15 anni - Tonio Dell'Olio
Se qui di seguito vi parlassi di un ragazzo di 15 anni
morto in Italia con segni evidenti di tortura, affaticato, deperito e soccorso
con molto ritardo, sarebbero molti a indignarsi. Qualcuno legittimamente si
chiederebbe come mai i TG nazionali e la carta stampata non ne abbia raccontato
se non nelle pagine locali e la risposta è semplice: si tratta di un immigrato.
Abou, 15 anni, proveniva dalla Costa d'Avorio e dopo tutte le traversie tra
deserto, Libia e mare, dal 18 settembre era confinato in quarantena sulla nave
"Allegra". Già allora stava male ma l'unico medico a bordo non se n'è
accorto perché doveva visitare 600 pazienti! Quando le sue condizioni si sono
fatte ancora più gravi erano già trascorsi dieci giorni e finalmente è stato
disposto il ricovero urgente all'ospedale Cervello di Palermo dove è arrivato
il 1 ottobre. Constatato che il ragazzo era ormai in coma lo hanno trasferito
alla rianimazione dell'Ingrassia dove è morto il 5 ottobre. Si potrebbero
scrivere tante parole a commento di questa vicenda ma Papa Francesco ci ha
persuasi a utilizzare il solo paradigma della fraternità. Ciascuno deve
chiedersi se Abou è stato trattato come il fratello del medico, del ministro,
del capitano della nave, mio.
Sulla revisione dei decreti
sicurezza - Salvatore Palidda
Non è ancora possibile elaborare una disamina dettagliata dei cambiamenti effettivi che introduce il nuovo decreto su immigrazione e sicurezza, ossia il cosiddetto “superamento dei due decreti sicurezza voluti da Salvini”. Da quanto si legge sui media nazionali – notare come la notizia è subito slittata in coda – si eliminano solo le norme più odiose del decreto Salvini relative alle ONG e all’immigrazione, e si introduce poi la “norma Willy”.
Ma come proverò a spiegare qui di
seguito la situazione del governo dell’immigrazione resta sostanzialmente
immutata, così come la situazione del governo della sicurezza, dato che non c’è
alcun “superamento” del decreto
Minniti che non viene per nulla scalfito. Nulla trapela neanche
riguardo alla concezione dell’articolazione fra prevenzione sociale e azione
repressiva da parte delle polizie.
Sull’immigrazione e sulla polizia.
1. La questione più grave
riguardante l’immigrazione è la continua riproduzione della condizione
irregolare come bacino della manodopera per le economie sommerse. La
“sanatoria” in corso non ha risolto nulla, non solo perché non ha riguardato
tutti i settori di attività ma anche perché prevede condizioni difficilmente
accettate dai datori di lavoro che, come si sa, fanno pagare sempre i lavoratori.
Occorrerebbe una sanatoria che permetta la regolarizzazione di
tutti gli stranieri senza permesso e che si accompagni da un vasto programma di
regolarizzazione delle attività in semi-nero (metà in regola e metà in nero) e
in nero, tipicamente nell’agricoltura, nell’edilizia, nella logistica, nelle
cooperative di servizio. La condizione semi-irregolare o del tutto in nero
riguarda anche una grande quantità di italiani. Ricordiamo che il sommerso in
Italia pesa oltre il 32% del PIL e col semi-sommerso si arriva a circa otto
milioni di lavoratori (italiani e stranieri).
