giovedì 1 ottobre 2020

Non esistono più movimenti letterari in Italia? – Goffredo Fofi


Mi impressiona molto la scarsità di gruppi di giovani artisti in Italia che si riconoscono tra loro sulla base di idee condivise e combattive.

Dopo la prima e la seconda guerra mondiale, quanti movimenti, quanti manifesti! Dalla Germania dell'espressionismo e della “nuova oggettività” e del Bauhaus, alla Russia del simbolismo e del realismo, del futurismo majakovskiano e dell'acmeismo e di dieci altri movimenti con relativi manifesti (il più dimenticato quello, da me amatissimo, dei “fratelli di Serapione”), dalla Svizzera dei dadaisti alla Francia dei surrealisti e perfino all'Italia dei “vociani” e dei “rondisti”, dei futuristi in versione fascistoide, e poi al realismo magico eccetera. Un dilagare di rivolte intellettuali (ma non solo, ché era il tempo delle rivoluzioni sociali e politiche) che avevano la loro base nel rifiuto di quella cultura borghese che aveva portato al massacro di giovani della prima guerra mondiale. Ma anche dopo la seconda, tanti furono i gruppi e tanti i loro manifesti: con la corrente dell'esistenzialismo, più diffusa di quel che non si pensi anche in Italia, Svezia, Giappone, di risposta ai massimi massacri della storia e stavolta su scala quasi mondiale, e negli anni cinquanta delle nouvelles vagues (cinema, teatro, letteratura, musica, pittura...) che annunciarono le rivolte giovanili del '68, e intanto, in molti paesi, erano direttamente coinvolte nei movimenti di liberazione anti-colonialisti, dall'America latina all'Africa all'Asia. Anti-borghesi (per esempio il Gruppo 47 in Germania) ma anche inter-borghesi (il Gruppo 63 in Italia), si trattò pur sempre di associazioni magari transitorie di giovani artisti irrequieti, che cercavano nelle arti quel “nuovo” che una società in trasformazione esigeva.

Ai manifesti si aggiungevano, dando continuità e allargando l'area dei loro seguaci, tante riviste. Ma sono gli anni sessanta gli ultimi ad aver prodotto movimenti artistici coinvolti fortemente in quelli sociali. Sono gli anni novanta a vederne gli ultimi esempi, intendo di gruppi e non di singoli artisti ché di quelli per fortuna ce n'è ancora e forse ce ne saranno sempre, ricettivi in modi personali ma rappresentativi e alti nei confronti della realtà, delle sue trasformazioni. A livelli “alti” e ancora centrali ma anche “bassi” e marginali. Singoli ce ne sono, gruppi mi sembra proprio di no. E ovviamente, non solo in Italia. Non ci sono più gruppi, e gli unici che si considerano tali sono congreghe mediatiche da internet, sono adunate di scontenti che un tempo avremmo chiamato “senza causa” (e sì, penso ai “ribelli senza causa” dei film alla James Dean degli anni cinquanta, di prima del grande risveglio di una generazione su cui non mi stancherò mai di consigliare ai giovani benintenzionati di oggi la lettura o rilettura del Manifesto di Port Huron degli studenti Usa, dal cuore del capitalismo e dell'imperialismo...).

Poi, con la sconfitta delle rivolte sociali e delle grandi speranze socialiste e democratiche (se non per sempre, molto a lungo ancora, della triade dell'89: Libertà, Uguaglianza, Fraternità) ha vinto, come ha scritto il più grande sociologo dei nuovi tempi, Christopher Lasch, il ripiegamento del singolo e dei gruppi nella "cultura del narcisismo", ha vinto la parodia dell'individualismo sponsorizzata e propagandata da nuovi mezzi che osano tuttavia chiamarsi ancora "di comunicazione" quando non sono che di bieco imbonimento e manipolazione delle coscienze. E che trionfano nello strappare ai milioni di frustrati di tutto il mondo ogni prospettiva di rivolta, in cambio della miserabile consolazione di sfoghi estemporanei e grotteschi, dell' “io penso che” gridato da chi non sa più pensare e si fa invece pensare (guidare) dal Potere, dai suoi mortali nemici...

Bene, mi è capitato di recente di pensare a quali siano stati gli ultimi movimenti culturali di gruppo (quelli “politici” tipo Sardine nascono e durano un attimo, felici di farsi recuperare dal potere in quattro e quattr'otto, prodotti di una Società dello Spettacolo contro la quale i loro teorici dicono di muoversi, ed è questa un'altra delle più oscene ipocrisie di questi anni... e rilegga, chi vuole, cosa diceva della “falsa coscienza” un tale che la rivoluzione ha provato a farla.)

