La rivista americana TIME ha inserito tra le 100 persone più influenti dell’anno Alicia Garza, Patrisse Cullors e Opal Tometi, le tre donne fondatrici del movimento Black Lives Matter, tornato al centro delle mobilitazioni questa primavera dopo l’uccisione da parte della polizia di George Floyd a Minneapolis. "Quelle tre parole sono diventate un grido di battaglia per migliaia di persone in tutto il mondo che protestano contro la violenza e il razzismo sistemico contro i neri", si legge sulla rivista. Oggi, Black Lives Matter "è cresciuto, fino a diventare uno dei gruppi più influenti al mondo per quanto riguarda la giustizia sociale".
C’è chi ne
parla come del movimento più grande della storia americana:
alle manifestazioni in seguito alla morte di Floyd hanno partecipato tra i 15 e
i 26 milioni di persone; tra maggio e agosto sono state organizzate negli USA
7.750 proteste in 50 stati, e in 60 paesi a livello internazionale. Secondo il
professore di sociologia dell'University of North Carolina Kenneth Andrews, «la
diffusione geografica delle proteste è una caratteristica importante e aiuta a
individuare la profondità e l'ampiezza del sostegno guadagnato dal movimento».
“La prima
volta che ho sentito parlare di Black Lives Matter è stato nell’anno in cui mio
figlio Trayvon è stato ucciso”, ha scritto Sybrina Fulton, madre di Trayvon
Martin, 17enne afroamericano ucciso il 26 febbraio 2012 da un
vigilante volontario di quartiere mentre rientrava a casa. In quel momento,
ricorda Fulton, non si trattava di un movimento a livello nazionale, ma di
qualcosa di cui la gente parlava all’interno di cerchie ristrette.
Intorno alle
sette di sera del 26 febbraio 2012, Martin stava camminando in una strada di
Sanford, in Florida. Indossava una felpa con il cappuccio sollevato sulla
testa, era disarmato, e nelle mani aveva una bibita e delle caramelle. È stato
notato da George Zimmerman, un vigilante volontario delle ronde di quartiere di
29 anni, che ha chiamato il 911 e l’ha segnalato alla polizia perché
“sospetto”. Successivamente, ha iniziato a seguirlo con la macchina e poi gli è
andato incontro a piedi, convinto che si trattasse di un ladro. Tra i due c’è
stato un alterco, al termine del quale Zimmerman ha sparato a Martin,
uccidendolo. Il 29enne ha ammesso l’omicidio sin dal primo interrogatorio, ma è
stato portato in carcere solo sei settimane dopo.
Nel 2013, al
termine di un processo seguitissimo da tutti i media americani, Zimmerman è stato dichiarato non colpevole per
l’omicidio del 17enne. Secondo la Corte l’uomo aveva agito per legittima
difesa. La decisione del tribunale scatenò proteste e indignazione. L’attivista
Alicia Garza, di Oakland, ha postato un messaggio su Facebook,
che si concludeva con queste parole: “Persone nere. Vi amo. Le nostre vite
contano”.
Patrisse
Cullors, amica di Garza, ha condiviso il post aggiungendo l’hashtag
#BlackLivesMatter, diventato in pochissimo tempo virale. Opal Tometi, attivista
per i diritti degli immigrati a New York con la Black Alliance for Just
Immigration, è la terza fondatrice, che ha costruito la piattaforma BlackLivesMatter.com.
«Ho aperto una pagina Facebook e un account Twitter», ha spiegato Tometi, che si è messa in
contatto con altri attivisti neri chiedendo loro di utilizzare
#BlackLivesMatter come ombrello. Il riconoscimento a livello nazionale è
arrivato nel 2014, dopo le proteste in seguito agli omicidi di due uomini
neri, Michael Brown a Ferguson e Eric Garner a New York.
I social
hanno avuto un ruolo importante nella crescita di BLM, soprattutto in un primo
momento. Secondo Tometi, si sono rivelati molto più di uno strumento efficiente
per diffondere il messaggio: sono stati un modo per approfondire la
comprensione da parte delle persone del razzismo
strutturale, mostrando connessioni
tra episodi apparentemente non correlati. «Non si trattava solo
di Mike Brown, Trayvon Martin, Renisha McBride... Non si trattava solo di
singoli nomi, che sono comunque estremamente importanti. Non potrei mai
e poi mai omettere le loro individualità e l’amore che le loro famiglie e
comunità hanno per loro», ha spiegato in una lunga intervista
al Guardian. «Quello che era
importante però è il fatto di vivere in una società in cui i nostri
cari possono essere sistematicamente portati via da noi. E non ci sarebbe
giustizia».
