Fin dall’inizio si è capito che il coronavirus semina morte soprattutto fra le persone più fragili. E constatato che in Italia il 59% dei casi sono insorti fra gli ultraottantenni, in un primo momento si è pensato che la fragilità dipendesse prevalentemente dalla condizione anagrafica.
Ma studi successivi, condotti in
varie parti del mondo, hanno evidenziato come l’età avanzata sia elemento
di fragilità soprattutto se associata a malattie concomitanti.
Lo testimonia anche l’Italia attraverso i numeri dell’Istituto Superiore di
Sanità: il 65% dei
deceduti da coronavirus soffriva di ipertensione arteriosa, mentre
il 28% di cardiopatia ischemica, per intendersi tutte quelle malattie che
determinano un insufficiente apporto di sangue e di ossigeno al muscolo
cardiaco.
Ma a sorpresa si è scoperto che anche il diabete è una patologia ampiamente
ricorrente riscontrandola nel 29% dei decessi.
Conferma che viene dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità: “il
Covid 19 ha conseguenze più gravi in persone ultrasessantenni affetti da
malattie polmonari, malattie cardiache, diabete e altre patologie coinvolgenti
il sistema immunitario.”
Il che aiuta a capire meglio un
fenomeno osservato soprattutto negli Stati Uniti che a fine
settembre contavano 200mila vittime da coronavirus.
Anche in questo paese l’età ha avuto un ruolo importante considerato che il
79% dei decessi si è verificato nella popolazione oltre i 65 anni.
Il paese è in linea col resto del mondo anche per ciò che riguarda le
malattie concomitanti: oltre il 70% dei decessi ha riguardato persone con
ipertensione arteriosa, malattie cardiache, diabete e altri disordini
metabolici.
Ma non torna la distribuzione dei morti per etnia. Negli Stati Uniti la
componente bianca rappresenta il 60% della popolazione, quella nera il 13%,
quella latinoamericana il 17%.
Tuttavia i deceduti bianchi hanno rappresentato
il 52% del totale, mentre quelli neri il 21%, alla pari con i latino americani.
Numeri, però, che esprimono tutto il loro significato solo se associati a
un altro raffronto: i morti di ciascun gruppo in rapporto alla
propria popolazione.
Facendo questo esercizio scopriamo che
la componente nera è quella a maggior mortalità con un deceduto ogni mille
abitanti, un’incidenza più che doppia rispetto a quella della popolazione
bianca, il cui tasso di mortalità si è fermata allo 0, 4 per
mille, percentuale ampiamente al di sotto anche di quella dei latino americani
attestata allo 0,7 per mille.
Dal che se ne deduce che neri e latino
americani hanno un tasso di malattie cardiovascolari e metaboliche più alto
della popolazione bianca.
Ed essendo altrettanto certo che la popolazione nera e latino americana
generalmente è più povera di quella bianca, rimane da capire perché i più
poveri hanno una maggiore propensione dei ricchi a sviluppare tali malattie.
Molti analisti concordano che la spiegazione vada
ricercata negli stili di vita, in particolare nell’alimentazione scorretta e
nella sedentarietà.
Da un punto di vista alimentare i più poveri hanno la tendenza ad escludere
frutta e verdura, generalmente di alto prezzo, per orientarsi verso il
cibo industriale, anche detto junk food, cibo spazzatura, che a causa
dell’elevato tenore di grassi, zuccheri e sali, a lungo andare
destabilizza l’organismo.
Scarse conoscenze, pochi soldi e una vita di
corsa sono alla base di modi di alimentarsi insalubri, mentre la tendenza a
fare poco movimento, neanche le camminate, è alimentata dalla poca sicurezza
esistente nei quartieri poveri e dalla mancanza di zone verdi in cui fare moto
senza l’incubo del traffico.
Gli inevitabili effetti sono sovrappeso e obesità e insieme ad
essi ipertensione, malattie cardiocircolatorie, diabete. Il sovrappeso desta preoccupazione anche in
Gran Bretagna dove il problema riguarda il 64% della popolazione adulta.
Ed ora che Boris Johnson ha messo a fuoco quanto possa essere letale in
caso di malattia da coronavirus, ha deciso di lanciare una crociata
per riportare il popolo britannico al peso forma.
Fra le proposte c’è quella di proibire la pubblicità del cibo
spazzatura durante le ore di maggiore ascolto della TV da parte dei
bambini, di proibirne le promozioni commerciali, di costringere i ristoranti ad
accompagnare i menù con l’indicazione delle calorie sviluppate, di incoraggiare
i medici a prescrivere l’esercizio fisico.
Ma i critici fanno notare che la vera terapia per
sconfiggere il sovrappeso è la lotta all’ignoranza, alle disuguaglianze e alla
povertà.
(articolo pubblicato anche sul quotidiano l’Avvenire)