Facendo i debiti confronti, ho scoperto – mea culpa! - di essere stato a suo tempo piuttosto ingiusto nei confronti dei due ultimi raggruppamenti culturali degni di venir chiamati movimenti nell'Italia di appena ieri: i Cannibali e i Semplici. Erano espressione degli anni Novanta del Novecento, quando ancora la società italiana non era diventata (non aveva accettato di diventare) così culturalmente (non economicamente, non socialmente) omologata, omogeneizzata.

I Cannibali. Qualche nome e qualche titolo? Aldo Nove (Woobinda), Tiziano Scarpa (Occhi sulla graticola), Giuseppe Caliceti (Fonderia Italghisa), Niccolò Ammaniti (Fango), ma si veda anche l'antologia curata da Daniele Brolli, Gioventù cannibale. Si presentavano come giovani e aggressivi disturbatori della quiete, ribelli, irriverenti, provocatori. E lo erano. Guardavano alla contemporaneità da insoddisfatti e da non-vinti - e da diversi, da minoritari, coscienti di esserlo, persuasi di una visione altra da quelle correnti. E se forse i risultati artistici non furono sempre all'altezza delle loro convinzioni teoriche (anzi, diciamo pure etico-teoriche), portarono una boccata d'aria nuova e necessaria nell'asfittica cultura italiana del tempo.

I semplici. Sempre nello stesso decennio “Il semplice” fu una rivista, ideata in area bolognese da Gianni Celati (autore dei Narratori delle pianureche resta uno dei rari grandi libri di quegli anni) che venne pubblicata da Feltrinelli e che ebbe come assidui collaboratori giovani scrittori di valore come Ugo Cornia, Maurizio Salabelle, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati e altri. (Ma su Celati si vedano gli interventi raccolti in un volume a lui dedicato della serie di “Riga”, a cura di Marco Belpoliti, Marco Sironi e Anna Stefi.)

Se i Cannibali, come il nome diceva, erano aggressivi, “cattivi”, i Semplici erano svagati, fantasiosi, lievi. Un gruppo, comunque, di maggiore fortuna e durata di quello dei Cannibali, anche se circondato da un mondo culturale (da una critica, da un giornalismo, da un'università) superficiale e conformista; per il motivo che, molto più che per i Cannibali, nella storia della letteratura italiana c'è stata tutta una tradizione di “semplici” (spesso irritante nel suo “semplicismo”) che arrivava fino al neorealismo degli Zavattini (ma il primo, quello dei Tre libri in particolare, che era poi il migliore, era il meno “buonista”) e non dei Rossellini, Antonioni e Visconti... Sia chiaro: Celati è un grande scrittore e un generoso maestro, e il Meridiano che gli è stato dedicato è uno dei più meritati tra quelli dedicati agli scrittori e intellettuali italiani.

Al tempo, fui spesso ingeneroso nei confronti di quelle due proposte, ma oggi ho una grande considerazione, anche storica, nei confronti di quei due gruppi. Conta certamente il confronto con un'epoca tanto fitta di scrittori quanto povera di scrittori di valore, e soprattutto priva di gruppi, di manifesti, di movimenti... e dominata da un fastidioso, improduttivo, spesso osceno narcisismo nella creazione e nel presunto esercizio della critica presente nei blog. Anche se pure qui bisognerebbe distinguere: non c'è solo uno stupido sfogo malsano, nella rete, ci sono anche testate e firme di tutto rispetto e di notevole coraggio, diversità... Altrettanto certamente, riprendere in mano molti di quei libri e confrontarsi con molti di quegli autori fa avere nostalgia di un tempo in cui ancora, e si spera non per l'ultima volta, dei giovani artisti si mettevano insieme su istanze comuni, per ideali comuni. E diversi da quelli del dominio.

 

Superwoobinda di Aldo Nove

Torna il libro-culto che inizia con il celebre: «Ho ucciso i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal». Cinquantadue racconti ritmati e inanellati come celle di una prigione sola, appartamenti di un megacondominio, canti di un unico poemetto delle nostre anime dannate. Comico e tragico, comico perché tragico: i personaggi di Nove sono dei poveri deficienti o almeno dei disturbati, dei poveri Renfield.

 

Narratori delle pianure di Gianni Celati

Nel 1984, Italo Calvino così annunciava la pubblicazione di Narratori delle pianure: "Dopo vari anni di silenzio, Celati ritorna ora con un libro che ha al suo centro la rappresentazione del mondo visibile, e più ancora una accettazione interiore del paesaggio quotidiano in ciò che meno sembrerebbe stimolare l'immaginazione".

da qui

Nessun commento:

Posta un commento