domenica 9 agosto 2020

ascoltando Gerardo Balestrieri











Gerardo Balestrieri: "I nasi buffi e la scrittura musicale"
Un napoletano che guarda alla Francia -
Lucia Carenini

 

Ne ha fatto di cose prima di approdare al suo primo album. Nato a Remscheid nel '71, si è laureato con una tesi sulla spiritualità nella musica popolare brasiliana, ha collaborato con Daniele Sepe e Bebo Storti, ha fatto parte di E. Zezi, ha partecipato ad Arezzo Wave '96, ha recitato in una soap opera ed è comparso in un paio trasmissioni televisive. E’ stato invitato un paio di volte al Club Tenco: la prima nel ’99 come cantautore inedito (dove presentò alcuni brani poi finiti in questo cd), la seconda nel 2005, come session man per il dopo-Festival. Anche di riconoscimenti ne ha avuti, dalla vittoria nel 1995 al Festival Buskers di Pelago al titolo di “cantautore rivelazione” al festival “Dallo Sciamano allo Showman 2006” passando per il premio per il miglior testo al terzo Mantovamusicafestival.

 

Però l’agognato disco non era ancora riuscito a pubblicarlo; ce l’ha fatta quest’anno ed è finito dritto dritto nella cinquina delle nomination per la Targa Tenco. Qualcosa vorrà pur dire… Andiamo a vedere, o meglio a sentire.

A rappresentarlo in copertina Balestrieri sceglie un disegno di Tomi Ungerer, importantissimo disegnatore satirico contemporaneo e uomo impegnato in mille battaglie politiche e sociali. Il disegno in questione illustra un gatto che canta in un microfono a forma di topo. Ma visto che le fauci sono spalancate – e il microfono è appunto un topo – il tutto suggerisce diverse chiavi di lettura. I gatti, indolenti, sensuali, furbi ed egoisti, sono sempre stati fonte di ispirazione per Ungerer. In quale di questi tratti si identificherà Balestrieri? Proviamo a scoprirlo con le canzoni.

Musicalmente si capisce che il ragazzo è preparato: si va dalla tarantella al bolero, dallo swing al blues, dal tango alla giga e alla mazurca, da Napoli a Parigi passando per Atene in una girandola di suoni accattivante e trasversale. Sensuale e sorniona la voce, interessanti le parole, con i toni che si fanno di volta in volta beffardi, flemmatici, acuti, marpioneggianti e sarcastici. “La possente passione passeggia passando tra la voglia e il sonno, tra il senno e la nebbia” è un buon esempio del lavoro di lima fatto sui testi, sostenuti da piano, fisarmonica e da una serie pressoché infinita di altri strumenti suonati dallo stesso Gerardo assieme a una pletora di musicisti. Ospite illustre, in “Furto ai nobili di Rue Berget”, Daniele Sepe con il suo sax, a dare note acide e sentori di selvaggina a una canzone che sembra avere radici nel periodo jazz-parigino di Boris Vian mescolato a quello delle cantine astigiane di un noto avvocato.

I richiami al patafisico francese non si fermano però qui: il nostro ci dà modo di apprezzare le sue doti di interprete in “Barcelone” e quelle di traduttore in “La java des B.A.”. Peraltro non si fermano qui neanche i riferimenti all’avvocato astigiano e forse anche al fratello del suddetto: “Il blues del putagè” (il putagé è la tipica stufa in ghisa delle campagne piemontesi, su un angolo della quale veniva lasciata per tutto il giorno la minestra - putage - a sobbollire borbottando) echeggia delle storie del Conte piccolo (se così si può definire il grande Giorgio), delle sue erbe di San Pietro, delle mele cotte al forno e delle giostre dei vari Bastiani. Ma non è un male: Balestrieri in una delle sue tante peregrinazioni (ai traslochi va uno dei ringraziamenti nelle note finali del disco) ha respirato quell’aria, l’ha assimilata e l'ha fatta sua. E il risultato è affascinante.

