lunedì 10 agosto 2020

È come con George Floyd. Abbiamo il nostro ginocchio sul collo dei Palestinesi - Hagai El-Ad

 

(intervista di Ravit Hecht)

Malgrado la crescente soppressione di ogni opinione sull’occupazione all’interno della società israeliana, Hagai El-Ad, capo di B’Tselem è diventato uno dei più noti e decisi oppositori della situazione attuale.

Al pari di altri attivisti per i diritti umani, come Avner Gvaryahu, direttore Esecutivo di Breaking the Silence, anche El-Ad è diventato un bersaglio mobile per la destra. Questo processo riflette una realtà che si sta deteriorando, ma anche l’indebolimento della piattaforma politica che conduce la lotta contro l’occupazione, con il passaggio del testimone a organizzazioni non politiche o a figure prominenti al loro interno.

Non si parla più di B’Tselem o della “sinistra”; è El-Ad che è diventato il bersaglio di una campagna di odio che si può solo interpretare come una taglia messa sulla sua testa.

Hagai, questa serie di interviste affronta la questione se la sinistra ha perso la sua battaglia contro l’occupazione

“La risposta più breve penso che sia un no. La risposta più lunga: perdiamo terreno ogni giorno, ma non è finita. I gruppi per i diritti umani si alzano ogni mattina, perdono e vanno avanti. Questo è lo spirito di questa lotta. In realtà penso che ci sia una differenza tra B’Tselem e l’Associazione per i Diritti Umani in Israele, per esempio. Quest’ultima deve esistere per sempre. Noi –io non c’ero, ma così interpreto la storia della nostra organizzazione– ci siamo formati trent’anni fa come una forza temporanea. Pensavamo che il pubblico ebraico in Israele non avesse sufficienti informazioni su cosa stavamo facendo ai Palestinesi nei territori occupati. Credevamo che, se avessimo fondato B’Tselem e se avesse funzionato, l’occupazione sarebbe finita e così finiva anche il compito di B’Tselem. Questa teoria è fallita. Credo che l’insistenza da parte di B’Tselem nel trovare modi per porre fine all’occupazione sia molto ottimistica.”

El-Ad, 50 anni, è un astrofisico di formazione ed è diventato direttore generale di B’Tselem proprio prima della guerra di Gaza del 2014 (Operazione Margine di Protezione) . Di fronte alle reazioni di odio verso gli Arabi e alla delegittimazione della sinistra, prese una posizione forte –qualcuno direbbe più radicale– che incoraggiava una pressione internazionale su Israele e la cessazione della cooperazione con agenzie israeliane come le Israel Defense Forces (l’Esercito Israeliano) e l’Unità Investigativa della Polizia Militare.

El-Ad è comparso due volte di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite –una mossa che altri gruppi di sinistra come Peace Now avevano evitato di fare– usando quel palcoscenico per condannare i crimini dell’occupazione e per reclamare esplicitamente un’azione contro Israele da parte di agenzie internazionali.

Perché il pubblico israeliano non si è convinto della giustizia della vostra posizione tanto da esservi rivolti ad altri paesi per indurre Israele a cambiare?

“Gli Israeliani non vogliono cambiare. Abbiamo i diritti, una posizione di superiorità, il potere. Tutto sommato, qui c’è benessere, non ne paghiamo praticamente nessun prezzo”.

Quale prezzo dovrebbero pagare gli Israeliani per metter fine all’occupazione?

“Penso che dei costi economici nel futuro potrebbero essere davvero efficaci.”

Pensi che questo accadrà?

“Lo spero. Sono più ottimista sul fatto che questi costi arriveranno. In tutti i confusi discorsi sull’annessione, quel che non si è messo in chiaro è che sempre più voci da fuori –come quelle di importanti politici americani come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez– stanno dicendo che non è più possibile chiedere gentilmente a Israele di smettere di compiere certe azioni. Solo pochi anni fa questo avrebbe messo fine ad una carriera politica”

Qualche carota per il buon comportamento

Sembra non solo che El-Ad non si preoccupi per la saga dell’annessione, ma che addirittura sia dispiaciuto del fatto che la questione si sia spenta a causa della seconda ondata del coronavirus.

“Uno dei più grandi rischi oggi è che la questione dell’annessione venga tolta dal tavolo per motivi che fanno comodo a Israele. Tutti quelli che sono stati in ansia nelle scorse settimane, tireranno un respiro di sollievo, magari offrendo a Israele una carota o due come ricompensa per un buon comportamento e torneremo ad una ancor maggiore normalizzazione della situazione attuale,” dice.

“Non abbiamo aspettato che dicessero che avrebbero annesso parti della Cisgiordania per chiedere un’azione internazionale. Abbiamo cominciato a dirlo dal 2016, continuando ad affermare che certe misure sono necessarie indipendentemente da ciò che Israele può fare in futuro”

Cosa sono queste misure? Voglio concentrarmi sulle questioni pratiche. Sei uno che dice che appellarsi alla morale non ti aiuta a fare la spesa al mercato.

“Non risponderò a questa domanda. Sono un esperto di ciò he sta accadendo nei territori e non delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Israele, o tra Europa e Israele.”

