Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:
Alle Reti di Resistenza e Disubbidienza:
Alle persone oneste che resistono in tutti gli angoli del pianeta:
Sorelle, fratelli, hermanoas:
Compagne, compagni y compañeroas:
I popoli originari di radice maya e zapatisti vi salutiamo e vi diciamo
quello che è arrivato nel nostro pensiero comune, secondo quanto vediamo,
ascoltiamo e sentiamo.
Primo. Osserviamo e ascoltiamo un mondo malato nella sua vita sociale,
frammentato in milioni di persone estranee tra loro, impegnate nella propria
sopravvivenza individuale, ma unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a
tutto pur di placare la sua sete di profitto, anche quando è chiaro che il suo
percorso va contro l’esistenza del pianeta Terra.
L’aberrazione del sistema e la sua stolta difesa del “progresso” e della
“modernità” si scontra con una realtà criminale: i femminicidi. L’omicidio
delle donne non ha colore né nazionalità, è mondiale. Se è assurdo e
irragionevole che qualcuno venga perseguitato, fatto sparire, ucciso a causa
del colore della sua pelle, della sua razza, della sua cultura, delle sue
convinzioni, non si può credere che essere donna equivalga a una condanna
all’emarginazione e alla morte.
In una prevedibile escalation (molestie, violenza fisica,
mutilazioni e omicidi), con l’avallo dell’impunità strutturale (“se lo
meritava”, “aveva dei tatuaggi”, “cosa ci faceva in quel posto a quell’ora?”, ”
con quei vestiti, c’era da aspettarselo”), gli omicidi delle donne non hanno
logica criminale se non quella del sistema. Di diversi strati sociali, razze
diverse, età che vanno dalla prima infanzia alla vecchiaia e in aree
geografiche distanti tra loro, il genere è l’unica costante. E il
sistema non è in grado di spiegare perché questo vada di pari passo con il suo
“sviluppo” e “progresso”. Nella indignante statistica delle morti, più una
società è “sviluppata”, maggiore è il numero di vittime in questa autentica
guerra di genere.
E la “civiltà” sembra dire ai popoli indigeni: “la prova del tuo
sottosviluppo è nel tuo basso tasso di femminicidi. Prendete
i vostri megaprogetti, i vostri treni, le vostre centrali termoelettriche, le
vostre miniere, le vostre dighe, i vostri centri commerciali, i vostri negozi
di elettrodomestici – con un canale televisivo compreso -, e imparate a
consumare. Siate come noi. Per saldare il debito di questo aiuto
progressista, non bastano le vostre terre, le vostre acque, le vostre culture,
le vostre dignità. Dovete completare con la vita delle donne”.
Secondo. Guardiamo ed ascoltiamo la natura ferita a morte, che, nella sua
agonia, avverte l’umanità che il peggio deve ancora venire. Ogni
catastrofe “naturale” annuncia la seguente e dimentica, convenientemente, che è
l’azione di un sistema umano a provocarla.
La morte e la distruzione non sono più una cosa lontana, che si limita ai
confini, rispetta i costumi e le convenzioni internazionali. La
distruzione in ogni angolo del mondo si ripercuote sull’intero pianeta.
Terzo. Osserviamo e ascoltiamo i potenti che si ritirano e si nascondono
nei cosiddetti Stati nazionali e nelle loro mura. E, in quell’impossibile
balzo indietro, rinascono nazionalismi fascisti, ridicoli sciovinismi e
assordanti chiacchiericci. In questo avvertiamo le guerre a venire, quelle che
si nutrono di storie false, vuote, menzognere e che traducono nazionalità e
razze in supremazia che si imporranno attraverso la morte e la
distruzione. In diversi paesi c’è una disputa tra i capoccia e coloro
che aspirano a succedergli, nascondendo che il capo, il padrone, è lo stesso e
non ha altra nazionalità se non quella del denaro. Nel frattempo, le
organizzazioni internazionali languono e diventano solo nomi, come pezzi da
museo … o nemmeno questo.