Il fatto che Balestrieri deve aver ascoltato parecchio Paolo Conte si evince anche da “L’Ame du Vin”, poesia di Baudelaire messa in musica e da “Il gusto nel niente e nel sorridere” - il brano che contiene la frase che dà il titolo all’album - un collage di immagini che si inanellano come perle di una collana onirica legata da un filo di note di piano e fisarmonica. “lettera di spezie e sogni, forse una ricetta”, la definisce lui nel sottotitolo, ma evoca sicuramente i toni di un film anni Trenta in bianco e nero. Incantevole e incantato.

Qualcuno ha scomodato altri due grandi, e ha detto di Balestrieri che “canta alla stregua d’un De André colto da infingarda ebbrezza caposseliana o di un Capossela colto da flemmatico acume deanreiano”. Probabilmente ha ascoltato, assimilato, elaborato, digerito. Echi di molti, clone di nessuno, Balestrieri va tenuto d’occhio. Augurandosi di non dover aspettare altri otto anni per avere la conferma di un talento.

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Gerardo Balestrieri: "Un turco napoletano a Venezia"
Canzoni napoletane col caffettano -
Silvano Rubino

La prima parola che viene in mente ascoltando “Un turco napoletano a Venezia” è fascino. È il fascino discreto della contaminazione, dell’incontro tra culture, atmosfere, facce e lingue. Quello che rende uniche città come Sarajevo, Gerusalemme. O come Venezia, Napoli, Istanbul. Queste ultime tre sono proprio le protagoniste della stravagante operazione imbastita da Gerardo Balestrieri per questo suo secondo disco. Canzoni napoletane della tradizione rivestite da sonorità mediorientali, per uno spettacolo (poi diventato disco) concepito e suonato a Venezia, città d’adozione del partenopeo Balestrieri.

Scrive lui stesso nelle note di copertina: «L'idea di questo disco mi è acquaticamente balenata in mente un giorno quando in barca da San Marco guardando il bacino, mi sono comparsi il Vesuvio e il Bosforo tra l'isola di San Giorgio e la Giudecca, Napoli, Venezia e Istanbul: armoniose, sincretiche, città….da far incontrare attraverso la musica. Ho scelto la forma canzone, quella napoletana che meglio conosco e che desideravo incidere da tempo per tentare il sogno: Napoli città storicamente aperta alle contaminazioni che s’imbatte nella Istanbul imperiale attraverso Venezia porta tra Oriente ed Occidente, questa volta non in guerra…ma in musica ».

Dichiarazioni di intenti ambiziosa. Per l’ennesima rivisitazione di un repertorio, quello della canzone napoletana, vitale quanto si vuole, ma che di certo non ha bisogno di essere riscoperto (basti pensare alla fortuna popolare delle interpretazioni di Renzo Arbore e allo splendore di quelle firmate dalla coppia Massimo Ranieri-Mauro Pagani)... In questo caso c’è il valore aggiunto di una scommessa, quella di tentare un azzardo, un esperimento musicale totalmente inedito.

Lo si capisce dagli strumenti utilizzati, che hanno i seguenti nomi: Kanun-Santur, oud, tar, saz, bouzuki, cumbus, accordeon, daf, zill, bass kementche, ney, kaval, daf, tombak, darbuka, riqq, mazhar. Niente mandolini, quindi. Immaginiamo, per esempio, che qualcuno di voi che non ha mai sentito prima “‘O guappo ‘nnammurato”, canzone di Raffaele Viviani del 1917 la ascolti per la prima volta nella versione (splendida) strumentale contenuta in questo disco senza sapere nulla prima del progetto. Non credo che direbbe che si tratta di una canzone napoletana, quanto piuttosto di un brano di provenienza mediorentale (per dirla con Balestrieri «un’area molto più ampia che va dal Maghreb alla Persia»). Stesso discorso per il finale di Core ‘ngrato.

