[AGGIORNATO]
La Transculturazione deve sperimentare e promuovere
pratiche critiche di azione transculturale tra i saperi contemporanei allo
scopo di produrre una nuova cosmovisione comunitaria attraverso forme di azione
creativa e di salute generale. Tra le persone umane, tra generi e tra
generazioni, tra le culture; tra le persone umane e le non-umane, tra i viventi
e il pianeta abitato da noituttinsieme e il cosmo, di entrambi i quali siamo
partecipi.
Noi crediamo, ma non da soli, che il Multiculturalismo e l’Interculturalità
siano due parole-concetti che debbono essere revisionati profondamente
nell’Europa occidentale e nell’Unione Europea, dove abitiamo: la prima
attraversa una evidente crisi politica, la seconda è una barchetta in balìa
mediterranea di una crisi di senso. Noi pensiamo che la crisi politica, tempo
fa annunciata clamorosamente dalla premier germanica Angela Merkel, rappresenti
l’ultima conseguenza della persistente e confusa visione eurocentrica della
politica unitaria degli europei uniti nel cerchio di stelle dorate. Ma, anche,
dal nostro punto di vista transculturale, l’esito della mancata
decolonizzazione degli europei da se stessi, dall’essere stati e tuttora esserlo:
coloni e padroni. Una richiesta che fu fatta negli anni 50 del XX secolo agli
europei da due grandi intellettuali: uno francese e l’altro francofono, della
Martinica antillana: Jean Paul Sartre e Frantz Fanon.
Le parole-concetti, multiculturalismo e interculturalità,
sono state logorate dalla mancata, ma sempre più urgente, decolonizzazione
delle nostre menti ancora coloniali: prima, nei confronti delle civiltà
violentate da noi co-co [conquistatori-coloni] planetari della
modernità, e poi riadattata in Europa per “accogliere” africani e asiatici,
soprattutto, dopo la decolonizzazione incompiuta e fallita dei popoli da noi
devastati, ma soprattutto come reazione alla recente Grande Migrazione dei
“dannati della terra” negli stretti territori già superaffollati della coda
peninsulare dell’Eurasia. L’Italia, ad esempio, conta 60 milioni di abitanti.
Per sperare di essere “felici”, dovremmo diventare la metà, con il 20% di
immigrati, in coevoluzione. Ripulendo tutto ciò che ricopre il Bel Paese: dall’immondizia
dalle strade e dai campi, dal cemento e dall’eternit, dalla corruzione e dalla
menzogna sistemica della vita politica, dalla sventura di essere la nazione
europea unita più ammalata di criminalità, l’unica forma sociale che coevolva
con la società civile anomizzandola, ammazzandola.
Gli europei oggi hanno scoperto di essere razzisti in
casa propria. Questa specie di “neo-razzismo nella democrazia” è il sintomo più
forte del fallimento della politica del multiculturalismo coatto e della
interculturalità astratta che, nel migliore dei casi, possiamo definire:
volenterosa e caritatevole. Noi crediamo che la crisi di quei modelli di
adattamento sociale stia portando allo scoperto la rimozione nelle menti
europee delle vecchie pretese coloniali (sia nelle antiche colonie che in casa)
delle ex-potenze imperiali: l’assimilazione, la Francia, e l’integrazione:
l’UK, la Germania e, molto confusamente, l’Italia. È necessario riconoscere che
il nodo della grande relazione interculturale tra noi europei e le persone-moltitudini
che vengono da noi, è distorto e ingiusto. I migranti, infatti, arrivano non
per conquistarci e colonizzarci, ma per vivere con noi una vita più giusta e
salutare in una nuova comunità transculturale da costruire insieme, in
Europa. Invece, continuiamo a rimuovere questa “banale” visione
coevolutiva. Perché può diventare minacciosa. Se continuassimo a pensarla per
bene e fino in fondo, infatti, dovremmo arrivare alla presa d’atto che proprio
e solo i migranti hanno la capacità di desiderare questa “utopia
giusta e concreta”. Anzi, che sono loro oggi portatori di sana umanità e
di futuro. Questa scoperta, invece che al panico identitario e alla rabbia
razzista, dovrebbe portare gli europei a costruire una visione più larga della
convivenza tra le genti. Come hanno fatto alcuni piccoli comuni del Sud
dell’Italia, quel Meridione senza meridiano, quella terra senza
ora, perché mai è stata la sua ora. Un paese devastato dalla povertà,
dall’emigrazione e dalla criminalità. I calabresi hanno pregato i migranti
arrivati come naufraghi nei barconi alle sponde del Mare Ionio, di rimanere
insieme a loro nei piccoli paesi della Calabria: Badolato, Riace, Caulonia e
altri, per darsi la vicendevole speranza di poter ri-vivere insieme una
vita diversa. Per avere un’ora migliore. Il regista tedesco Wim
Wenders, nel2010, ha girato “Il Volo”, un documentario-narrativo su questo
fenomeno non tanto di mera “accoglienza” quanto di proposta agli
stranieri di ridarsi-vita insieme. Ma gli alti europei che governano le vite,
di noi e degli altri e dei futuri europei, sono capaci solo di difendere i
privilegi della civiltà moderna creata con la violenza e l’usurpazione: affari,
in tutti i modi, e comando, sempre. Le macchine governative europee non sono
capaci di assicurare ai migranti nemmeno un trattamento da civiltà “borghese e
illuminata”: nemmeno una “porca politica” [come dice la figlia di Barney a
Barney] adeguata a prevedere e a rimediare difficoltà e conflitti, leggi di
polizia e razzismo, carità e solidarietà. Il che significa che non siamo capaci
di pensare alcun futuro e tantomeno di preparare una società transculturale,
insieme con chi la desidera, anche senza saperlo.
