Alcuni articoli di giornale restano nella memoria. Certe volte si tratta di titoli importanti che muovono le masse come per la fine della guerra, la vittoria dei mondiali. Altre volte sono testi che ritroviamo sui libri di scuola o dobbiamo commentare come l’articolo su Gino Bartali all’esame di maturità pochi anni fa. Certe volte accendono polemiche a distanza di decenni come “Il Pci ai giovani” di Pier Paolo Pasolini sugli scontri di Valle Giulia.
Capita che certe parole colpiscano la nostra immaginazione, la nostra
intelligenza, i nostri sentimenti, solo i nostri. Quei ritagli di giornale ci
accompagnano ripiegati in un libro, tra i fogli sulla nostra scrivania. Ogni
tanto li rileggiamo, certe volte con inquietudine, per guardarci intorno, per
capire quale strada stiamo imboccando.
Un articolo del genere per me fu l’intervista a Francesco Cossiga nella
quale dava istruzioni per alzare i toni dello scontro nelle piazze. E lo diceva rivendicando questa
scelta come una che aveva già fatto lui da ministro ai tempi d’oro della
strategia della tensione. Parlava degli studenti e sosteneva chiaramente che
«…le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale.
Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà,
ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano». Diceva che «il
suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di
polizia e carabinieri».
Da metà
luglio penso sempre più spesso a un articolo uscito sul Corriere della Sera e
firmato Ernesto Galli della Loggia.
“L’assassinio di Giulio
Regeni chiama in causa tutti noi”, questo è il titolo. Può suonare
come un’incitazione a cercare la verità e la giustizia sulla sua morte. E
invece no. La verità è assodata e scrive chiaramente «che Giulio Regeni fosse
stato trucidato dagli sgherri dei servizi segreti del governo egiziano è stato
chiaro fin dall’inizio». D’altra parte, scrive, l’Egitto è «uno stato
ferocemente dittatoriale». E allora? Chiediamo giustizia per il
sequestro, la tortura e l’assassinio di Giulio? No. Perché «la partita con il
Cairo» è «una partita disperata». Noi italiani «contiamo troppo poco perché il
governo egiziano si senta spinto ad acconsentire alle nostre richieste di
giustizia». «Abbiamo bisogno del ben volere di Al Sisi perché l’Eni» … possa continuare a fare affari
con il suo paese. Dunque? Per il
nostro giornalista l’unica possibilità è «intitolare a suo nome una via o una
piazza in tutti i comuni della penisola». Punto. Nient’altro.
È una dichiarazione sconfortante. Penso a quelle parole mentre leggo
dell’arresto di Basma Mostafa.
E mi passa
velocemente per la testa la vicenda di Patrick Zaky, ma anche la strana morte di Mario Paciolla. Penso alla condanna
che un giornalista può scrivere su un giornale importante promettendo in cambio
di intitolargli una piazza o una strada. Siamo davvero diventati così disumani? Con quale faccia andremo
a scoprire la lapide che attaccheremo con il loro nome inciso sopra? E con
quella stessa faccia andremo a portargli fiori? Gli intitoleremo anche un’aula
all’università? Una scuola in periferia?
“Quanto pesa una lacrima? – si chiedeva Gianni Rodari – La lacrima di un
bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più
di tutta la terra”. E io mi chiedo quanto pesi un foglio di giornale…
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