Questo per dire che l’azzardo di un incontro mai sperimentato prima, in una maniera un po’ misteriosa, è riuscito. Forse perché, come dice ancora Balestrieri, «dalla struttura armonica, alle melodie, ai passaggi obbligati, all'uso di una scala musicale comune, ai ritmi, la canzone napoletana ha da sempre in sé qualcosa di profondamente “turco”». Forse semplicemente perché l’ensemble scelto da Balestrieri (l’Arif Azerturk ensemble è composto da musicisti dell’Azerbaijan, dell’Armenia, dell’Iran, della Tunisia, da Venezia, da Napoli, dalla Grecia, da Istanbul) ha saputo creare una miscela un po’ magica, un suono scabro ed evocativo, arcaico e coinvolgente, che calza e incalza le melodie napoletane.

Il repertorio è dei più classici e spazia lungo un arco temporale di quasi 100 anni, dal 1886 di “A Marecchiare” di Salvatore di Giacomo al 1975 di “Nascette ‘nmiezz ‘o mare” di Renato De Simone . Quest’ultima è “un lungo intermezzo”, tra le due parti del disco, una sorta di storia satirica di Napoli in versi, unico deragliamento dal repertorio più tradizionale, all’interno del quale figura a buon diritto anche Renato Carosone, autore di cui Balestrieri re-interpreta in questo disco tre canzoni (“Maruzzella”, “‘O Sarracino”, “Caravan petrol”). Un vero e proprio omaggio, quasi a marcare una particolare vicinanza con lo stile ironico e divertito del grande Renato. Poi ci sono le classiche canzoni d’amore, quelle da guapperia, in un viaggio senza preclusioni, senza confini («il repertorio nel suo preciso navigare tende a cancellare le differenze tra musica colta, popolare sceneggiata, macchietta ecc.», spiega Gerardo), che affida alle sonorità dipinte dall’ensemble il compito di dare una profonda unitarietà al lavoro.

Alla voce rauca e graffiante di Gerardo si affianca (e in un paio di canzoni viaggia anche da sola) quella di Paola Fernandez dell’Erba, cantante argentina di origini lucane. Ennesimo esempio di contaminazione in un lavoro che è qualcosa di più di un disco, è un’operazione culturale. Che non può non far tornare alla mente quella fatta da Fabrizio De André e Mauro Pagani 25 anni fa. E che, come quella, è un’operazione carica di rischi. Perché quasi sicuramente scontenterà i puristi della canzone napoletana, che faranno fatica a riconoscere i loro classici rivestiti di caffettano, pantaloni rigonfi e babbucce. Dall’altra parte i cultori delle sonorità mediorentali forse non gradiranno la scelta di piegarle alle melodie napoletane. Chi ama mischiare le carte, chi è abituato a scoprire il bello della contaminazione, invece, sarà piacevolmente coinvolto nell’invito al viaggio lungo l’immaginaria rotta tracciata da Balestrieri tra Venezia, Napoli e Istanbul. Bon voyage.

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Canzoni del mare salato - Mario Bonanno

 

Perché un disco su Corto Maltese… per l’infinita ricchezza nelle sue storie…perché non le ho ancora lette tutte. Per una sua natura apolide che riconosco nella mia. E per tutta una serie di coincidenze…perché sono del segno dei gemelli come Corto Maltese e come Hugo Pratt. Perché vivo a Venezia, da un po’ di anni in via Corte Sconte detta Arcana. Perchè ho avuto parecchi gatti…per il linguaggio del vento e del mare che avrei voluto conoscere a fondo ma sono un marinaio di bosco. Per la gentilezza e la libertà. Per la via del sogno che mi fa stare sveglio”.

E' questo il sunto evocativo con cui Gerardo Balestrieri riepiloga i moventi del suo nuovo concept-album, un album che sta ai climi di Corto Maltese come nel 1987 poteva starci l'Aguaplano di Conte per libere associazioni. Le Canzoni del mare salato (Egea Music) di Gerardo Balestrieri discendono, divagano, si propagano in continuità con l’universo suggestionante e inesausto del marinaio gentiluomo. Gli sono, come dire, satellitari: all’aura, alle trame, agli intrighi, ai personaggi. Una frotta cospicua e meta-significante, idonea all’indole della vera letteratura a fumetti e altrettanto della vera canzone d’autore.