Come pensi di avere una qualche efficacia se arrivi solo a metà strada?

“Davvero immagini che ci sia qualcuno che siede a Bruxelles e che abbia solo bisogno che B’Tselem gli dia una lista delle cose da fare? Lo sanno molto meglio di me quali leve hanno a disposizione. Quel che ci vuole è una decisione politica tra Berlino, Parigi, Bruxelles e Washington”.

Sostieni il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni)?

“Non abbiamo una posizione sul movimento BDS e non ne avremo in futuro”

Perché no? È un movimento che promuove una lotta non violenta contro Israele, con un discorso che è molto simile al vostro. Sarebbe naturale che cooperaste con loro.

“Concentriamo i nostri sforzi nell’esercitare pressione sugli attori internazionali come i governi che hanno la responsabilità di difendere i diritti umani –e certamente di non collaborare alla loro violazione. Ovviamente crediamo che tutto ciò che si fa per dichiarare illegale il movimento BDS, qui e all’estero, sia irragionevole, ma non diremo ai singoli individui che cosa devono fare”.

Ho l’impressione che stai cercando un modo diplomatico per non affrontare quella patata bollente. Sembri preoccupato di sostenere un movimento che parla come voi, ma è inviso al pubblico israeliano.

“Penso che ci sia una percezione sbagliata nei nostri riguardi. Non siamo un partito e neppure un movimento di massa. B’Tselem non è un movimento o un partito finalizzato alla fine dell’occupazione: siamo un’organizzazione per i diritti umani. Guarda il nostro curriculum. Dire che siamo un gruppo di codardi non risponde dalla realtà.”

Secondo El-Ad, le questioni e le richieste poste da una organizzazione come la sua scaturiscono dal vuoto politico che si è creato. “Chi sono quelli che davvero insistono nel far sentire una voce non compromissoria sull’occupazione? Sono Breaking the Silence e B’Tselem”, spiega, “Penso che ci fanno queste domande perché la politica israeliana è così anemica e così devastata e non c’è nessuna opposizione all’occupazione.”

C’è mai stata una opposizione di questo genere?

“Penso di sì. Nei primi momenti di alcuni partiti, come Meretz, per esempio.”

E oggi non ce n’è?

“Non ne sono sicuro. Non so in che condizioni si trovi quel partito.”

Le organizzazioni per i diritti umani, compresa B’Tselem, alla fine hanno fallito nel portare avanti la lotta contro l’occupazione. Credi anche che la situazione non solo non migliori, ma si stia deteriorando?

“Sarei molto contento se B’Tselem riuscisse a far finire l’occupazione, ma non credo che questo sia realistico. È il governo di Israele che farà finire l’occupazione. Dobbiamo mantenere una posizione etica e basata sui fatti, continuando sempre a fare rumore.”

Alcuni sostengono che la vostra linea di invitare pressioni esterne su Israele vi allontana dalla gran parte del pubblico.

“Se qualcuno ha un’idea migliore su come far finire l’occupazione, sarò contento di adottarla. È un compito urgente che sta in sospeso già da anni e questo è il modo pratico, etico e non violento che abbiamo scelto per raggiungere lo scopo.

Un altro motivo per cui El-Ad non è preoccupato per l’annessione è che pensa che sia già stata fatta, e che alcuni di quelli che mettevano in guardia contro di essa l’hanno già accettate in linea di principio.

“La verità è che abbiamo annesso i territori già da molto tempo, e la grande maggioranza degli Ebrei in Israele sono contenti così”, dice. “Penso a noi e ai Palestinesi e vedo l’immagine di George Floyd nella mia mente. Abbiamo il ginocchio sul loro collo mentre discutiamo tra di noi su come continuare a farlo.”

La soluzione dei due stati è morta?

“Penso che questo sia solo un diversivo rispetto a come stanno davvero le cose. Tutti sono a favore di una soluzione a due stati, ma che cosa s’intende con questo? Ci sono stati negoziati per 20 e passa anni, giusto? Ma che cosa è successo nella realtà nel frattempo? Abbiamo più che triplicato il numero dei coloni, creando sempre più fatti sul terreno. Nel frattempo, abbiamo fatto qualche ‘round’ in più su Gaza uccidendo migliaia di Palestinesi. Abbiamo un piede sulla loro gola, mentre discutiamo tra di noi su come farlo.”

Aggiunge che i pronunciamenti del movimento Comandanti per la Sicurezza di Israele “non dicono che dobbiamo smettere di opprimere il popolo palestinese, che questo è intollerabile, che è immorale. Le loro dichiarazioni raccontano al pubblico israeliano che non abbiamo bisogno di confrontarci con questo grattacapo. Controlliamo tutta l’area e ci facciamo quel che vogliamo, andando dentro e fuori da Ramallah a nostro piacimento; l’Autorità Palestinese prende in carico le cose per noi e noi non paghiamo nessun prezzo per questo. Allora perché abbiamo bisogno dell’annessione?

“È anche intollerabile che questo movimento sia presentato come di sinistra. Penso che questa sia una grossa bugia. Accettano il fatto che siano gli Ebrei a gestire le cose dei Palestinesi: lo vogliono, ma non lo dicono esplicitamente dal momento che sono ufficialmente dei liberali”.

