Cos’è lo schwa, e come si pronuncia
Cioè "ə", il simbolo citato sempre
più spesso nel dibattito per una lingua italiana più inclusiva
Nel dibattito in corso da alcuni anni su come rendere
l’italiano una lingua più inclusiva e meno legata al predominio del genere
maschile – di cui si è parlato anche sui giornali, di recente – una delle soluzioni più citate riguarda
l’utilizzo del simbolo ə, chiamato schwa, al posto della desinenza maschile per definire un gruppo
misto di persone, come attualmente si insegna a scuola.
Lo schwa non è un simbolo molto
familiare per chi parla e scrive una lingua europea – non c’è un modo per
digitarlo facilmente sulle tastiere di pc e smartphone, per esempio – ma viene
utilizzato da decenni dai linguisti e si trova anche nell’alfabeto fonetico internazionale, cioè il sistema riconosciuto a livello internazionale per
definire la corretta pronuncia delle migliaia di lingue scritte che esistono
nel mondo.
Nel sistema fonetico lo schwa identifica
una vocale intermedia, il cui suono cioè si pone esattamente a metà strada fra
le vocali esistenti. Si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della
bocca, senza deformarla in alcun modo e aprendola leggermente: qui potete ascoltare il suono che avevano in mente i
compilatori dell’alfabeto fonetico internazionale.
È un suono assai presente nell’inglese moderno in varie
forme – dalla “a” di about, “a proposito”, fino alla “u” di survive,
sopravvivere – ma anche in alcuni dialetti italiani: pensate per esempio alla
vocale indistinta che i napoletani usano per l’imprecazione mamm’t, e
che nell’italiano scritto non riusciamo a codificare in un simbolo preciso,
oppure alla vocale finale nei dialetti del Centro Italia, in cui “sempre”
diventa semprə, “bello” bellə, e così via.
Introdurre un nuovo suono nell’italiano parlato sembra
comunque piuttosto complicato: sia per le abitudini molto radicate dei
parlanti, sia perché l’italiano è una lingua piena di eccezioni e varianti.
Sembra più praticabile introdurla nella lingua scritta, il contesto da dove
proviene il concetto stesso di schwa.
Il termine schwa è attestato per la
prima volta nell’ebraico medievale parlato da un gruppo di eruditi attorno al
decimo secolo dopo Cristo. La sua etimologia non è chiara: alcuni ritengono che sia un lontano parente della parola ebraica shav,
“niente”, altri che c’entri col significato di “pari”, “uguale”. Sappiamo però
che a un certo punto la parola schwa fu utilizzata per
definire i due puntini che nell’ebraico biblico, posti sotto una consonante,
indicano una vocale brevissima o l’assenza di una vocale.
Secoli più tardi, nel 1821, il linguista tedesco Johann
Andreas Schmeller stava compilando una grammatica del tedesco bavarese e aveva
bisogno di un simbolo che indicasse una vocale molto breve, che evidentemente
percepiva come vicino allo schwa ebraico. Così inventò un
simbolo dell’alfabeto latino che potesse rappresentarlo, cioè ə. Alcuni anni più
tardi l’esperto di fonetica Alexander John Ellis utilizzò lo stesso simbolo per
definire una vocale indistinta presente nella lingua inglese, e da lì lo schwa arrivò
fino all’alfabeto fonetico internazionale, compilato alla fine dell’Ottocento.
In passato lo schwa è stato già usato
come convenzione grafica: alla fine dell’Ottocento il celebre linguista
svizzero Ferdinand de Saussure teorizzò che l’indoeuropeo – cioè il ricettacolo
di suoni associati a idee da cui deriva la maggior parte delle lingue parlate
oggi in Europa, oltre all’indiano e al farsi – avesse un’unica vocale
indistinta e pronunciata con la gola “strozzata” che identificò con lo schwa,
da cui ogni lingua avrebbe sviluppato in maniera autonoma le vocali che
conosciamo oggi.
Secondo Saussure la presenza della vocale indistinta era il
motivo per cui, per esempio, da una radice *pəter derivano il
latino pater (poi “padre” in italiano) e piter
in sanscrito, l’antichissima lingua sacra parlata in India già nel primo
millennio a.C. Nei decenni successivi l’intuizione di Saussure si è evoluta
nella cosiddetta teoria delle laringali – dalla parte della gola che si pensa
coinvolta nella produzione delle vocali primitive – di cui ancora oggi si
discute fra gli storici dell’indoeuropeo.