Per quanto riguarda gli stranieri
occorrerebbe un permesso di lavoro anche per i rifugiati,
seguito dall’effettiva eliminazione delle baraccopoli come
quelle di Rosarno e in Puglia. Ammesso che la recente sanatoria regolarizzerà
circa 220 mila immigrati irregolari, ne restano fuori almeno altri 400 mila. È
dagli anni ‘70 che l’Italia governa l’immigrazione innanzitutto in funzione
della parte irregolare del mercato del lavoro (cioè per fornire manodopera in
nero) e anche per fornire manodopera regolare ma “inferiorizzabile”, cioè alla
mercé di ricatti e trattamenti
degradanti attraverso pratiche di razzializzazione. I permessi di
soggiorno sono precari anziché duraturi e l’accesso alla naturalizzazione (cioè
alla cittadinanza italiana) è difficile se non escluso anche per i nati in
Italia. Questa condizione degli immigrati si ripercuote anche su una buona
parte dei lavoratori italiani, anch’essi costretti a lavorare in semi-nero o
totalmente in nero. Solo attraverso un vasto programma di regolarizzazione
delle attività semi-sommerse e sommerse – e solo garantendo continua e stabile
protezione ai lavoratori italiani e stranieri – si potrà avere un governo
dell’immigrazione che rispetti i diritti elementari di tutti.
Le forze di polizia dovrebbero
per prima cosa essere impegnate alla protezione dei lavoratori italiani e
immigrati che sono alla mercé del caporalato o del supersfruttamento attraverso
cooperative fasulle o direttamente da privati.
2. Occorrerebbe un nuovo vasto
programma di sviluppo del lavoro
sociale che diventi alternativa all’azione repressiva delle
polizie. Come si sta facendo negli Stati Uniti grazie al movimento Black Lives Matter, occorre una
nuova concezione della prevenzione
sociale rispetto alla repressione e alla penalità. Ci sono troppe
polizie, troppi operatori di polizia, troppe risorse destinate all’azione
repressiva. Occorre equilibro fra prevenzione sociale e repressione. Se si
aumentano gli operatori sociali e si riducono gli operatori delle polizie (in
particolare nelle carceri) ci saranno meno violenze poliziesche e più
possibilità di trattamento pacifico delle devianze, evitando quindi che
scivolino verso la delinquenza. I
casi di bullismo e di violenza estrema come quella contro Willy,
e anche i casi di femminicidio,
emergono laddove non c’è mai stata neanche l’ombra di operatori sociali. Le
forze di polizia dovrebbero agire in coordinamento con un’altrettanta quantità
di operatori sociali,
rispettando ognuno la propria totale autonomia.
Purtroppo, dagli anni ‘90 i
governi e i media sono stati pervasi dal discorso sulle insicurezze falsamente
attribuite a minoranze e immigrati, cioè ai capri
espiatori. Ne consegue che la sicurezza è diventata un’ossessione che
richiede sempre più risorse e più penalità per reprimere, a discapito della
prevenzione sociale. Sono aumentate così le insicurezze
ignorate e le loro vittime lasciate senza alcuna protezione. Si
tratta delle vittime di rischi di disastri sanitari e ambientali e delle
economie sommerse (che producono anche neo-schiavitù oltre che evasione fiscale
e contributiva, corruzione e collusioni con le mafie)[1].
[1] Si veda Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici nel
Mediterraneo, 2018 e prossimamente con Meltemi, Polizie, sicurezza e insicurezze ignorate.
Nuovo decreto sicurezza – Stefano Galieni
I 9 articoli
di cui si compone il decreto legge presentato in Consiglio dei Ministri dalla
ministra Luciana Lamorgese, allo scopo di intervenire sui decreti Salvini, è da
notare per alcuni punti interessanti che contiene ma soprattutto per quanto non
tocca o ignora. Sono falsi tanto i trionfalismi in chiave PD quanto gli allarmi
leghisti, entrambi fanno parte di un’opera di propaganda connessa ad eterne
campagne elettorali che poco o nulla dicono sui contenuti.
Per
sgomberare il campo da inutili semplificazioni, proviamo a separare gli
elementi positivi di novità, contenuti in un testo che prima di essere
approvato dovrà passare nei due rami del parlamento, dalle tante omissioni e
incoerenze presenti, frutto di mediazioni.
Nel primo
articolo si ampliano le opportunità per convertire una delle forme di
protezione rimaste in vigore, in permesso per motivi di lavoro. Calamità,
attività artistica o sportiva, assistenza minori ed altri casi finora rimasti
esclusi permetteranno ad una parte dei presenti di garantirsi possibilità di
permanenza meno precarie. E qui si notano i primi limiti quanto le aperture
della riforma – guai a chiamarla cancellazione – non si ripristina la
protezione umanitaria che c’era prima né si interviene sull’abuso prodotto da
Minniti un anno prima che eliminava un grado di appello avverso il diniego
all’asilo.