Cosa si fa ai traditori

Di tanto in tanto, quando El-Ad fa o dice qualcosa di particolarmente duro –come presentarsi alle Nazioni Unite o quando la destra lo bolla come “nemico interno” che può essere sfruttato per motivi politici– allora deve combattere con l’aspetto più sgradevole dell’essere una persona conosciuta.

Che cosa ti succede in questi casi?

“ Ogni tipo di commenti inutili. “’Vieni a farmi una foto’, riferendosi alle nostre macchine fotografiche. Oppure dandomi del traditore”.

E quando ti chiamano traditore, che effetto emotivo ti fa?

“Il problema maggiore in questo caso è la legittimazione della violenza. Tutti sanno che cosa ci si aspetta di fare ai traditori. Non li insulti soltanto: li appendi a un lampione”.

Oltre alle minacce di morte, che cosa provi quando ti dicono che tu stai dalla parte degli altri e non della tua gente? Oppure quando sei accusato di inganno o di disimpegno?

“Se i valori di cui si parla includono la supremazia degli Ebrei sui Palestinesi, sì, allora sono un traditore rispetto a quella posizione. E se quel che tradisco è la continua accettazione dell’oppressione come qualcosa di normale o di ragionevole, allora sì, tradisco tutto ciò. Qui c’è un insieme di valori che sono orgoglioso di tradire.”

L’autocontrollo che ti viene attribuito, il fatto che non sei stressato da situazioni drammatiche e non perdi la calma quando sei attaccato su tutti i fronti, tutto questo richiede un certo distacco.

“Le mie azioni in realtà non riguardano il mantenere la calma. Sorgono da una connessione emotivamente molto forte con quel che accade qui, con quel che facciamo e con il significato di queste cose. Vedi, mi si è spezzata la voce, prima, quando parlavamo dell’Operazione Margine Protettivo. Non per la prima volta e probabilmente neppure per l’ultima. Credo che una delle tragedie che hanno colpito i diritti umani è diventata una cosa molto alienante. È percepita come una cosa per esperti, per avvocati.”

Probabilmente conosci il cliché che quelli di sinistra amano l’umanità, ma odiano gli esseri umani. Penso che questo sia il sentimento popolare verso la tua organizzazione.

“OK. Parlo di ambiti in cui le cose sono maggiormente sotto il nostro controllo: come formuliamo le cose, come pensiamo. Penso che l’uso eccessivo di termini legali nel parlare di diritti umani ha contribuito a questa alienazione.”

“L’ingiustizia è qualcosa che la gente sa riconoscere istintivamente. Sappiamo che cosa succede quando qualcuno è ucciso da un cecchino sul confine di Gaza, da una distanza di 300 metri, e poi questa persona non la si lascia uscire da Gaza per ricevere le cure mediche, facendogli perdere una gamba e lasciandolo disabile per tutta la vita.”

Le sofferenze degli Israeliani ti producono le stesse emozioni? Oppure il dolore dei Palestinesi è tanto grande da essere incomparabile?

“Puoi provare emozioni sulle cose senza dover fare paragoni. Ero molto turbato durante le proteste per la giustizia sociale nel 2011. Prendevi parte a una manifestazione e c’era tanto ottimismo, tanta energia. O il Pride a Gerusalemme che è cominciato quando ero presidente della Open House (una organizzazione LGBT). È stato pauroso, ma eccitante.”

C’è stato un momento in cui hai avuto paura nella tua posizione attuale?

“L’Operazione Margine di Protezione mi ha spaventato. Abbiamo ucciso 500 bambini palestinesi a Gaza e la gente in Israele vive tranquilla sapendolo. Se mi avessi chiesto qualche anno prima se una cosa del genere poteva succedere qui senza produrre un terremoto, avrei detto che eri eccessivamente pessimista. È terribile, perché cosa ti dice questo di quel che può succedere in futuro?

Finirà mai l’occupazione?

“Lo spero. È molto difficile immaginarlo, ma è anche difficile immaginare che questa situazione vada avanti così per altri 50 anni, perché so quanto altro orrore produrrà”

“Dieci anni fa, Joe Biden che al tempo era vicepresidente degli Stati Uniti, disse a Tel Aviv che lo status quo era insostenibile. Da allora, sembra che invece sia stato piuttosto sostenibile –e magari andrà avanti ancora per anni. Il livello di sofisticazione raggiunto da Israele nell’esercitare il controllo sui Palestinesi senza pagare un prezzo è molto alto. Un membro della delegazione Sud Africana che venne in visita quando ero nella associazione per i Diritti Civili in Israele, disse che se gli Afrikaners avessero trattato i neri come Israele ha trattato i Palestinesi, il regime dell’apartheid sarebbe ancora qui ai nostri giorni.”

 

https://www.haaretz.com/israel-news/.premium.MAGAZINE-it-s-like-george-floyd-we-have-our-knee-on-the-palestinians-necks-1.9021668 - Traduzione di Gabriella Rossetti – AssopacePalestina

 

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