Pandora, Bocca Dorata, Morgana, Rasputin, Banshee, Tiro Fisso (diversi altri), di traccia in traccia si tramandono il testimone di un disco errante per mari salati, seppure circolare e gravido di sortilegi. Malie dell’avventura e della musica, curate e variegate al punto da certificarne l’autorialità. Così che i toni piani che avvolgono Pandora e Favola di Venezia, preludono agli esotismi di Samba con Tiro Fisso e La casa dorata di Samarcanda. La straniazione sottesa a Il mondo di Mu agli esoterismi di Corte Sconte detta Arcana. E la tiritera divertente/divertita di La filastrocca delle isole e dei pesci schiude le porte all’autoritratto di Rasputin, più sosia che alter ego del personaggio di Ugo Pratt.

Ancora Balestrieri: “Sono partito dalla stesura dei testi per poi arrivare alle musiche cercando il gusto esotico dello stesso Pratt che di musica ne sapeva e andando a scoprire in ogni luogo narrato quel che poteva musicalmente ispirare la scrittura e gli arrangiamenti”. Sia come sia, è certo che quest'album non perde un colpo. Chissà se perchè circumnaviga i fumetti di Corto Maltese per rotte antinomiche, e per ciò misteriose, e per ciò ipnotiche, e per ciò affascinanti. Fuori e tra le righe, taglia le storie come taglia Africa e Europa. Sud America ed estremo Oriente. Buio e luce. Rebus, fascinazione. E tutto questo vale anche per musiche e arrangiamenti, cangianti ma adesi all'atmosfera d'insieme, congrui senza sbavature. Chapeau.

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Gerardo Balestrieri - Canzoni del mare salato

Quale pretesto migliore di un’ossessione per dare vita a un disco? Sono il contrario dei non luoghi, le ossessioni: non esistono geograficamente eppure sono perfettamente delimitate, dimensioni nel cui perimetro vigono leggi e rapporti di forza peculiari, equlibri e squilibri potenti che, seppure confinati in un sistema chiuso, alludono a tutto quello che c’è fuori, ne sono un riflesso aumentato, trasfigurato. Le ossessioni definiscono uno spazio narrativo potente. Sono già dei racconti in sé.

Gerardo Balestrieri è uno che di ossessioni ne ha collezionate molte lungo il suo peregrinare apolide da una coordinata musicale all’altra, e quella per Corto Maltese sembra in grado di riassumerle tutte. Nell’eroe di Hugo Pratt c’è infatti il viaggio, la bizzarria, l’esotismo, il mistero, un senso terribile e beffardo di morte imminente, le frontiere come astrazione, le distanze come vertigine, i caratteri come maschere più vive della vita stessa. In sella a questa ossessione, Balestrieri si è fatto venire l’idea di un album dedicato al mondo di Corto, e – dopo un crowdfunding andato a gonfie vele – lo ha realizzato, coinvolgendo nell’impresa nomi come Antonio Marangolo (storico sax per Paolo Conte e Francesco Guccini), Pierpaolo Capovilla e Daniele di Gregorio (altro fedelissimo di Conte). Ne è uscito un disco denso e visionario, caldo e formicolante, sfaccettato e inafferrabile. Un disco che sembra sottrarsi al presente ma solo per poterne frequentare con più forza gli spettri, le malattie, l’estinzione dell’avventura come territorio dell’incongruo, del non-pianificato, del non catalogabile.

La scaletta diventa quindi una parata di visioni stordenti, di sogni oppiacei: si passa dalla sarabanda da bettola di Rasputin – come potrebbe un Capossela colto da raptus Tom Waits, impreziosita da un recitato sardonico di Capovilla – ai miraggi desertici di Corte Sconta detta Arcana, si inciampa nel vortice vellutato di Tango di Fosforito per poi caracollare nel teatrino tex-mex di Samba con Tiro Fisso, ci lasciamo ipnotizzare dallo struggimento e dagli sbuffi collosi di Pandora, tratteniamo il fiato per le nuance cameristiche di Banshee (dagli insospettabili echi John Cale), e via discorrendo, di personaggio in personaggio, di avventura in avventura, i nomi come talismani a sorvegliare una cartografia di smarrimenti progressivi che però, paradossalmente, fanno sentire a casa, immersi nella calda ostilità di un’ossessione (appunto).