Nell’oscurità e nella confusione che precedono queste guerre, ascoltiamo e
vediamo l’attacco, l’assedio e la persecuzione di ogni accenno di creatività,
intelligenza e razionalità. Di fronte al pensiero critico i potenti
chiedono, esigono e impongono il proprio fanatismo. La morte che progettano,
coltivano e raccolgono non è solo fisica; include anche l’estinzione
dell’universalità propria dell’umanità – l’intelligenza -, i suoi progressi e
le sue conquiste. Nuove correnti esoteriche rinascono o vengono create, laiche
e no, mascherate da mode intellettuali o pseudo scienze, e le arti e le scienze
cercano di essere sottomesse alla militanza politica.
Quarto. La pandemia di COVID 19 non solo ha mostrato le vulnerabilità
dell’essere umano, ma anche l’avidità e la stupidità dei diversi governi
nazionali e delle loro presunte opposizioni. Le misure di più
elementare buon senso venivano disprezzate, scommettendo sempre che la Pandemia
sarebbe stata di breve durata. Quando il passaggio della malattia si è sempre
più prolungato, i numeri hanno cominciato a sostituire le tragedie. La
morte è diventata così un numero che si perde quotidianamente tra scandali e
dichiarazioni. Un cupo confronto tra ridicoli nazionalismi. La
percentuale di battute e punti guadagnati che determina quale squadra, o
nazione, è migliore o peggiore.
Come dettagliato in uno dei testi precedenti, nei territori
zapatisti abbiamo optato per la prevenzione e l’applicazione di misure
sanitarie che, all’epoca, sono state confrontate con scienziat@ che ci hanno
guidato e offerto, senza esitazione, il loro aiuto. I popoli zapatisti
sono loro grati ed è così che abbiamo voluto dimostrarlo. Dopo 6 mesi
dall’attuazione di queste misure (mascherine o equivalenti, distanza
tra le persone, chiusura dei contatti personali diretti con aree urbane,
quarantena di 15 giorni per chi fosse entrato in contatto con persone infette,
lavaggio frequente con acqua e sapone), lamentiamo la morte di 3
compagni che hanno presentato due o più sintomi associati al Covid 19 e che
hanno avuto contatti diretti con contagiati.
Altri 8 compagni e una compagna, morti in quel periodo, presentavano uno
dei sintomi. Poiché non abbiamo la possibilità di test, presumiamo che tutti i
12 compagn@ siano morti a causa del cosiddetto Coronavirus (gli scienziati
ci hanno consigliato di presumere che qualsiasi difficoltà respiratoria
potrebbe essere Covid 19). Queste 12 assenze sono nostra
responsabilità. Non sono colpa della Quarta Trasformazione o dell’opposizione,
dei neoliberisti o dei neo-conservatori, degli attivisti da tastiera o snob,
delle cospirazioni o complotti. Pensiamo che avremmo dovuto prendere ancora più
precauzioni.
Attualmente, a costo della mancanza di questi 12 compagn@, abbiamo
migliorato le misure di prevenzione in tutte le comunità, ora con il
supporto di Organizzazioni Non Governative e scienziati che, individualmente o
collettivamente, ci guidano nella maniera di affrontare con più forza una
possibile recrudescenza. Decine di migliaia di mascherine (progettate
appositamente per impedire ad un possibile portatore di infettare altre
persone, economiche, riutilizzabili e adattate alle circostanze) sono
state distribuite in tutte le comunità. Altre decine di migliaia vengono
prodotte nei laboratori di ricamo degli insurgent@s e nei
villaggi. L’uso massiccio di mascherine, le due settimane di quarantena per
chi potrebbe essere contagiato, la distanza e il lavaggio continuo di mani e
viso con acqua e sapone, ed evitando il più possibile di andare in città, sono
le misure consigliate anche per i fratelli dei partiti politici per contenere
la diffusione dei contagi e consentire il mantenimento della vita comunitaria.
