gerardo Balestrieri è uno che di
ossessioni ne ha collezionate molte lungo il suo peregrinare apolide da una
coordinata musicale all’altra, e quella per Corto Maltese sembra
in grado di riassumerle tutte. Nell’eroe di Hugo Pratt c’è infatti il viaggio,
la bizzarria, l’esotismo, il mistero, un senso terribile e beffardo di morte
imminente, le frontiere come astrazione, le distanze come vertigine, i
caratteri come maschere più vive della vita stessa. In sella a questa
ossessione, Balestrieri si è fatto venire l’idea di un album dedicato al mondo
di Corto, e – dopo un crowdfunding andato a gonfie vele – lo ha realizzato,
coinvolgendo nell’impresa nomi come Antonio Marangolo (storico
sax per Paolo Conte e Francesco Guccini), Pierpaolo Capovilla e Daniele di Gregorio (altro fedelissimo di Conte).
Ne è uscito un disco denso e visionario, caldo e formicolante, sfaccettato e
inafferrabile. Un disco che sembra sottrarsi al presente ma solo per poterne
frequentare con più forza gli spettri, le malattie, l’estinzione dell’avventura
come territorio dell’incongruo, del non-pianificato, del non catalogabile.
La scaletta diventa quindi una parata di
visioni stordenti, di sogni oppiacei: si passa dalla sarabanda da bettola
di Rasputin – come potrebbe un Capossela colto da raptus Tom Waits, impreziosita da un recitato sardonico di
Capovilla – ai miraggi desertici di Corte Sconta detta Arcana,
si inciampa nel vortice vellutato di Tango di Fosforito per
poi caracollare nel teatrino tex-mex di Samba con Tiro Fisso,
ci lasciamo ipnotizzare dallo struggimento e dagli sbuffi collosi di Pandora, tratteniamo il fiato per le nuance
cameristiche di Banshee (dagli insospettabili
echi John Cale), e via discorrendo, di personaggio in personaggio,
di avventura in avventura, i nomi come talismani a sorvegliare una cartografia
di smarrimenti progressivi che però, paradossalmente, fanno sentire a casa,
immersi nella calda ostilità di un’ossessione (appunto).
Un disco che probabilmente sarà destinato
a pochi, ma quei pochi potranno vivere la sensazione di essersi imbattuti in un
antidoto, o alla peggio in un lenitivo, da opporre alla formattazione degli
immaginari. Nonché in una chiave per riscoprire – o scoprire – Corto Maltese,
personaggio meraviglioso che non ha ancora finito di raccontare ciò che ha da
raccontare, né credo lo farà mai.
Syncretica, il mondo custodito in un cassetto - Fabio Antonelli
Gerardo Balestrieri, laureatosi all'Istituto Universitario
Orientale di Napoli con una tesi sperimentale sul sincretismo e la spiritualità
nella musica popolare brasiliana, nel suo sito si definisce cantautore apolide,
polistrumentista. Per lui parlano soprattutto i suoi dischi, sempre densi come
la sua voce, sempre pieni di influenze lontane, sempre così diversi fra loro.
Da poco è uscito il suo nuovo progetto discografico, “Syncretica” (2018 - Smart
& Nett Entertainment), definito da lui stesso “canzoni scritte da tempo e
il tempo non esiste”.
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E' un po' di giorni che il tuo disco gira nel mio lettore e
ancora sono affascinato dalla mescolanza di suoni, dall'incontro di mondi
musicali diversi presenti in esso. Potrebbe, ad un ascolto superficiale,
sembrare una raccolta casuale ma non credo proprio lo sia, forse la chiave di
lettura sta nel titolo di questo nuovo lavoro "Syncretica", che
unisce tutte queste diversità. Un disco attualissimo a dispetto della natura
dei brani provenienti da tuoi periodi musicali diversi. Il collante di questo
progetto? Tu stesso e lo dimostra il fatto di esserti messo in copertina. Ho
detto fesserie?
Perfetta analisi scriverei. E' stato un album, da una parte ben
pensato e dall'altra, come in maieutica, ha visto nascere da sole certe cose,
anche la logica sequenza delle canzoni al di là dello stile che varia sempre
nei miei dischi. Un viaggio che parte da Creta, passa da Venezia (a cui Candia
è appartenuta), arriva in Francia e poi prende il largo, dal Medio Oriente e
altrove, un viaggio a porti aperti.