Tometi descrive Black Lives Matter come un movimento senza leader. La pratica è quella del community organizing, che parte dal sostegno delle comunità locali. Il non avere un leader non significa che BLM sia in balia di disordinate esplosioni di rabbia sociale: è organizzato volutamente attraverso una struttura decentralizzata e orizzontale, che raccoglie insieme esperienze e realtà molto diverse tra loro. Non è una mancanza, ma un punto di forza: «Abbiamo visto cosa è accaduto in passato, quando ci sono state una o due figure di spicco e sono state assassinate. Ha destabilizzato le loro organizzazioni. Quindi quello che stiamo provando a fare adesso è essere più forti di quanto lo siamo stati in passato. I leader sono ovunque. Sì, uno può anche andare via, ma ne spunteranno altri dieci». Già nel 2015 Garza aveva spiegato al Guardian che il movimento ha «molti leader», solo che «non si trovano dove li cercheresti. Se cerchi soltanto il predicatore maschio nero eterosessuale non lo troverai».
Una
caratteristica fondamentale del movimento è infatti l’inclusività. Sin
dall’inizio, precisa Tometi, «questo movimento riguarda tutti noi e riconosce
che le persone nere non sono un monolite»: «Io sono figlia di immigrati, Alicia
e Patrisse sono queer. Naturalmente le nostre identità hanno
un’influenza». Le fondatrici insistono sul fatto che Black Lives Matter
sia sempre stata una “frase ombrello”, intenzionalmente ampia per includere le
lotte non solo contro il sistema di giustizia e carcerario, ma anche il
razzismo nell’istruzione, nella sanità e in altri ambiti sociali. Dal
sito della piattaforma, la missione di BLM è "sdradicare il
suprematismo bianco e costruire potere a livello locale per intervenire sulla
violenza inflitta alle comunità nere dallo Stato e dai vigilantes civili".
“Sono solo
tre, ma sono ovunque. Fanno in modo che la gente pensi: che succederebbe se mio
figlio 17enne avesse un cappuccio sulla testa, fosse disarmato, avesse in mano
solo caramelle e una bibita e giacesse morto sull’asfalto? Se tua figlia stesse
dormendo nel suo letto e la polizia buttasse giù la porta e la uccidesse? Come
ti sentiresti? Questo è quello che ‘Black Lives Matters’ chiede”, ha scritto
Fulton, madre di Trayvon Martin, in un ritratto delle tre fondatrici di BLM
su TIME.
Dopo
l’omicidio di suo figlio, ci sono stati molti altri
casi: Eric Garner, Mike Brown, Tamir Rice, Jordan Davis, Dontre
Hamilton, Oscar Grant e, solo nei mesi più recenti, George Floyd, Ahmaud
Arbery, Breonna Taylor e altri. Ma, afferma Fulton, “quest’anno sembra
diverso. Da quando ha iniziato a circolare il video dell’uccisione di George Floyd, le
persone stanno effettivamente assistendo a ciò che gli afroamericani hanno
vissuto per la maggior parte delle loro vite. Una volta che lo vedi, non
puoi continuare a non vederlo. Una volta che senti quel dolore nel
petto, non puoi smettere di sentirlo. Sono contenta che ci siano più giovani
coinvolti, più nazionalità, più etnie. Le proteste adesso sono un arcobaleno di
persone di ogni estrazione sociale, in diversi paesi, che si uniscono e dicono:
‘Le vite dei neri contano’”.
Secondo la storica attivista
afroamericana per i diritti civili Angela Davis, «non abbiamo mai assistito a
manifestazioni prolungate di queste dimensioni e di questa varietà. Perciò
ritengo che questo stia dando alla gente una grande speranza. Prima molte persone
allo slogan Black Lives Matter rispondevano: 'Ma non dovremmo dire che tutte le
vite contano?' Adesso finalmente lo stanno capendo. Che finché le persone nere
continueranno a essere trattate in questo modo, finché la violenza del razzismo
rimarrà tale, nessuno sarà al sicuro».
Dire
"Black Lives Matter" non significa stabilire una gerarchia secondo
cui le vite dei neri contano più di quelle degli altri, o le altre vite non
contano affatto - come vorrebbe far intendere chi propone di sostituire lo slogan
con "All Lives Matter". Utilizzare una frase del genere - fatta
propria da chi esprime visioni perlopiù razziste - manca completamente il
punto: nega l'esistenza del razzismo sistemico, le esperienze vissute ogni
giorno dalle persone nere a causa del colore della propria pelle (e non da
quelle bianche) e le lotte che da anni le comunità nere portano avanti. Come si
legge su Vox, "gli attivisti di Black Lives
Matter ritengono che ad esempio la frequenza con cui le forze dell'ordine uccidono i
neri americani e le circostanze di quelle morti siano la prova
che la polizia non si preoccupa abbastanza delle vite dei neri da proteggerle
tanto quanto quelle bianche. Tutte le vite contano, ma le vite nere sono più
minacciate. Quindi pensano che sia necessario un promemoria esplicito".