I dettagli di quella che è stata ed è la nostra strategia potranno essere
consultati a tempo debito. Per ora diciamo, con la vita che batte nei
nostri corpi, che, secondo la nostra valutazione (che potrebbe essere
sbagliata), affrontando la minaccia come comunità, non come una questione
individuale, e indirizzando il nostro sforzo principale alla prevenzione, ci
permettiamo di dire, come popoli zapatisti: noi siamo qui, resistiamo,
viviamo, combattiamo.
E ora, in tutto il mondo, il grande capitale vuole che si torni
nelle strade in modo che le persone possano riprendere il loro status di
consumatori. Perché a preoccuparlo sono i problemi del Mercato: il letargo nel
consumo delle merci.
Bisogna riprendere le strade, sì, ma per lottare. Perché, come abbiamo
detto prima, la vita, la lotta per la vita, non è una questione individuale, ma
collettiva. Ora si vede che non è neppure una questione di nazionalità, è
mondiale.
-*-
Osserviamo ed ascoltiamo molte di queste cose. E ci pensiamo
molto. Ma non solo…
Quinto. Ascoltiamo e vediamo anche le resistenze e le ribellioni che,
non perché tenute sotto silenzio o dimenticate, cessano di essere chiave, indizi
di un’umanità che rifiuta di seguire il sistema nella sua veloce corsa al
collasso: il treno mortale del progresso che avanza, superbo e impeccabile
, verso il precipizio. Mentre il macchinista dimentica di essere solo un altro
impiegato e crede, ingenuamente, di decidere il percorso, quando non fa altro
che seguire la prigione dei binari verso l’abisso.
Resistenze e ribellioni che, senza dimenticare il pianto per le assenze,
insistono a lottare – chi lo direbbe – per la cosa più sovversiva che c’è in
questi mondi divisi tra neoliberisti e neo-conservatori: la vita.
Ribellioni e resistenze che capiscono, ognuna a suo modo, il proprio tempo
e la propria geografia, che le soluzioni non si basano sulla fede nei
governi nazionali, che non si sviluppano protette da confini né vestono
bandiere e lingue diverse.
Resistenze e ribellioni che insegnano a noi zapatist@, che le soluzioni
potrebbero essere sotto, negli scantinati e negli angoli del mondo. Non nei
palazzi governativi. Non negli uffici delle grandi aziende.
Ribellioni e resistenze che ci dimostrano che, se quelli in alto rompono i
ponti e chiudono i confini, non resta che navigare fiumi e mari per
ritrovarsi. Che la cura, se c’è, è mondiale, e ha il colore della
terra, del lavoro che vive e muore nelle strade e nei quartieri, nei mari e nei
cieli, nelle montagne e nelle sue viscere. Che, come il mais
originario, molti sono i suoi colori, le sue sfumature e suoni.
-*-
Tutto questo e altro ancora, guardiamo e ascoltiamo. E ci guardiamo e ci
ascoltiamo per quello che siamo: un numero che non conta. Perché la vita non
importa, non vende, non fa notizia, non entra nelle statistiche, non compete
nei sondaggi, non ha rating sui social, non
provoca, non rappresenta capitale politico, bandiera di partito, scandalo alla
moda. A chi importa che un piccolo, minuscolo gruppo di nativi, di
indigeni, viva, cioè combattano?
Perché risulta che viviamo. Che nonostante paramilitari,
pandemie, megaprogetti, bugie, calunnie e oblii, viviamo. Cioè, lottiamo.
Questo è ciò a cui pensiamo: che continuiamo a lottare. Cioè, continuiamo a
vivere. E pensiamo che durante tutti questi anni abbiamo ricevuto l’abbraccio
fraterno di persone del nostro paese e del mondo. E pensiamo che se la vita qui
resiste e, non senza difficoltà, fiorisce, è grazie a queste persone che hanno
sfidato distanze, procedure, frontiere e differenze culturali e linguistiche.