Semplicemente
si fanno i conti, timidamente con la realtà.
L’intervento
è conseguente al sostanziale fallimento della “regolarizzazione straordinaria”
proposta quest’estate e che per i tanti vincoli frapposti ha lasciato fuori
centinaia di migliaia di aventi diritto. Tra le prerogative positive di tale
articolo, esplicitato al comma 2, c’è il divieto di rimpatrio e di
respingimento in paesi dove si rischiano trattamenti inumani e degradanti.
Sulla carta dovrebbe essere già garantito dalla Costituzione e dai trattati
internazionali nonché dalle tante Convenzioni a cui si sarebbe vincolati, ma il
fatto che si sia dovuto ribadire fa comprendere come si siano disattesi negli
anni tali obblighi.
Nello stesso
articolo si interviene ribadendo l’obbligatorietà del soccorso in mare; si
riducono le pene per le ONG che salvano persone rendendole non perseguibili
laddove si ravvisi che il soccorso è necessario, ma si mantengono le
limitazioni per il traffico delle imbarcazioni presenti nei pressi delle acque
territoriali e internazionali. Restano troppi elementi di discrezionalità –
cosa che caratterizza l’intero testo – per cui se da una parte si rendono meno
potenti le intimidazioni pecuniarie e si lascia intendere che si sarà capaci di
distinguere fra “reali soccorritori” e interventi considerati di “pull factor”,
dall’altra permangono le limitazioni alla navigazione per le ong inserite da
Minniti. Se e quando diventerà normativa il New pact on migration and asylum
lanciato il 23 settembre, nel Mediterraneo centrale aumenteranno gli assetti di
soccorso di Frontex, della Guardia costiera e di frontiera europea, nel
frattempo il rischio che permanga il deserto nei soccorsi è forte.
L’articolo 2
del testo amplia i criteri per aver diritto ad una protezione speciale che non
sostituisce la protezione umanitaria eliminata da Salvini. Qui vale la pena
fermarsi per un breve viaggio indietro. In Italia non esiste una normativa
unica per il diritto d’asilo compatibile con l’articolo 10 della Costituzione.
Si sommavano fino al pre-Salvini tre opportunità: lo status di rifugiato, la
protezione internazionale o sussidiaria e la protezione umanitaria per chi, pur
non avendo direttamente diritto alle garanzie precedenti, rischia, in caso di
ritorno in patria, di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti o a
non poter godere delle libertà garantite dalla nostra costituzione. Togliendo,
come ha fatto Salvini, quest’ultima opportunità si è violata nei fatti la
Costituzione. La riforma, lungi dal ripristinare quanto c’era, allarga un po’le
maglie per ottenere forme di protezione “speciale” mantenendo limiti di
discrezionalità che rendono spesso difficile sentirsi al sicuro.
Decreto Immigrazione, Msf:
“Dietro l’accoglienza rimane la criminalizzazione delle ong” - Eleonora Camilli
“E’ un
decreto che strombazza principi di solidarietà e accoglienza ma, nei fatti, non
smantella il messaggio propagandistico sul soccorso in mare. Le multe vengono
ridotte ma rimane il principio di criminalizzazione delle ong”. E’ duro il
commento di Marco Bertotto, responsabile Advocacy di Medici senza
Frontiere sulle
modifiche ai decreti sicurezza approvate in Consiglio dei ministri.
Il nuovo decreto
Immigrazione interviene, infatti, anche in materia di
limitazione o divieto di transito di navi nelle acque territoriali italiane.
Nei casi di “ordine e sicurezza pubblica o legati a violazioni della leggi
sull’immigrazione” il ministro dell’Interno può adottare un provvedimento di
limitazione di concerto con i ministri della Difesa e delle Infrastrutture e
dei trasporti, previa informazione del presidente del Consiglio dei ministri.