Lascio volutamente cadere il discorso porti e resto sulla
struttura del disco. Il fatto di averlo spesso ascoltato in auto mi ha come
portato in luce un aspetto che, inizialmente, mi era sfuggito, il disco ha una
struttura circolare e non mi riferisco certo al supporto fisico, ma alle
tracce. Si apre, infatti, con un rebetiko dal titolo "Vieni vieni da
Thomà" e si chiude con un altro rebetiko nascosto (bonus track), quasi si
ispirasse ad un vecchio film da me visto al cineforum, mi riferisco a "Lo
sguardo di Ulisse" di Theodōros Angelopoulos. Quindi la Grecia come culla
della civiltà occidentale e, non credo a caso, in particolare Ulisse, del quale
noi occidentali forse abbiamo mantenuto la stessa furbizia nei confronti del
mondo fuori le colonne d'Ercole e così, mi riallaccio anche alla tua
provocazione ... Che ne pensi?
E' stato l'ultimo film del più grande attore italiano a mio
parere. Sì, la circolarità che non si chiude, in realtà una spirale ...
Kundalini. Eh sì, io sto con Polifemo. Una volta, col "mio"
contrabbassista, eravamo in una stazione a Nord Est, " Cos’è quello?"
chiede un signore, riferendosi al contrabbasso, " E' la chitarra di
Polifemo" gli rispondo, lui in bici si avvicina e fa "Allora gli sarà
costata un occhio".
Cerchiamo di smontare un po' questo cerchio o se preferisci
spirale. Nel disco, ad esempio, ci sono canzoni come "Gabbiano Bar"
dove le lingue si mescolano e si confondono come fossero schakerate, credo sia
il termine più adatto vista anche l'alcolicità del testo, in cui in fondo il
testo sembra quasi più un pretesto a servizio della magnifica atmosfera, quasi
da film e canzoni, come "La sinistra dalla erre moscia", in cui è il
testo a dominare, fino alla chiosa finale "sa qual è stata la disattenzione
... / Aver confuso come chi attende il Sipario / la Rappresentanza con la
Rappresentazione", un vero atto d'accusa, no?
“Gabbiano Bar” l’ho scritta durante una stagione canoro
pianistica all’Hotel Cipriani, osservavo e ascoltavo i clienti e i barman, i
camerieri, ecc. Il pianoforte nel mix è lontano, come se a parlare fosse
appunto il barman e, di fronte nella sala, "Suonala ancora Sam" un
po' come al Ritz di Casablanca. “La sinistra dalla erre moscia” non la vedo
come un atto d' accusa, semmai un sogno sarcastico, attualissimo di queste ore,
seppur scritta nel 2008, un destino tracciato di una realtà che ha dimenticato
i deboli, gli ultimi, confondendosi, attraverso la Rappresentazione coi forti e
coi primi. L’accusa se c’è non è mai diretta alla persona, ma al Potere.
In questo tuo navigare per mari lontani, vai ad affrontare anche
canzoni non tue. Partiamo da una tua personalissima e libera traduzione di
"Je bois" di Boris Vian, che leggo esser stata scritta quasi dieci
anni fa, com'è nata? Cela anche un riferimento a Piero Ciampi, vero?
La traduzione fa parte del progetto di quindici anni fa legato a
Boris Vian, ho tradotto un bel po’di canzoni sue che poi han fatto parte dei
miei dischi, un giorno magari le raccoglierò tutte e ne farò un album dedicato
al patafisico del jazz. E anni fa avevo scritto "L’amore è lo sposo della
vita" su un foglio di carta, parole che ricordavo di Piero Ciampi ma non
ne sono sicuro, ho cercato ma non sono attribuite a lui, forse era un live in
cui ha detto questa frase, forse è mia, non ricordando esattamente ho preferito
attribuirla a lui, anche perché “Je bois” avrebbe potuto benissimo scriverla
Ciampi stesso, gran bevitore...
Ah, sicuramente. Le altre reinterpretazioni, invece,
appartengono alla musica popolare, parlo di "Cielito Lindo" e del
canto popolare "La strada nel bosco". Direi che mi ha colpito
soprattutto l'originalità e l'accuratezza musicale della prima che mi sembra
esaltare ancor più, se possibile, la composta fierezza del popolo messicano,
esagero?
In realtà, la musica stravolta di “Cielito Lindo” in tonalità
minore e in 5/4 è stata pensata in chiave molto mediorientale, tanto da essere
stata registrata a Izmir da musicisti curdi e azeri, riprendendo una versione
incisa insieme al più importante cantautore persiano vivente con cui ho
collaborato. E’ un Mexico ben lontano che porta la sua poesia, invece, che la
musica, ma la fierezza che hai intravisto penso ci sia, come di rimando. Di
ritorno in questa spirale...
Non mi riferivo tanto al vestito musicale, stravolto si ma con
una ricercatezza e gusto sublime, bensì al significato dell'operazione.
Sì, un’operazione che tende a questo, anche per com’è cantata
probabilmente.