Un disco che probabilmente sarà destinato a pochi, ma quei pochi potranno vivere la sensazione di essersi imbattuti in un antidoto, o alla peggio in un lenitivo, da opporre alla formattazione degli immaginari. Nonché in una chiave per riscoprire – o scoprire – Corto Maltese, personaggio meraviglioso che non ha ancora finito di raccontare ciò che ha da raccontare, né credo lo farà mai.

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Syncretica, il mondo custodito in un cassettoFabio Antonelli

Gerardo Balestrieri, laureatosi all'Istituto Universitario Orientale di Napoli con una tesi sperimentale sul sincretismo e la spiritualità nella musica popolare brasiliana, nel suo sito si definisce cantautore apolide, polistrumentista. Per lui parlano soprattutto i suoi dischi, sempre densi come la sua voce, sempre pieni di influenze lontane, sempre così diversi fra loro. Da poco è uscito il suo nuovo progetto discografico, “Syncretica” (2018 - Smart & Nett Entertainment), definito da lui stesso “canzoni scritte da tempo e il tempo non esiste”.

 

 

 

E' un po' di giorni che il tuo disco gira nel mio lettore e ancora sono affascinato dalla mescolanza di suoni, dall'incontro di mondi musicali diversi presenti in esso. Potrebbe, ad un ascolto superficiale, sembrare una raccolta casuale ma non credo proprio lo sia, forse la chiave di lettura sta nel titolo di questo nuovo lavoro "Syncretica", che unisce tutte queste diversità. Un disco attualissimo a dispetto della natura dei brani provenienti da tuoi periodi musicali diversi. Il collante di questo progetto? Tu stesso e lo dimostra il fatto di esserti messo in copertina. Ho detto fesserie?

Perfetta analisi scriverei. E' stato un album, da una parte ben pensato e dall'altra, come in maieutica, ha visto nascere da sole certe cose, anche la logica sequenza delle canzoni al di là dello stile che varia sempre nei miei dischi. Un viaggio che parte da Creta, passa da Venezia (a cui Candia è appartenuta), arriva in Francia e poi prende il largo, dal Medio Oriente e altrove, un viaggio a porti aperti.

Lascio volutamente cadere il discorso porti e resto sulla struttura del disco. Il fatto di averlo spesso ascoltato in auto mi ha come portato in luce un aspetto che, inizialmente, mi era sfuggito, il disco ha una struttura circolare e non mi riferisco certo al supporto fisico, ma alle tracce. Si apre, infatti, con un rebetiko dal titolo "Vieni vieni da Thomà" e si chiude con un altro rebetiko nascosto (bonus track), quasi si ispirasse ad un vecchio film da me visto al cineforum, mi riferisco a "Lo sguardo di Ulisse" di Theodōros Angelopoulos. Quindi la Grecia come culla della civiltà occidentale e, non credo a caso, in particolare Ulisse, del quale noi occidentali forse abbiamo mantenuto la stessa furbizia nei confronti del mondo fuori le colonne d'Ercole e così, mi riallaccio anche alla tua provocazione ... Che ne pensi?

E' stato l'ultimo film del più grande attore italiano a mio parere. Sì, la circolarità che non si chiude, in realtà una spirale ... Kundalini. Eh sì, io sto con Polifemo. Una volta, col "mio" contrabbassista, eravamo in una stazione a Nord Est, " Cos’è quello?" chiede un signore, riferendosi al contrabbasso, " E' la chitarra di Polifemo" gli rispondo, lui in bici si avvicina e fa "Allora gli sarà costata un occhio".

