I zoombomber colpiscono
ancora. Questa volta si sono fatti avanti durante l’udienza per decidere la
cauzione del diciassettenne considerato la mente dell’hacking di Twitter. E
hanno obbligato il giudice a interrompere la video-udienza su Zoom dopo averla
inondata di parolacce e immagini porno. Non conoscete la storia?
Eccovela. Qualche tempo fa,
grazie a una serie di raggiri, alcuni smanettoni sono riusciti a impossessarsi
della consolle di comando dei tecnici di Twitter e a far partire una serie di
messaggi falsi da profili seguitissimi. Fra questi quello di Joe Biden, il
democratico candidato alle presidenziali americane; di Bill Gates, fondatore
della Microsoft; di Elon Musk, il ragazzaccio di Tesla che manda i razzi sulla
Luna.
Il messaggio invitava i
follower a inviargli del denaro in Bitcoin, la moneta elettronica
crittografata, per averne in cambio il doppio, perché, diceva più o meno il
messaggio, “vogliamo restituire quello che ci è stato dato”. Gli hacker
avrebbero ottenuto in questo modo centomila dollari in Bitcoin prima di essere
scoperti. Ma hanno violato anche altri profili, compreso quello del politico
xenofobo belga Geert Wilders e
di Kim Kardashian, l’ereditiera che sculetta su Instagram e TikTok.
La bravata è costata il
carcere ad uno degli autori dell’hack (l’intrusione non autorizzata) di Twitter
il quale, per riguadagnare la libertà, ha chiesto al giudice di abbassargli la
cauzione fissata a 750mila dollari americani.
Ecco, all’udienza, a causa
della pandemia, non tutti i partecipanti si trovavano in aula ma erano
collegati grazie a Zoom, la famosa app per videoconferenza tanto usata durante
il lockdown. Ma il collegamento dall’aula del tribunale non era protetto, così
l’udienza è stata interrotta più volte dagli zoombombers con
musica, parolacce, invettive contro la magistratura e immagini porno. Il
giudice è stato costretto a interromperla dopo 25 minuti, augurandosi che le
prossime udienze saranno “protette da password”.
Visto che la nostra rubrica si
chiama “Hacker’s Dictionary” è giusto ricordare che la parola ‘zoombombers’ viene da ‘zoombombing’,
neologismo creato dal giornalista Casey Newton del giornale The Verge, sulla falsariga di
‘mailbombing’, il bombardamento delle email, e che a marzo aveva sperimentato
cosa significa avere degli imbucati alla festa di compleanno. Nel suo caso si
trattava di un video-aperitivo da lockdown, a distanza, ma il risultato era
stato lo stesso di quelle feste studentesche che finiscono male quando i non
invitati avevano cominciano a condividere il proprio schermo dove scorrevano
immagini pornografiche.
Potrebbe succedere alla
riapertura delle scuole che hanno deciso di usare Zoom come strumento
didattico? Accadrà di sicuro, se non si prenderanno le contromisure adeguate. E
questo vale per tutti gli altri software che svolgono funzioni simili. Con un
accorgimento in più: usando software e server italiani potremmo non solo
evitare di trasferire dati utili alle BigTech oltre oceano, ma gestire in casa
eventuali controversie che nel cyberspazio didattico potrebbe verificarsi.
Già i programmatori italiani hanno chiesto
al ministro Lucia Azzolina di intervenire per
privilegiare software casalingo e open source rispetto al software chiuso,
visto che la legge, a parità di funzioni obbliga la Pubblica Amministrazione a
farlo, ma aiuterebbe anche l’economia di un paese, il nostro, che in quanto a
produzione artigianale di software non ha niente da invidiare a Microsoft e
Google a cui è stata già affidata la posta elettronica di professori e
studenti.
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