La Transculturazioneè nata e prospera – come concetto
antropologico culturale e come parola comune anche se di origine colta: transculturación e transculturação –
nella parte centrale, in quella antillana e in quella meridionale del Mundus
Novus delle Americhe. Come nazioni non povere ma impoverite e
devastate, e non domate, dal colonialismo europeo e poi da quello
nordamericano. La Transculturazione aiuta a riconoscere come evidente la storia
propria di ogni cultura a ibridarsi con altre culture e a generare nuove forme
“creole” e imprevedibili. Così come ci hanno insegnato Fernando Ortiz, Oswaldo
de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Édouard Glissant, Walter Mignolo,
Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante Marcos, Leonardo
Boff e tanti altri. Il pensiero e la prassi transculturali indicano che ciò
avviene nella mutualità dello scambio e nella trasformazione imprevedibile,
aldilà della violenza e del comando. In sintesi, riprendiamo una bella figura
linguistica proposta da Glissant per indicare il nostro approdo transculturale,
“pensare con il mondo” Seguendo il movimento latino-americano, vogliamo
proporci come coloro che rispondono ad esso dalla parte europea, in
contrappunto e in relazione. Noi abbiamo individuato ed articolato l’idea e il
progetto della Transculturazione in tre moti, non tanto successivi quanto,
invece, contemporanei e coevolutivi: Decolonizzazione, Creolizzazione e
Mondializzazione, tutte mutue. Perché possiamo salvarci
solo l’un l’altro, come scrisse il filosofo epicureo Filodemo di Gadara. Solo
così la nuova poetica dell’Interessere e della Relazione può
sostituire pacificamente, anche se implacabilmente, le marche metafisiche dell’
”antico regime europeo”: l’Essere, l’Identità e l’Universalità. Noi pensiamo
che queste categorie filosofiche, diventate poi ideologiche e ormai ridotte a
parole fossili, abusate e indegne a dirsi ancora, perché menzognere, siano
ancora le potentissime marche delle superstizioni della cosmovisione
eurocentrica che tuttora governa retoricamente le guide politiche e grande
parte della “gente” europea, anche se la sua estinzione è già in cammino, molto
lento. La cosmovisione transculturale e la sua missione pratica e formativa,
che è l’azione che sta dentro alla parola transcultura-azione e
dentro alla nuova intenzione del fare insieme, servono a noi
europei per decolonizzarci, per creolizzarci e per mondializzarci. Il primo
passo da fare è proprio la liquefazione e il licenziamento del nucleo di ferro
del pensiero eurocentrico della modernità: la pretesa che possiamo fare tutto e
sempre da soli, in quanto portatori della luce della civiltà superiore. Quel
“The White Man’s Burden” dell’Ode di Kipling, del 1898, al quale opponiamo il
motto cannibale di Oswaldo de Andrade, dal suo “Manifesto Antropofago” del
1928: “Prima che i portoghesi scoprissero i brasiliani, i brasiliani avevano scoperto
la felicità.” Dobbiamo imparare ad educarci e salvarci insieme con
i migranti e con tutte le culture del mondo, che proprio noi abbiamo avviato
all’estinzione con la loro “scoperta” e sopraffazione. Tutto ciò non significa
affatto la rinuncia all’identità europea, o per dire meglio: la fuga dalla
nostra responsabilità storica. Ma significa il nostro voler decidere di
ri-educarci, per arrivare a vedere e a riconoscere che ci è offerta, nel XXI
secolo, una straordinaria chance per creare un Mundus
Novus anche in Europa. Noi pensiamo chela
Modernità non potrà finire mai prima che ciò accada o senza che ciò accada.
Come quando l’Europa diventò Europa avendo a che fare con i Goti della
Scandinavia, i magiari delle steppe e con i Mori arabi e africani.
La Transculturazione è una via per riconoscere e
comprendere per bene (à propos, diceva Montaigne) i fenomeni migratori e
sociali del nostro tempo, e per proporre e costruire nuovo statuti del
benessere individuale e comunitario, condivisi e diffusi. Con le pratiche della
“convivenza nella sana umanità” e della “coevoluzione creativa”, intendiamo
fare ricerca e sperimentare una revisione della disposizione e della
consistenza dei saperi, dei percorsi formativi della scuola e delle pratiche
comunitarie, della creatività condivisa. Se non ora, quando? scriveva
Primo Levi, uno dei testimoni delle vittime della folle disumanità europea, una
civiltà “indifendibile”, come scrisse Aimé Césaire nel 1955.
Roma, 16 maggio 2011
P.S. [23 novembre 2012] Questo transmanifesto
è stato tradotto in 9 lingue e gira da due anni nel web; ha dato
origine ad un pamphlet, Manifiesto–Ensayo de la
Transculturación europea, che è in corso di stampa in spagnolo
presso l’editore “Casa de las Américas”, L’Avana, Cuba e in francese presso
l’editore PANAFRICA di Dakar, Senegal.
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