 

 

Cerchiamo di smontare un po' questo cerchio o se preferisci spirale. Nel disco, ad esempio, ci sono canzoni come "Gabbiano Bar" dove le lingue si mescolano e si confondono come fossero schakerate, credo sia il termine più adatto vista anche l'alcolicità del testo, in cui in fondo il testo sembra quasi più un pretesto a servizio della magnifica atmosfera, quasi da film e canzoni, come "La sinistra dalla erre moscia", in cui è il testo a dominare, fino alla chiosa finale "sa qual è stata la disattenzione ... / Aver confuso come chi attende il Sipario / la Rappresentanza con la Rappresentazione", un vero atto d'accusa, no?

“Gabbiano Bar” l’ho scritta durante una stagione canoro pianistica all’Hotel Cipriani, osservavo e ascoltavo i clienti e i barman, i camerieri, ecc. Il pianoforte nel mix è lontano, come se a parlare fosse appunto il barman e, di fronte nella sala, "Suonala ancora Sam" un po' come al Ritz di Casablanca. “La sinistra dalla erre moscia” non la vedo come un atto d' accusa, semmai un sogno sarcastico, attualissimo di queste ore, seppur scritta nel 2008, un destino tracciato di una realtà che ha dimenticato i deboli, gli ultimi, confondendosi, attraverso la Rappresentazione coi forti e coi primi. L’accusa se c’è non è mai diretta alla persona, ma al Potere.

In questo tuo navigare per mari lontani, vai ad affrontare anche canzoni non tue. Partiamo da una tua personalissima e libera traduzione di "Je bois" di Boris Vian, che leggo esser stata scritta quasi dieci anni fa, com'è nata? Cela anche un riferimento a Piero Ciampi, vero?

La traduzione fa parte del progetto di quindici anni fa legato a Boris Vian, ho tradotto un bel po’di canzoni sue che poi han fatto parte dei miei dischi, un giorno magari le raccoglierò tutte e ne farò un album dedicato al patafisico del jazz. E anni fa avevo scritto "L’amore è lo sposo della vita" su un foglio di carta, parole che ricordavo di Piero Ciampi ma non ne sono sicuro, ho cercato ma non sono attribuite a lui, forse era un live in cui ha detto questa frase, forse è mia, non ricordando esattamente ho preferito attribuirla a lui, anche perché “Je bois” avrebbe potuto benissimo scriverla Ciampi stesso, gran bevitore...

Ah, sicuramente. Le altre reinterpretazioni, invece, appartengono alla musica popolare, parlo di "Cielito Lindo" e del canto popolare "La strada nel bosco". Direi che mi ha colpito soprattutto l'originalità e l'accuratezza musicale della prima che mi sembra esaltare ancor più, se possibile, la composta fierezza del popolo messicano, esagero?

In realtà, la musica stravolta di “Cielito Lindo” in tonalità minore e in 5/4 è stata pensata in chiave molto mediorientale, tanto da essere stata registrata a Izmir da musicisti curdi e azeri, riprendendo una versione incisa insieme al più importante cantautore persiano vivente con cui ho collaborato. E’ un Mexico ben lontano che porta la sua poesia, invece, che la musica, ma la fierezza che hai intravisto penso ci sia, come di rimando. Di ritorno in questa spirale... 

Non mi riferivo tanto al vestito musicale, stravolto si ma con una ricercatezza e gusto sublime, bensì al significato dell'operazione.

Sì, un’operazione che tende a questo, anche per com’è cantata probabilmente.

 

 

Direi che il medio oriente è comunque sempre molto presente, mi sovviene ancora alle orecchie la splendida atmosfera di "Se eredito la tua stanza", quei versi iniziali "Mirabile visione a Malamocco: il vento al tuo incedere da bora si fa scirocco", allora tutto è possibile, anche un ribaltamento della propria esistenza, di luoghi geografici, quel Malamocco così vicino ma etimologicamente così lontano.

