Mi impressiona molto la scarsità di
gruppi di giovani artisti in Italia che si riconoscono tra loro sulla base di
idee condivise e combattive.
Dopo la prima e la seconda guerra
mondiale, quanti movimenti, quanti manifesti! Dalla Germania
dell'espressionismo e della “nuova oggettività” e del Bauhaus, alla Russia del
simbolismo e del realismo, del futurismo majakovskiano e dell'acmeismo e di
dieci altri movimenti con relativi manifesti (il più dimenticato quello, da me
amatissimo, dei “fratelli di Serapione”), dalla Svizzera dei dadaisti alla
Francia dei surrealisti e perfino all'Italia dei “vociani” e dei “rondisti”,
dei futuristi in versione fascistoide, e poi al realismo magico eccetera. Un
dilagare di rivolte intellettuali (ma non solo, ché era il tempo delle
rivoluzioni sociali e politiche) che avevano la loro base nel rifiuto di quella
cultura borghese che aveva portato al massacro di giovani della prima guerra
mondiale. Ma anche dopo la seconda, tanti furono i gruppi e tanti i loro
manifesti: con la corrente dell'esistenzialismo, più diffusa di quel che non si
pensi anche in Italia, Svezia, Giappone, di risposta ai massimi massacri della
storia e stavolta su scala quasi mondiale, e negli anni cinquanta delle nouvelles vagues (cinema, teatro,
letteratura, musica, pittura...) che annunciarono le rivolte giovanili del '68,
e intanto, in molti paesi, erano direttamente coinvolte nei movimenti di
liberazione anti-colonialisti, dall'America latina all'Africa all'Asia.
Anti-borghesi (per esempio il Gruppo 47 in Germania) ma anche inter-borghesi
(il Gruppo 63 in Italia), si trattò pur sempre
di associazioni magari transitorie di giovani artisti irrequieti, che cercavano
nelle arti quel “nuovo” che una società in trasformazione esigeva.
Ai manifesti si aggiungevano, dando
continuità e allargando l'area dei loro seguaci, tante riviste. Ma sono gli anni
sessanta gli ultimi ad aver prodotto movimenti artistici coinvolti fortemente
in quelli sociali. Sono gli anni novanta a vederne gli ultimi esempi, intendo
di gruppi e non di singoli artisti ché di quelli per fortuna ce n'è ancora e
forse ce ne saranno sempre, ricettivi in modi personali ma rappresentativi e
alti nei confronti della realtà, delle sue trasformazioni. A livelli “alti” e
ancora centrali ma anche “bassi” e marginali. Singoli ce ne sono, gruppi mi
sembra proprio di no. E ovviamente, non solo in Italia. Non ci sono più gruppi,
e gli unici che si considerano tali sono congreghe mediatiche da internet, sono
adunate di scontenti che un tempo avremmo chiamato “senza causa” (e sì, penso
ai “ribelli senza causa” dei film alla James Dean degli anni cinquanta, di
prima del grande risveglio di una generazione su cui non mi stancherò mai di
consigliare ai giovani benintenzionati di oggi la lettura o rilettura del Manifesto di Port Huron degli
studenti Usa, dal cuore del capitalismo e dell'imperialismo...).
Poi, con la sconfitta delle rivolte
sociali e delle grandi speranze socialiste e democratiche (se non per sempre,
molto a lungo ancora, della triade dell'89: Libertà, Uguaglianza, Fraternità)
ha vinto, come ha scritto il più grande sociologo dei nuovi tempi, Christopher Lasch,
il ripiegamento del singolo e dei gruppi nella "cultura del narcisismo", ha vinto la
parodia dell'individualismo sponsorizzata e propagandata da nuovi mezzi che
osano tuttavia chiamarsi ancora "di comunicazione" quando non sono
che di bieco imbonimento e manipolazione delle coscienze. E che trionfano nello
strappare ai milioni di frustrati di tutto il mondo ogni prospettiva di
rivolta, in cambio della miserabile consolazione di sfoghi estemporanei e
grotteschi, dell' “io penso che” gridato
da chi non sa più pensare e si fa invece pensare (guidare) dal Potere, dai suoi
mortali nemici...
Bene, mi è capitato di recente di
pensare a quali siano stati gli ultimi movimenti culturali di gruppo (quelli
“politici” tipo Sardine nascono e durano un attimo, felici di farsi recuperare
dal potere in quattro e quattr'otto, prodotti di una Società dello Spettacolo
contro la quale i loro teorici dicono di muoversi, ed è questa un'altra delle
più oscene ipocrisie di questi anni... e rilegga, chi vuole, cosa diceva della
“falsa coscienza” un tale che la rivoluzione ha provato a farla.)