La ragione per cui chi promuove un utilizzo più inclusivo
in italiano propone di utilizzare lo schwa prende spunto sia
dall’uso che se ne fa oggi, nell’ambito dell’alfabeto fonetico internazionale,
sia nel suo passato da convenzione grafica (oggi per definire le laringali gli
studiosi preferiscono utilizzare il simbolo h). C’è un’altra
ragione, più intuitiva: come ha scritto Luca
Boschetto, un attivista fra i primi a suggerire l’utilizzo dello schwa
nell’italiano scritto, lo schwa «graficamente assomiglia ad una forma
intermedia tra una “a” e una “o”», cioè le due vocali con cui in italiano
identifichiamo con maggiore frequenza il genere femminile e quello maschile.
La linguista Vera Gheno, che da tempo sostiene la necessità
di trovare soluzioni alternative per evitare il predominio del maschile come ad
esempio l’asterisco, di recente ha scritto di
avere una «preferenza» per lo schwa perché «rappresenta la
vocale media per eccellenza» e «il vantaggio è che, al contrario di altri
simboli non alfabetici, ha un suono – e un suono davvero medio, non come la U
che in alcuni dialetti denota un maschile».
Per utilizzare lo schwa nelle tastiere
più comuni, qui ci sono le
indicazioni da seguire: sui sistemi Windows è più facile, mentre su Mac se
volete evitare passaggi troppo complicati potete accontentarvi del simbolo matematico
∂, che si scrive cliccando option + caps lock + d. Ma la cosa più semplice è
comunque copiarlo e incollarlo, ad esempio da qui: ə.
Quindi come
si pronuncia lo schwa? – Alice Orrù
Se a
leggerlo sembra strano, o un errore di battitura, a voce è molto più semplice:
lo schwa è il suono vocalico più diffuso in inglese, ma lo usiamo già anche in
diversi dialetti italiani.
Il
napoletano, il piemontese, il pavese, alcuni dialetti emiliani e del sud Italia
fanno da secoli uso dello schwa.
Con questo
video puoi imparare a pronunciarlo in meno di 5 minuti:
Come e perché usare lo schwa nell’italiano inclusivo
Ok, le
premesse linguistiche ci sono ma, visto che lo schwa non esiste nel nostro
alfabeto, perché e come usarlo in italiano?
Tempo fa ho
trovato la risposta nella proposta di Italiano Inclusivo, ideata da Luca Boschetto. Questo sito e le risorse
che si trovano al suo interno mi hanno aiutata ad approfondire i motivi per cui
lo schwa potrebbe essere una buona soluzione per un italiano inclusivo.
L’insita discriminazione di una lingua flessiva
L’italiano è
una lingua flessiva: declina per genere i pronomi, gli articoli, i sostantivi,
gli aggettivi e i participi passati.
Questo significa che parlare in modo neutro rispetto al genere della persona
oggetto del discorso è molto difficile.
E infatti,
nel nostro italiano primeggia il ricorso al maschile sovraesteso, quello
su cui ripieghiamo ogni volta che ci riferiamo a una moltitudine mista.
Un esempio
banale della facilità con cui passiamo al maschile sovraesteso?
La mia classe di yoga.
La partecipazione è, nove volte su dieci, completamente al femminile e l’istruttrice
coniuga le sue istruzioni di conseguenza: ci chiama ragazze, ci
complimenta con un bravissime.
Una volta su dieci, però, partecipa alla lezione anche un uomo. Un solo uomo in
una classe di 15 donne. In quelle occasioni, la nostra istruttrice coniuga la
lezione completamente al maschile: ci chiama ragazzi e ci dice
che siamo bravissimi.
Questo
passaggio linguistico nasconde in un attimo un intero collettivo
femminile per la sola presenza di un individuo di sesso maschile. Una cosa
di poco conto, forse, in un contesto informale come una classe di yoga.
Qual è invece il suo impatto quando si parla a una collettività?
Penso alla scuola, ai gruppi di lavoro in azienda o ai discorsi alla
cittadinanza.
La lingua
che usiamo quotidianamente è il mezzo più potente e pervasivo per trasmettere
la nostra visione del mondo. Nel nostro uso della lingua italiana, lo
spazio dato al maschile è ancora troppo ampio e in qualche modo corrobora il
principio della marginalità della donna nella nostra società.
Se ne parlava
già negli anni ’80, quando la saggista e linguista Alma
Sabatini scrisse Il Sessismo nella lingua italiana.
Era il 1986, e la Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra
donna e uomo le affidò la cura delle linee guida rivolte alle scuole e
all’editoria scolastica per proporre l’eliminazione degli stereotipi di genere
dal linguaggio.
Alma Sabatini si concentra sull’uso del maschile sovraesteso ma anche sulle
lacune dei termini istituzionali e di potere mai declinati al femminile.
