Se il capitale si veste da buono - Nicoletta Dentico
Questo libro (Ricchi e buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo) trae ispirazione da sentimenti di dolore e di rabbia, inutile andarci intorno.
Affossa le sue radici in due decenni di impegno internazionale nel campo
della salute. Ancora di più, deriva da una antica e potente esperienza, quella
di mescolarsi, entrare in ascolto e apprendere dalle etiche di vita delle varie
moltitudini di poveri che le società di mercato hanno sospinto
verso le forme più diverse della miseria moderna. E di aver fatto mio il loro
punto di vista.
Ho imparato a diffidare della narrazione legnosa e riduzionista sulla
“lotta alla povertà”. La povertà ha dimensioni terribili ed effetti
tragici, non si discute, ma occorre sapere che non è una banale questione di
soldi ma di politiche strutturalmente violente e che comunque, da un punto di
vista finanziario, è molto più espugnabile di quanto pensiamo.
Basterebbe una frazione di quanto si spende in armi, poco più dell’1% del prodotto
interno lordo mondiale, per invertire la rotta.
Basterebbe intercettare e fermare subito i meccanismi di esuberante
accumulazione plutocratica da parte di una minuscola élite della
globalizzazione artefice di un sistema che produce disuguaglianze, quell’1%
della popolazione mondiale che possiede ormai la metà della ricchezza del
pianeta.
E’ su quell’1% che vince sempre, che occorre volgere lo sguardo. Avrebbe molto da
perdere se ci fosse un autentico cambiamento sociale e una virata verso la
redistribuzione delle risorse, e proprio per questo si è messo a condurlo a
modo suo questo cambiamento, spesso con il consenso di quanti ne hanno più
bisogno, invocando il mantra della lotta alla povertà per
“cambiare il mondo” in modo che nulla cambi, per “restituire” un po’ della
ricchezza accumulata in modo che non venga messa in discussione l’indifendibile
asimmetrica distribuzione di risorse, potere, conoscenze e strumenti.
Da qualche tempo questa élite ha deciso di impadronirsi insomma anche
dell’ultimo fortino non ancora lambito dalla logica super-competitiva ed
estrattiva del capitalismo finanziario: il mondo della solidarietà, del dono.
I plutocrati, sotto le avvenenti fattezze delle loro donazioni, sono
diventati i sacerdoti della lotta alla disuguaglianza. Hanno compreso le
prospettive sconfinate di questa battaglia: “a land of opportunities”,
una prateria di opportunità per il loro business e la loro reputazione.
Hanno vinto la partita della globalizzazione economica, cimentandosi con
poche mosse su un campo di gioco privo di regole e di arbitri, dove ogni fallo
è possibile.
Siccome personificano storie di successo, dichiarano di “voler rendere
questo mondo un luogo migliore”. Sono sensibili alle sfide del pianeta,
dicono, ne conoscono i problemi, intendono far parte delle soluzioni.
Anzi, puntano a colonizzare la ricerca delle soluzioni, convinti che
le loro idee, i loro rimedi siano la migliore
promessa di futuro cui la massa dei diseredati possa aspirare. Ma siamo
sicuri che non ci sia una strategia migliore?
E’ l’élite più socialmente impegnata ma anche la più predatoria della
storia quella che ha sapientemente concettualizzato e architettato il
filantrocapitalismo.
Monopolisti nel settore economico di riferimento, hanno congegnato con le
loro fondazioni la grande trasformazione della governance mondiale
per arrivare a monopolizzare le leve della politica internazionale in nome
dello sviluppo, e ora della sostenibilità.
Con la suadente moltiplicazione di “iniziative concrete e misurabili”
ispirate alla logica aziendale e al diritto privato, in due decenni questi
plutocrati hanno disseminato qua e là soluzioni che nella maggior parte
dei casi non intaccano, talvolta anzi persino rafforzano, le dinamiche di
ingiustizia all’origine delle situazioni di cui pure i loro rimedi alleviano
qualche sintomo.