Negli ultimi sette anni Black Lives Matter si è evoluto in qualcosa di molto più grande di quanto fosse all'inizio: è diventato "un movimento di liberazione ampio, multietnico, focalizzato sulla riforma della giustizia, sulle politiche razziste e altre cause correlate", scrive Sean Illing su Vox. Ma durante questo passaggio, BLM non si è solo allargato, “è anche diventato più radicale nella sua richiesta di uguaglianza. Eppure, sorprendentemente, questo ha accresciuto il suo fascino, invece che diminuirlo”.
In un
articolo su The Atlantic la giornalista
Syreeta McFadden si è interrogata sul futuro di Black Lives Matter dopo lo
straordinario impulso per un cambiamento culturale e politico dato dalle
manifestazioni di quest’estate. Nelle comunità sparse per il paese, sui muri ci
sono i ritratti di George Floyd e Breonna Taylor, cartelli ‘Black Lives Matter’
sono affissi su finestre o vetrine dei negozi e la stessa scritta campeggia per
le strade delle città, sono state tirate giù statue che ricordavano personaggi
razzisti e segregazionisti, grandi marchi hanno dichiarato di riconoscere
l’esistenza di un razzismo sistemico, il dipartimento di polizia di Minneapolis
è stato smantellato.
La
giornalista osserva che già a giugno – all’apice delle proteste – si è
avvertita la mancanza nel paese di una volontà condivisa di riforma della
polizia. Il ferimento di Jacob Blake a Kenosha, e le
proteste che sono seguite, hanno riportato la questione all’attenzione
pubblica, e potranno esercitare nuova pressione sui legislatori per agire. Ma
nel frattempo, il movimento è certamente entrato in una seconda fase. Quest'ultima
si concretizza in una piattaforma che tiene insieme istanze che riguardano la
violenza della polizia, la giustizia riproduttiva, il cambiamento climatico,
l'immigrazione, i diritti delle persone disabili e di quelle transgender. Oltre
alla "fine della guerra ai neri", il
movimento chiede l'approvazione del "Breathe Act", una legislazione che
vorrebbe chiudere i centri di detenzione per migranti, togliere i fondi ai
dipartimenti di polizia e ripristinare programmi sociali per gli ex detenuti.
Altre richieste riguardano forme di riparazione nei confronti delle comunità
indigene e dei contadini neri deprivati delle loro
terre e difesa e protezione delle persone trans.
Ma l'azione,
scrive McFadden, è solo una parte delle componenti che costituiscono la
longevità dei movimenti, che spesso affrontano battute d'arresto o pause lunghe
decenni: "Quando Black Lives Matter ha catturato per la prima volta
l'attenzione nazionale e si è diffuso nelle città americane alla fine dell'estate
del 2014, c'erano stati tre grossi casi di persone nere uccise: John Crawford
III in Ohio, Eric Garner a New York, e Michael Brown in Missouri. È stato
l'omicidio del 18enne Brown da parte di un agente di polizia a Ferguson che ha
segnato un punto di svolta nel movimento: il paese ha visto diverse settimane
di rivolte e proteste, che chiedevano di riformare la
polizia e un'assunzione di responsabilità per quelle morti. Quell'energia si è
propagata a Chicago, New York, Baton Rouge, Dallas, Minneapolis, Milwaukee,
Oakland, St. Louis e altre città fino al 2016".
Le proteste
in strada si sono placate con l'avvento della presidenza Trump. Ma, sottolinea
la giornalista, questo non significa che gli attivisti non stessero continuando
a lavorare dietro le quinte: il "Movement for Black Lives" per
esempio nel 2016 ha creato una piattaforma con l'obiettivo di
influenzare maggiormente la politica elettorale, facendo campagna per
investimenti nell'istruzione e nella sanità, giustizia economica; gli attivisti
di Ferguson hanno lanciato "Campaign Zero", un progetto basato sui
dati che pone l'attenzione sui contratti dei sindacati di polizia e su come
questi rendano difficile indagare sugli agenti o licenziarli in caso di accuse
ripetute di cattiva condotta.
"Gli
attivisti di questi gruppi, insieme a quelli del network globale di Black Lives
Matter, hanno mantenuto per anni obiettivi chiari", afferma McFadden,
secondo cui questo alla lunga ha pagato. Nel 2016, solo il 43% degli americani supportava il
movimento Black Lives Matter. "Quattro anni dopo, l’ago si è spostato
significativamente. La maggioranza degli americani – e più
della metà dei bianchi – sostiene le proteste così come una più
ampia riforma della polizia". Per la giornalista, idee che una volta erano
considerate troppo radicali sono entrate in modo significativo nel discorso
mainstream. BLM è un “network decentralizzato e interdipendente di
organizzazioni e individui che canalizzano le loro energie verso la costruzione
di una società dove le persone nere possono prosperare". L'impronta
inclusiva e intersezionale - "Tutte (cis/trans/queer/disabili) le vite
nere contano" -, può essere la cifra che può permettergli di durare ancora
nel tempo.
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