Non vi sono dubbi sull’importanza della lingua nella «costruzione sociale
della realtà»: attraverso di essa si assimilano molte delle regole sociali
indispensabili alla nostra sopravvivenza, attraverso i suoi simboli, i suoi
filtri si apprende a vedere il mondo, gli altri, noi stesse/i e a valutarli.
Alma
Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Roma, 1986
C’è quindi
bisogno di avanzare con un intervento più radicale per oltrepassare
la natura flessiva della lingua italiana.
Finora sono
state adottate diverse soluzioni per flessibilizzare l’italiano in modo che sia
più inclusivo verso le moltitudini miste: asterischi *, chiocciole @, la
duplicazione (care tutte e cari tutti), uso della u o
della y, e tantissime altre.
Vera Gheno le ha censite qualche mese fa in questo prezioso post su Facebook.
Lo schwa
rientra fra queste soluzioni e la sua introduzione nella grammatica italiana
potrebbe porre meno ostacoli ad altri simboli non leggibili né flessibili, come
asterischi e chiocchiole.
Uso pratico dello schwa in italiano
In questo
contesto, lo schwa /ə/ diventa una vocale vera e propria che sostituisce le
desinenze di nomi e aggettivi al singolare (-a/-o):
⎪Carə amicə miə, guarda che bello schwa!
Lo schwa
lungo /3/, invece, è la vocale centrale semiaperta non arrotondata che può sostituire la
desinenza al plurale.
⎪Spero che tutt3 quell3 che leggeranno questo post, mi vorranno
poi dire cosa ne pensano!
Casi particolari
L’italiano è
una lingua grammaticalmente complessa, e le sue irregolarità possono complicare
l’introduzione dello schwa.
Luca
Boschetti, nel sito italianoinclusivo.it, formula una proposta interessante per
superare gli ostacoli dati dalle irregolarità nella formazione di sostantivi,
aggettivi e articoli.
1.
L’articolo determinativo
In italiano,
l’attribuzione di genere ai sostantivi parte prima di tutto dall’articolo.
Quello determinativo potrebbe rappresentare un bello scoglio da circumnavigare.
Come introdurre lo schwa nella declinazione il – lo – la – il – gli –
le?
Boschetti ricorda che, nell’italiano arcaico, l’articolo maschile singolare
era lo; l’attuale il è una sua derivazione
posteriore.
Al singolare, quindi, l’introduzione dello schwa trasformerebbe l’articolo
determinativo singolare nella formula unica inclusiva lə.
Seguendo la
stessa logica, l’articolo determinativo plurale (i/gli/le) può
diventare l3.
2. Parole
ambigeneri che iniziano per vocale
Le parole
ambigenere (chiamate anche epicene) sono quelle che non cambiano forma con la declinazione
di genere: mi vengono in mente artista, cantante, dipendente.
Cosa succede
con le parole ambigenere che iniziano per vocale, come artista?
Ora abbiamo un artista per il maschile e un’artista per
il femminile.
Finora abbiamo usato l’apostrofo per indicare l’elisione della a nella
forma femminile.
Per questi
casi, Boschetti propone di sostituire l’apostrofo con l’asterisco: un*artista.
Nel parlato, non ci sarebbe nessuna differenza.
3.
Sostantivi irregolari
Altro caso
che mette in luce la complessità della nostra lingua è la forma irregolare per
alcuni sostantivi.
Direttore e
direttrice, professore e professoressa, pittore e pittrice, poeta e poetessa,
lettore e lettrice.
In questi
casi, potremmo mantenere la radice della parola e aggiungere la desinenza
inclusiva: direttorə, professorə, pittorə, poetə, lettorə.
Ecco un
riepilogo che schematizza tutti i casi, regolari e particolari.
Come usare
lo schwa: un riepilogo (Fonte: italianoinclusivo.it)
Una lingua che accompagna una società in evoluzione
Amo lo schwa
perché credo nel suo potere di far cadere la barriera linguistica di genere,
rappresentando anche le persone che non si riconoscono in un genere
binario (e sono tante, più di quante crediamo).
Una società
che cambia e si evolve ha bisogno di una lingua che le vada dietro. Possiamo
contribuire a farlo con una vocale in più.
Sono una
gran fan dell’adagio “un passo alla volta”.
Postilla finale: Naturalmente non sarà uno schwa a salvare, da solo,
l’inclusività del linguaggio. Sono tante altre le misure che ancora dobbiamo
abbracciare per raffigurare le diversità della nostra società e migliorare la
rappresentanza di genere.
Anche con i fatti, non solo con le parole.
Ma ecco, ricordiamo che rendere più inclusiva la nostra lingua non toglie
alcuna energia alle altre importanti questioni che girano intorno alla parità
di genere.
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