“Se eredito la tua stanza” è la canzone di “Syncretica” cui son più affezionato, avevo scritto il testo e per anni ho pensato (immaginato spesso prima di dormire) una batteria rock in 9/8. E' stata una bella sensazione e soddisfazione sentirla finalmente incisa, quando, come scrivo nella presentazione, hai l’esigenza di liberarti da qualcosa che ti appassiona e ossessiona... Una canzone scritta su un solo accordo, un altro gioco più che scommessa. A Malamocco ci son stato domenica scorsa, un posto senza tempo, un acquarello di Hugo Pratt. Sto scrivendo un concept album dedicato a Corto Maltese e cerco luoghi a lui cari, son passato da Scarso prima di andare al mare. Un ribaltamento, un cambio improvviso di vento ... Parola e luogo antico, c’era già in epoca romana prima che i barbari determinassero il nascere della città in laguna, ho trascorso un'estate intera in questo borgo, in attesa di mio figlio. C’è un Campiello dei Meloni adatto a pancioni da ottavo mese.

 

 

Senza voler passare in rassegna proprio tutte le tracce del disco, vorrei però soffermarmi su "Tango del Rosso e del Nero", magnifico tango, per almeno un paio di motivi, l'uso di strumenti come daf e tombak e il fatto di essere stato scritto nel 1996, come mai è rimasto sepolto così a lungo, lo trovo meraviglioso ...

Grazie dell'apprezzamento. Vivo un tempo discografico in netto ritardo rispetto a quello reale. Ho scritto una sessantina di canzoni quando avevo poco più di vent' anni, ma son riuscito a pubblicare il primo disco che ne avevo trentasei, per cui tante canzoni nel carrozzone. Non è male che abbia inciso “Tango del Rosso e Nero” adesso, in quegli anni non conoscevo il daf e il tombak, strumenti magici in questo album. Ho scritto tanto in passato e questo mi ha permesso di poter dedicare tanto tempo a fare il manager e promoter di me stesso, nonché produttore. La scrittura ovviamente non è comunque mancata, a sprazzi ho composto qualcosa anche negli ultimi dieci anni. “Canzone nascosta” è il brano che sento più attuale. Adesso scrivo su Corto Maltese e son felice di aver quasi svuotato la carrozza di "robivecchi" per dar posto a storie nuove.

Per concludere, del tuo lavoro futuro hai già accennato, vorrei invece chiederti come sarà promosso e fatto conoscere questo tuo "Syncretica", sarà portato in giro con quale formazione vista anche la vastità e complessità di sonorità che lo contraddistinguono? E supponiamo che qualche avventore, vedendo magari la tua locandina appesa in un locale, incuriosito dal titolo del tuo lavoro, ti chiedesse di che musica si tratta, come gli risponderesti?

E' sempre un'incognita il tour e la band post disco. Non avendo mai avuto strutture (booking, ufficio stampa, manager, ecc.) ho fatto sempre tutto da solo, per cui niente di programmato a lungo termine e concerti con una band ridottissima. Quest' anno, ho firmato con etichetta e agenzia tedesca, sono previsti concerti con esclusiva in Germania, Austria e Svizzera, tutto da programmare, intanto ho spedito un po’ di dischi per cercar di creare una cartella stampa utile alla ricerca di concerti. Per poter davvero presentare i miei album dal vivo avrei necessità di un'orchestra, ma da solo, senza strutture è quasi impossibile. A volte capita...oggi trovare visibilità per me è difficilissimo. Ho avuto la fortuna di essere arrivato alle orecchie di Renzo Fantini che apprezzava molto ma ci ha lasciato troppo presto...

Hai volutamente glissato la domanda del curioso di turno?

No, scusa, hai ragione, gli direi semplicemente che sono canzoni che fanno ballare e pensare, musiche del mondo, molto varie nei ritmi e nelle lingue, negli strumenti e nelle melodie. A volte in tempi dispari per inciampare un attimo col gusto di essere vivi... Inviterei poi anche all’acquisto del cd, per leggere con attenzione i testi e guardare i disegni del booklet, oltre ovviamente un invito al riascolto.

da qui

 


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