Una iniziativa dopo l’altra, hanno definitivamente scompaginato la filiera
della responsabilità pubblica nel governo del mondo.
Ho assistito in presa diretta ai passaggi che hanno spianato la strada
all’affermazione della nuova classe di paperoni sulla scena della diplomazia
globale. Tutto è accaduto con una regia molto precipitosa, sotto i miei
occhi.
A Seattle, nel novembre 1999, la società civile di tutto il mondo si
imponeva con forza al cospetto della comunità internazionale, riunita per la
prima conferenza tra gli stati membri dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio, con l’insopprimibile domanda di globalizzare finalmente i diritti e
la giustizia.
A New York, sempre alla fine del 1999, l’organizzazione che dovrebbe
rappresentare il governo del mondo capitolava nel giro di pochi mesi, messa
alle strette dalla pressione di pochi stati del nord, per inaugurare
l’integrazione dei vincitori del libero mercato nei consessi negoziali della
politica internazionale.
L’arrivo dirompente e distruttivo di COVID19, esattamente a 75 anni dalla
nascita delle Nazioni Unite e a 25 dalla entrata in vigore della Organizzazione
Mondiale del Commercio, sollecita molteplici spunti di riflessione sul governo
del mondo.
Una pista di osservazione poco battuta, ma a mio avviso determinante,
riguarda oggi più che mai la riflessione sulla egemonia culturale, finanziaria
e politica del filantrocapitalismo.
La ricerca di soluzioni veloci che interrompano la diffusione del contagio
conferisce una spinta inesorabile al colonialismo filantropico, oggi
praticamente senza argini, nemmeno all’interno delle confessioni religiose.
I filantropi che salvano il mondo la fanno da padroni nella gestione della
pandemia grazie all’impenetrabile complesso industriale vincolato alle loro
donazioni e al potere di seduzione che esercitano, mentre la comunità
internazionale si dimena nel caos di micidiali pulsioni nazionaliste e buona
parte della società civile, ormai assoggettata, dipende dai filantroprofitti per
continuare a vivere.
La pandemia ci impone un ragionamento di senso sul filantrocapitalismo,
perché questo ristretto entourage è connesso a doppio filo con
il mondo della tecnologia digitale, della biotecnologia, della finanza, i tre
ambiti che definiranno il futuro del pianeta.
Nel ribaltamento del rapporto di potere tra i pochi titani della ricchezza
globale e i molti esponenti della funzione pubblica, non è uno scenario
promettente.
L’assenza di un dibattito serio sul filantrocapitalismo nel nostro Paese,
al contrario di quanto avviene nel mondo anglosassone, è imbarazzante.
Abbiamo bisogno per esempio di prendere le distanze dalle braccia
ingenuamente spalancate dei nostri leader – come di tutti i leader
mondiali – nei confronti di Bill Gates, alle cui gesta filantropiche nessuno si
sogna di porre domande, prima ancora che condizioni.
Abbiamo bisogno di marcare le distanze anche dalle teorie complottiste su
Bill Gates e compagni, dietrologie che “la buttano in caciara” e appannano le
ragioni di una riflessione basata sui fatti.
Il fenomeno scoppiato con la pandemia è spia di una generale assenza di
riferimenti conoscitivi per leggere la complessità, e della montante
insofferenza verso la biforcazione di destini che non ha ragione di
esistere. Questo stato di cose non è una fatalità della storia.
Le colonie del nostro tempo e il filantrocapitalismo -
Vandana
Shiva
Il Mondo Nuovo dell’1%, il mondo dei miliardari e dei filantrocapitalisti
che formano l’élite più esclusiva sul pianeta, è in realtà il vecchio mondo,
brutale e violento, della colonizzazione. La colonizzazione crea
colonie dichiarando ciò che appartiene agli altri come vuoto – Nullius –
così da poterselo accaparrare. Quei beni comuni che appartengono alle
comunità, e a cui le comunità appartengono, vengono trasformati in proprietà
private dei colonizzatori.