Grazie a tutti e tutte loro – ma soprattutto a tutte loro – che hanno sfidato e
sconfitto calendari e geografie.
Nelle montagne del sud-est messicano, tutti i mondi del mondo hanno
trovato, e trovano, ascolto nei nostri cuori. La loro parola e azione sono state
cibo per la resistenza e la ribellione, che non sono altro che la continuazione
di quelle dei nostri predecessori.
Persone con le scienze e le arti come loro strada, hanno trovato il modo di
abbracciarci e incoraggiarci, anche a distanza. Giornalisti,
snob e non, che hanno raccontato la miseria e la morte prima, la dignità e la
vita sempre. Persone di tutte le professioni e mestieri che, molto per noi,
forse un po’ per loro, sono state qua, e ci sono.
E abbiamo pensato a tutto questo nel nostro cuore collettivo, e
abbiamo pensato che ora è tempo per noi, le/gli zapatisti, di corrispondere
all’ascolto, alla parola e alla presenza di quei mondi. Vicini e lontani nella
geografia.
Sesto. E così abbiamo deciso:
Che è di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro
passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione.
Che diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e otroas del
colore della nostra terra, viaggeremo nel mondo, cammineremo o navigheremo
verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la
superiorità, non lo scontro, tanto meno il perdono e la pietà.
Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali.
Non solo l’umanità che anima le nostre diverse pelli, i nostri diversi
modi, i nostri diversi linguaggi e colori. Anche e soprattutto, il
sogno comune che, come specie, condividiamo da quando, in un’Africa che sembra
lontana, abbiamo iniziato a camminare dal grembo della prima donna: la ricerca
della libertà che ha animato quel primo passo … e che continua a camminare.
Che la prima destinazione di questo viaggio planetario sarà il
continente europeo.
Che navigheremo verso le terre europee. Che partiremo e che salperemo
dalle terre messicane, nel mese di aprile dell’anno 2021.
Che, dopo aver attraversato vari angoli d’Europa in basso e a
sinistra, arriveremo a Madrid, la capitale spagnola, il 13 agosto 2021
– 500 anni dopo la presunta conquista di quello che oggi è il Messico. E che,
subito dopo, proseguiremo il percorso.
Che parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare,
insultare o chiedere. Non per domandare di chiederci perdono. Non per servirlo
o per servirci .
Diremo al popolo spagnolo due semplici cose:
Uno: Che non ci hanno conquistato. Che continuiamo nella resistenza
e nella ribellione.
Due: Che non devono chiederci di perdonarli di nulla. Basta
giocare con il lontano passato per giustificare, con demagogia e ipocrisia, i
crimini attuali e in corso: l’omicidio di attivisti sociali, come il
fratello Samir Flores Soberanes, i genocidi nascosti dietro megaprogetti,
concepiti e realizzati per la felicità dei potenti – cosa che flagella ogni
angolo del pianeta -, il supporto economico e l’impunità per i paramilitari, il
mercanteggiamento di coscienze e dignità con 30 denari.
Noi zapatiste e zapatisti NON vogliamo tornare a quel passato, non da soli,
tanto meno per mano di chi vuole seminare risentimento razziale e intende
alimentare il proprio antiquato nazionalismo con il presunto splendore di un
impero, quello azteco, che crebbe a costo del sangue dei loro simili, e che
vuole convincerci che, con la caduta di quell’impero i popoli originari di
quelle terre furono sconfitti.
Né lo Stato Spagnolo né la Chiesa Cattolica devono chiederci perdono di
nulla. Non ci faremo eco dei commedianti che cavalcano sul nostro sangue e così
nascondono le mani che ne sono macchiate.
