domenica 16 agosto 2020

Sofia, la saggezza della “Polis” - Aslı Erdoğan

 


(traduzione di Beatrice Cupitò)

Sono nata nella città che era stata originariamente fondata come Costantinopoli e ora chiamata più di un migliaio di anni dopo Istanbul. E, fra questi due, ha avuto più di una ventina di nomi. Questa è la città che ha dovuto affrontare quasi una ventina di assedi, due epidemie di peste, all’incirca dieci giganteschi terremoti, è sopravvissuta a innumerevoli guerre, scontri, intrighi, lotte, ha visto salire al trono e andarsene centinaia di re e ha accolto diverse lingue, religioni, monumenti… E per me, che sono una nativa della “Polis”, così come i Greci la chiamavano, c’è un simbolo indiscutibile dell’unicità e della saggezza della Città: Santa Sofia. Un monumento, secondo me, imponente e unico al pari delle Piramide egizie. 

Mi sono spesso chiesta in che modo Bisanzio sia stata trattata nella ricerca europea delle sue radici storiche. Costantinopoli era romana e greca e cristiana e molto di più. Qui è dove il Mediterraneo ha incontrato il Mar Nero, dove le antiche culture dell’Asia minore sono venute a contatto dodicimila anni fa con i Traci, con la penisola greca e con la Persia e dove “l’Oriente” ha conosciuto l’Occidente… Ma una camminata di due giornate nella Istanbul di oggi potrà rivelare che il modo di trattare Bisanzio da parte degli Ottomani, da cui hanno imparato e assimilato molto, è tutt’altro che giusto. Palazzi in rovina, chiese convertite in moschee, un centinaio di anni di Bisanzio, in larga misura, non hanno permesso di oscurare la seguente gloria dell’era ottomana.

La riconversione di Santa Sofia in una moschea è da intendersi in via definitiva come uno schiaffo in faccia a coloro che ancora credono che la Turchia sia un paese secolare. Il sistema secolare del kemalismo indotto dallo Stato – forse laicité è una parola migliore in quanto la Turchia ha seguito il modello francese  piuttosto che il secolarismo anglosassone –, uno dei pochi processi in tutto il mondo islamico, è stato dichiarato invalido.

Sebbene la maggior parte dei Turchi vede questa riconversione come una manovra politica per distogliere l’attenzione dalla crisi economica, i partiti all’opposizione, specialmente il Chp (Partito Popolare Repubblicano, in turco Cumhuriyet Halk Partisi) in quanto porta-bandiera del kemalismo, sono stati piuttosto delicati nelle loro obiezioni, o di fatto in silenzio, e in uno o due casi addirittura favorevoli. Nessuno osa offendere i sentimenti religiosi delle masse, sebbene nessuno abbia chiesto alle suddette se davvero desiderassero tale riconversione.

A giudicare dalla dichiarazioni di Erdogan, kemalisti e kemalismo non sono gli unici ad aver imparato la lezione. Definendo la riconversione come “il tocco finale di una conquista”, Erdogan si sta orgogliosamente auto-dichiarando come l’erede di Mehmed il Conquistatore e di altri re ottomani. “Conquista” è un termine che appartiene alla terminologia o all’ideologia di una grande era, in cui il vincitore poteva occupare e annientare lo sconfitto senza alcuna preoccupazione sul piano morale. La distruzione o la conversione dei templi dei perdenti era una pratica comune in passato. Da questo momento in poi il regime di Erdogan sta dichiarando ciò: l’Impero ottomano sarà il nuovo modello di comando della Turchia contemporanea. Questo nuovo governo non si prenderà più l’onere di perseguire valori morali, attribuiti all’Occidente e alle società contemporanee, o a concetti di modernità in senso più ampio dell’ “Occidente” e certamente non sarà permesso che così piccole inezie come la giustizia e la democrazia impediscano la sua “conquista” totale… Conquista di potere assoluto. 

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