Questo fa la colonizzazione. Espropria le comunità dei loro diritti
di accesso, le sfratta dai loro territori, salvo poi raccogliere le rendite di
ciò che è stato sottratto e chiuso, grazie al processo di
colonizzazione. L’economia globale contemporanea poggia sulla reinvenzione
del progetto di colonizzazione. Proprio così. Sono i colonizzatori a
definire la narrazione storica, scrivendo le leggi e le regole che servono per
legittimare i saccheggi delle terre, delle risorse, delle ricchezze, perpetrati
contro i colonizzati.
Ciò che poté la Bolla Papale a favore della colonizzazione nel XV
secolo, possono oggi, nel XXI secolo, gli accordi di libero scambio, la
deregolamentazione dell’economia, i nuovi strumenti di ingegneria genetica e la
digitalizzazione, le nuove narrazioni sulla tecnologia. La prima
colonizzazione costruì la nozione della Terra Nullius – la
terra vuota – per appropriarsi dei territori delle popolazioni colonizzate e
farle diventare le proprietà dei colonizzatori.
Nel mondo contemporaneo la biotecnologia e l’industria chimica hanno
costruito la nozione di Bio Nullius – or vita vuota –
per sottrarre i semi e cimentarsi nella biopirateria, con l’uso dei brevetti e
dei diritti di proprietà intellettuale. I giganti digitali e i
capitalisti della sorveglianza come Google, Facebook e Microsoft hanno
costruito la nozione della Mens Nullius – o mente vuota – per
prendere possesso e controllare le nostre menti e le nostre vite.
Bill Gates ha privatizzato il bene comune del software facendosi ricco
grazie ai monopoli brevettuali nel campo dell’informatica, e alla rendita
finanziaria raccolta da ciò che avrebbe dovuto essere open source. E’ riuscito anche a
evitare il pagamento delle tasse in virtù di regole ed escamotage del “libero
commercio” che gli hanno permesso di depositare il denaro accumulato nei
paradisi fiscali.
I nuovi miliardari come Mark Zuckerberg usano Facebook per
intercettare le nostre menti, estrarre dati dai nostri comportamenti e
manipolarli, indirizzare le nostre scelte e guidare le nostre relazioni, salvo
poi venderle alla macchina dei soldi o a quella elettorale.
Con il crescente dominio del digitale nella nostra democrazia elettorale,
l’intelligenza artificiale si è messa a eleggere leader da intelligenza
artificiale, perché dominino la scena politica contemporanea.
I diritti di proprietà intellettuale su ogni idea, su ogni essere vivente, su
ogni aspetto dei processi naturali e delle funzioni della comunicazione
sociale, agiscono come elementi di una industria estrattiva di rapina delle
risorse e dei beni comuni delle persone , ivi inclusi la nostra conoscenza e la
nostra democrazia.
Filantrocapitalisti come Bill Gates sottraggono il potere alla governance e
alla politica. Sostituiscono le decisioni democratiche di governi eletti e
riescono a imporre politiche e leggi che lubrificano la loro macchina dei soldi.
E così la democrazia cambia i connotati. Da democrazia “del popolo, dal
popolo, e per il popolo” diventa democrazia “delle imprese, dalle
imprese e per le imprese”. La filantropia è divenuta lo strumento per
dirottare la democrazia e colonizzare le vite delle persone, al fine di estrarne
soldi. Non è “dare”. È sofisticata appropriazione (grabbing).
Il filantrocapitalismo è ricolonizzazione in una versione moderna. Se
i beni comuni di un tempo erano la terra e i territori, i beni comuni di oggi,
sottratti all’accesso dai plutocrati, sono la vita stessa. I nostri semi
e la biodiversità, i nostri corpi e la nostra mente, queste sono oggi le
colonie e i filantropi come Bill Gates sono i Nuovi Colombo.