Di cosa dovrebbe scusarsi la Spagna? Di aver partorito Cervantes? José
Espronceda? León Felipe? Federico García Lorca? Manuel Vázquez
Montalbán? Miguel Hernández? Pedro Salinas? Antonio Machado? Lope de Vega?
Bécquer? Almudena Grandes? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina,
Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel,
Aute siempre? Buñuel, Almodóvar e Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León,
Bardem? Dalí, Miró, Goya, Picasso, el Greco e Velázquez? Alcuni dei migliori
pensieri critici mondiali contrassegnati dalla “A” libertaria? La
repubblica? L’esilio? Il fratello maya Gonzalo Guerrero?
Di cosa dovrebbe scusarsi la Chiesa cattolica? Del passo di Bartolomé
de las Casas? Di Don Samuel Ruiz García? Di Arturo Lona? Di Sergio Méndez
Arceo? Dalla sorella Chapis? Dei passi dei sacerdoti, delle religiose e delle
suore laiche che hanno camminato al fianco dei popoli originari senza dirigerli
o soppiantarli? Di chi rischia la libertà e la vita per difendere i diritti
umani?
-*-
Il 2021 segnerà il 20° anniversario della Marcia del Colore della Terra,
che portiamo avanti, insieme ai popoli fratelli del Congresso Nazionale
Indigeno, per rivendicare un posto in questa Nazione che si sta sgretolando.
20 anni dopo navigheremo e cammineremo per dire al pianeta che, nel mondo
che sentiamo nel nostro cuore collettivo, c’è spazio per tutti, tutte, todoas.
Molto semplicemente perché quel mondo è possibile solo se tutti, tutte, todoas,
lottiamo per risollevarlo.
Le delegazioni zapatiste saranno composte principalmente da donne. Non solo perché
intendono ricambiare l’abbraccio ricevuto nei precedenti incontri
internazionali. Anche e soprattutto perché noi uomini zapatisti sappiamo bene
che siamo quello che siamo, e non siamo, grazie a loro, per loro e con loro.
Invitiamo il CNI-CIG a formare una delegazione che ci accompagni e che così sia
più ricca la nostra parola per l’altro che combatte lontano. Invitiamo in
particolare una delegazione dei popoli che innalzano il nome, l’immagine e il
sangue del fratello Samir Flores Soberanes, affinché il suo dolore, la sua
rabbia, la sua lotta e resistenza arrivino più lontano.
Invitiamo coloro che hanno come vocazione, impegno e orizzonte, le arti e
le scienze, ad accompagnare, a distanza, le nostre navigazioni e passi. E così ci
aiutano a diffondere che nelle scienze e nelle arti c’è la possibilità non solo
della sopravvivenza dell’umanità, ma anche di un nuovo mondo.
Insomma: partiremo per l’Europa nell’aprile del 2021. La data e l’ora? Non
lo sappiamo … ancora.
-*-
Compagne, compagni, compañeroas:
Sorelle, fratelli e hermanoas:
Questo è il nostro impegno:
Di fronte ai potenti treni, le nostre canoe.
Di fronte alle centrali termoelettriche, le lucine che gli zapatisti hanno
affidato in custodia alle donne che combattono nel mondo.
Di fronte a muri e frontiere, la nostra navigazione collettiva.
Di fronte al grande capitale, una milpa comune.
Di fronte alla distruzione del pianeta, una montagna che naviga nell’alba.
Siamo zapatisti, portator@ del virus della resistenza e della ribellione.
In quanto tali, andremo nei 5 continenti.
È tutto… per ora.
Dalle montagne del Sudest Messicano.
A nome delle donne, uomini e otroas zapatisti.
Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, ottobre 2020
P.S. Sì, è la sesta parte e, come il viaggio, proseguirà nella direzione
opposta. Cioè, seguirà la quinta parte, poi la quarta, poi la terza, continuerà
nella seconda e finirà con la prima.
Traduzione “Maribel” – Bergamo
Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/05/sexta-parte-una-montana-en-alta-mar/
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