Facendo i debiti confronti, ho
scoperto – mea culpa! - di essere stato a suo tempo piuttosto ingiusto nei
confronti dei due ultimi raggruppamenti culturali degni di venir chiamati
movimenti nell'Italia di appena ieri: i Cannibali e i Semplici. Erano
espressione degli anni Novanta del Novecento, quando ancora la società italiana
non era diventata (non aveva accettato di diventare) così culturalmente (non
economicamente, non socialmente) omologata, omogeneizzata.
I
Cannibali. Qualche nome e
qualche titolo? Aldo Nove (Woobinda), Tiziano Scarpa (Occhi sulla graticola), Giuseppe
Caliceti (Fonderia
Italghisa), Niccolò Ammaniti (Fango), ma si veda
anche l'antologia curata da Daniele Brolli, Gioventù
cannibale. Si presentavano come giovani e aggressivi disturbatori della
quiete, ribelli, irriverenti, provocatori. E lo erano. Guardavano alla
contemporaneità da insoddisfatti e da non-vinti - e da diversi, da minoritari,
coscienti di esserlo, persuasi di una visione altra da quelle correnti. E se
forse i risultati artistici non furono sempre all'altezza delle loro convinzioni
teoriche (anzi, diciamo pure etico-teoriche), portarono una boccata d'aria
nuova e necessaria nell'asfittica cultura italiana del tempo.
I
semplici. Sempre nello stesso
decennio “Il semplice” fu una rivista, ideata in area bolognese da Gianni
Celati (autore dei Narratori delle pianure, che
resta uno dei rari grandi libri di quegli anni) che venne pubblicata da
Feltrinelli e che ebbe come assidui collaboratori giovani scrittori di valore
come Ugo Cornia, Maurizio
Salabelle, Ermanno Cavazzoni, Daniele
Benati e altri. (Ma su Celati si vedano gli interventi raccolti in un volume a
lui dedicato della serie di “Riga”, a cura di Marco Belpoliti, Marco
Sironi e Anna Stefi.)
Se i Cannibali, come il nome
diceva, erano aggressivi, “cattivi”, i Semplici erano svagati, fantasiosi,
lievi. Un gruppo, comunque, di maggiore fortuna e durata di quello dei
Cannibali, anche se circondato da un mondo culturale (da una critica, da un
giornalismo, da un'università) superficiale e conformista; per il motivo che,
molto più che per i Cannibali, nella storia della letteratura italiana c'è
stata tutta una tradizione di “semplici” (spesso irritante nel suo “semplicismo”)
che arrivava fino al neorealismo degli Zavattini (ma il
primo, quello dei Tre libri in
particolare, che era poi il migliore, era il meno “buonista”) e non dei
Rossellini, Antonioni e Visconti... Sia chiaro: Celati è un grande scrittore e
un generoso maestro, e il Meridiano che gli è stato dedicato è uno dei più
meritati tra quelli dedicati agli scrittori e intellettuali italiani.
Al tempo, fui spesso ingeneroso nei
confronti di quelle due proposte, ma oggi ho una grande considerazione, anche storica, nei confronti di quei due gruppi.
Conta certamente il confronto con un'epoca tanto fitta di scrittori quanto
povera di scrittori di valore, e soprattutto priva
di gruppi, di manifesti, di movimenti... e dominata da un fastidioso,
improduttivo, spesso osceno narcisismo nella creazione e nel presunto esercizio
della critica presente nei blog. Anche se pure qui bisognerebbe distinguere:
non c'è solo uno stupido sfogo malsano, nella rete, ci sono anche testate e
firme di tutto rispetto e di notevole coraggio, diversità... Altrettanto
certamente, riprendere in mano molti di quei libri e confrontarsi con molti di
quegli autori fa avere nostalgia di un tempo in cui ancora, e si spera non per
l'ultima volta, dei giovani artisti si mettevano insieme su istanze comuni, per
ideali comuni. E diversi da quelli del dominio.
Superwoobinda
Torna il libro-culto che inizia con il celebre: «Ho
ucciso i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure &
Vegetal». Cinquantadue racconti ritmati e inanellati come celle di una prigione
sola, appartamenti di un megacondominio, canti di un unico poemetto delle
nostre anime dannate. Comico e tragico, comico perché tragico: i personaggi di
Nove sono dei poveri deficienti o almeno dei disturbati, dei poveri Renfield.
Narratori delle pianure
Nel 1984, Italo Calvino così annunciava la pubblicazione
di Narratori delle pianure: "Dopo vari anni di silenzio, Celati ritorna
ora con un libro che ha al suo centro la rappresentazione del mondo visibile, e
più ancora una accettazione interiore del paesaggio quotidiano in ciò che meno
sembrerebbe stimolare l'immaginazione".
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