La novità dei nostri tempi è la tipologia delle nuove colonie che sono
state create: le forme della vita, gli organismi viventi, la nostra
biodiversità, il cibo, la salute, i nostri corpi e le nostre menti, la nostra
conoscenza e le nostre storie, le nostre relazioni e amicizie, le nostre
comunicazioni e le nostre scelte.
Tutto questo è assoggettato ai nuovi strumenti che sono i nuovi diritti di
proprietà, le nuove dipendenze, le nuove aporie, le nuove schiavitù, i nuovi
imperi e dittature. Come scrive Shoshana Zuboff in “Il Capitalismo
della Sorveglianza”, siamo noi la nuova materia prima. La novità è
anche la creazione di una nuova religione fondata sull’innalzamento di alcuni
strumenti, la tecnologia e il denaro.
Questi dovrebbero servire in teoria come mezzi per conseguire obiettivi al
servizio dell’umanità e della terra. Vengono invece elevati a
fini in sé stessi, a fondamenti di questa nuova religione fatta ad arte per
legittimare la ricolonizzazione che minaccia il pianeta e il nostro
futuro.
500 anni fa, la religione della chiesa cattolica era utilizzata per
giustificare la violenza della colonizzazione. La nuova chiesa è
plasmata dall’1%. E’ la religione dei soldi: fare soldi sempre e comunque. Le
tecnologie e la macchina del denaro sono state elevate fino a farne un credo
assoluto, nel campo del cibo e dell’agricoltura come in quello della salute,
dell’informazione e della finanza. I filantrocapitalisti sono allo
stesso tempo i nuovi papi e i nuovi sacerdoti. In quanto 1% sono anche i
nuovi Re e Regine, i nuovi sovrani.
Sono i nuovi Cristoforo Colombo, avventurieri e mercanti. E provano anche a
essere Dio quando reclamano di “inventare” la vita e di “geo-ingegnerizzare” il
pianeta. La ricolonizzazione in veste moderna ha bisogno di nuove
“missioni civilizzatrici” per presentare il furto e le appropriazioni che
promuove come “liberazione” di quanti sono considerati in genere
“selvaggi” e “barbari”.
Alla fine del 2016 in India abbiamo assistito al modo in cui l’economia
digitale è stata imposta con la forza nel paese, attraverso una “eliminazione
del contante” e le demonetizzazione dell’economia. Coloro che erano
privi di smartphone e di carte di credito sono diventati, nel giro di poche
ore, barbari e selvaggi da addomesticare e civilizzare con programmi di
“educazione digitale” e “dittatura digitale”.
C’è adesso una nuova iniziativa annunciata dalla Fondazione Bill &
Melinda Gates che si chiama “Bill & Melinda Gates Agricultural
Innovations LLC” o “Gates Ag One”, nella versione abbreviata. Gates Ag One
sarà presto una sussidiaria della Fondazione Gates con a capo Joe Cornelius, l’uomo
che guida attualmente la Divisione della fondazione denominata Crescita e
Opportunità Globali.
Ag One lavorerà con il team della fondazione che si occupa di Sviluppo
Agricolo e con altri partner multidisciplinari per “accelerare lo
sviluppo di innovazioni” che sono “necessarie a migliorare la produttività dei
raccolti e aiutare i piccoli agricoltori, la gran parte donne, ad adattarsi ai
cambiamenti climatici”.
Ciò che non viene detto nelle fanfare dell’annuncio dei Gates è che i
piccoli agricoltori, voglio dire soprattutto le donne che hanno selezionato
varietà di semi resistenti al clima – varietà che Navdanya conserva, moltiplica
e condivide – che la conoscenza di queste donne insomma e la qualità dei semi
che si è evoluta per millenni, sono resi completamente invisibili in questa
ultima fase della colonizzazione da parte del patriarcato capitalista.