Direi che il medio oriente è comunque sempre molto presente, mi
sovviene ancora alle orecchie la splendida atmosfera di "Se eredito la tua
stanza", quei versi iniziali "Mirabile visione a Malamocco: il vento
al tuo incedere da bora si fa scirocco", allora tutto è possibile, anche
un ribaltamento della propria esistenza, di luoghi geografici, quel Malamocco
così vicino ma etimologicamente così lontano.
“Se eredito la tua stanza” è la canzone di “Syncretica” cui son
più affezionato, avevo scritto il testo e per anni ho pensato (immaginato
spesso prima di dormire) una batteria rock in 9/8. E' stata una bella
sensazione e soddisfazione sentirla finalmente incisa, quando, come scrivo
nella presentazione, hai l’esigenza di liberarti da qualcosa che ti appassiona
e ossessiona... Una canzone scritta su un solo accordo, un altro gioco più che
scommessa. A Malamocco ci son stato domenica scorsa, un posto senza tempo, un
acquarello di Hugo Pratt. Sto scrivendo un concept album dedicato a Corto
Maltese e cerco luoghi a lui cari, son passato da Scarso prima di andare al
mare. Un ribaltamento, un cambio improvviso di vento ... Parola e luogo antico,
c’era già in epoca romana prima che i barbari determinassero il nascere della
città in laguna, ho trascorso un'estate intera in questo borgo, in attesa di
mio figlio. C’è un Campiello dei Meloni adatto a pancioni da ottavo mese.
Senza voler passare in rassegna proprio tutte le tracce del
disco, vorrei però soffermarmi su "Tango del Rosso e del Nero",
magnifico tango, per almeno un paio di motivi, l'uso di strumenti come daf e
tombak e il fatto di essere stato scritto nel 1996, come mai è rimasto sepolto
così a lungo, lo trovo meraviglioso ...
Grazie dell'apprezzamento. Vivo un tempo discografico in netto
ritardo rispetto a quello reale. Ho scritto una sessantina di canzoni quando
avevo poco più di vent' anni, ma son riuscito a pubblicare il primo disco che
ne avevo trentasei, per cui tante canzoni nel carrozzone. Non è male che abbia
inciso “Tango del Rosso e Nero” adesso, in quegli anni non conoscevo il daf e
il tombak, strumenti magici in questo album. Ho scritto tanto in passato e
questo mi ha permesso di poter dedicare tanto tempo a fare il manager e
promoter di me stesso, nonché produttore. La scrittura ovviamente non è
comunque mancata, a sprazzi ho composto qualcosa anche negli ultimi dieci anni.
“Canzone nascosta” è il brano che sento più attuale. Adesso scrivo su Corto
Maltese e son felice di aver quasi svuotato la carrozza di
"robivecchi" per dar posto a storie nuove.
Per concludere, del tuo lavoro futuro hai già accennato, vorrei
invece chiederti come sarà promosso e fatto conoscere questo tuo
"Syncretica", sarà portato in giro con quale formazione vista anche
la vastità e complessità di sonorità che lo contraddistinguono? E supponiamo
che qualche avventore, vedendo magari la tua locandina appesa in un locale, incuriosito
dal titolo del tuo lavoro, ti chiedesse di che musica si tratta, come gli
risponderesti?
E' sempre un'incognita il tour e la band post disco. Non avendo
mai avuto strutture (booking, ufficio stampa, manager, ecc.) ho fatto sempre
tutto da solo, per cui niente di programmato a lungo termine e concerti con una
band ridottissima. Quest' anno, ho firmato con etichetta e agenzia tedesca,
sono previsti concerti con esclusiva in Germania, Austria e Svizzera, tutto da
programmare, intanto ho spedito un po’ di dischi per cercar di creare una
cartella stampa utile alla ricerca di concerti. Per poter davvero presentare i
miei album dal vivo avrei necessità di un'orchestra, ma da solo, senza
strutture è quasi impossibile. A volte capita...oggi trovare visibilità per me
è difficilissimo. Ho avuto la fortuna di essere arrivato alle orecchie di Renzo
Fantini che apprezzava molto ma ci ha lasciato troppo presto...
Hai volutamente glissato la domanda del curioso di turno?
No, scusa, hai ragione, gli direi semplicemente che sono canzoni
che fanno ballare e pensare, musiche del mondo, molto varie nei ritmi e nelle
lingue, negli strumenti e nelle melodie. A volte in tempi dispari per
inciampare un attimo col gusto di essere vivi... Inviterei poi anche
all’acquisto del cd, per leggere con attenzione i testi e guardare i disegni
del booklet, oltre ovviamente un invito al riascolto.
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