Non esistono culture diverse o biodiversità, non esiste democrazia o
sovranità, nel mondo di Bill Gates. Ci viene detto adesso che esiste
una sola agricoltura, Ag One, quella somministrata da lui e dalla sua
fondazione. Esiste una sola scienza, una agricoltura, un uomo che
decide se e come milioni di persone dovranno vivere o morire. Questo altro non
è se non imperialismo nella sua fase più avanzata.
La “tecnologia” è stata mistificata e fatta assurgere a nuova religione per
sottomettere e controllare. La “tecnologia” e l’”innovazione” sono diventate le
nuove parole d’ordine, per la missione civilizzatrice che distorce
completamente il significato originario di “innovare”.
Innovare significa “rendere nuovo”, mutare le cose “introducendo norme
metodi o sistemi nuovi”. Tutto questo è stato ridotto a invenzione
meccanica, e usato per definire le piraterie e le appropriazioni
esclusive come “invenzioni” di cui si diventa proprietari tramite brevetti.
Bill Gates è sempre in agitazione alla ricerca di nuove opportunità per
utilizzare i suoi miliardi tramite la filantropia e creare nuove colonie
di cui impossessarsi con le sequenze digitali dei sistemi viventi.
Minaccia convenzioni internazionali delle Nazioni Unite come la Convenzione
sulla Diversità Biologica e il Trattato sulle Risorse Genetiche delle Piante
per il Cibo e l’Agricoltura.
E’ il nuovo Colombo che rivendica di inventare ciò che in realtà già esisteva,
e ha rubato. Cancella la varietà del mondo vivente e della vita sociale,
costruisce “il vuoto” come licenza di conquista, e poi costruisce il suo Impero
sulla vita.
Ma oggi come allora l’obiettivo è sterminare la diversità della
vita, delle culture, delle conoscenze, delle economie, delle
sovranità, delle democrazie, delle libertà. La pirateria e le
appropriazioni dei beni comuni sono, senza soluzione di continuità, il vecchio
metodo. Nulla di nuovo sotto il sole.
Il Dharma, la giusta azione e il giusto stile di vita è rimpiazzato
dall’Adharma della macchina del denaro e dello sviluppo delle tecnologie,
per i profitti e il controllo come finalità umane.
Senza tener in minimo conto le conseguenze che tutto questo produce sulla
natura e la società. Così, riducendo al profitto il significato e
il valore dell’umano, l’accumulazione del denaro da parte dell’1%, pur
non etica e di fatto ingiusta in molti casi, viene definita la misura della
superiorità umana. Una superiorità che non richiede valutazioni di sorta.
Mai prima nella sua storia l’umanità ha dovuto fare i conti con una
ricchezza tanto sproporzionata, assiepata in così poche mani. Mai prima è
accaduto che così poche persone avessero il controllo sulla vita dell’intera
umanità. Mai come oggi i nostri corpi e le nostre menti sono state trasformate
in colonie da cui estrarre rendita, e accumulare ricchezza.
Mai, mai prima la sopravvivenza della nostre specie è stata così in bilico.
Mai prima le minacce alle nostre libertà e al nostro futuro si sono manifestate
a noi su scala planetaria. Mai abbiamo avuto bisogno come oggi di
resistere insieme, su scala globale, in solidarietà.
Il libro di Nicoletta Dentico (Ricchi e buoni?) arriva al momento giusto,
ed è necessario. Sarà una bussola importante per guidare l’evoluzione
delle nostre strategie collettive, e per difendere le nostre esistenze e
libertà dalle forme della ricolonizzazione variamente avallate attraverso il
filantrocapitalismo.
E ci servirà, questo libro, per identificare le traiettorie democratiche di
resistenza all’affermazione dell’Impero che si espande per controllare la
nostra agricoltura, il nostro cibo, la nostra salute, i nostri corpi e le
nostre menti, i nostri modelli di vita e le nostre democrazie.
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