Tale divieto non è previsto per le operazioni di soccorso “immediatamente
comunicate alle autorità italiane e alle autorità dello Stato di bandiera” e
condotte nel “rispetto delle norme di diritto interrnazionale e delle
indicazioni del competente centro di coordinamento dei soccorsi in mare”. Per
quanto riguarda le sanzioni si passa dal piano amministrativo a quello penale nel
caso di violazioni, il riferimento normativo è all’articolo 1102 del codice
della navigazione. Le multe previste variano da un minimo di 10mila a un
massimo di 50mila euro.
Una
previsione sanzionatoria che secondo le ong lascia intatto l’impianto di
“criminalizzazione del soccorso in mare”. “Dopo una stagione estiva caratterizzata da
naufragi e morti in mare, ci sembra una contraddizione profonda vedere che nel
testo non c’è nessun riferimento a misure da adottare per rafforzare il
salvataggio nel Mediterraneo centrale - sottolinea Bertotto -. Nei
fatti l’attuale Governo ha continuato a chiudere i porti, utilizzando però
tecniche diverse e nuove norme per fermare navi e aerei civili. Si fa
tutto con meno livore, meno propaganda e meno violenza, ma anche solo la
riduzione delle multe fa capire come si mantenga la logica finta che vede nel
soccorso un'attività di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”.
Il
responsabile di Medici senza frontiere ricorda che quanto previsto dal decreto
(e cioè le comunicazioni tempestive all’Mrcc competente e allo Stato di
bandiera) viene sempre attuato dalle navi umanitarie in caso di soccorso di
naufraghi. “Abbiamo sempre rispettato le convenzioni internazionali e il
diritto marittimo, sono convinto quindi che le sanzioni non saranno mai
applicate - aggiunge -. Anche nel caso di indicazione del porto di Tripoli per
lo sbarco, il nostro rifiuto sarebbe in linea con le convenzioni
internazionali. Non è questo il problema, il problema è il messaggio che si
vuole dare: si mantiene la multa per mantenere la criminalizzazione. Ancora una
volta prevale una logica di propaganda, con lo stesso spirito di
contraddizione, per noi rilevatore, che poi ha portato al Codice di condotta di
Minniti. Si mette in piedi un meccanismo che permette di dire che sotto c’è
qualcosa di irregolare. E questo è sbagliato. E’ solo un feticcio in mano alle
autorità. Anche nel recente Migration Pact gli Stati sono stati invitati a non
criminalizzare le ong che fanno soccorso in mare, in Italia abbiamo ancora
strada da fare”.
Rallenta la crescita degli stranieri. Il 64% degli alunni nato in Italia
ma senza cittadinanza - Eleonora Camilli
Rallenta in Italia la crescita della popolazione straniera residente: dal 2018 al 2019 si registrano appena 47 mila
residenti e 2.500 titolari di permesso di soggiorno in più. A questo si
aggiungono la diminuzione delle
nascite (da 67.933 nel 2017 a 62.944 nel 2019) e le minori acquisizioni di cittadinanza (passate
da 146 mila nel 2017 a 127 mila del 2019). In tutto, il numero dei cittadini
stranieri residenti in Italia (compresi i cittadini comunitari), è pari a 5.306.548 (con un’incidenza media
sulla popolazione italiana dell’8,8%), la maggior quota è rappresentata dai rumeni (1.207.919). A
fotografare lo scenario è il XXIX Rapporto Immigrazione di Caritas italiana e
Fondazione Migrantes, presentato oggi a Roma.
Una
popolazione sempre più stabile: famiglie e lavoratori
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, i permessi di soggiorno validi
al primo gennaio 2020 sono 3.438.707. I titolari provengono da Marocco (circa
400 mila cittadini), Albania (390 mila), Cina (289 mila), Ucraina (227 mila) e
India, che con poco meno di 160 mila soggiornanti ha superato una nazionalità
storica come le Filippine. Tutte
comunità che da anni risiedono stabilmente nel nostro paese, come dimostrano
anche i motivi dei permessi di soggiorno, in prevalenza ci sono quelli
familiari (pari al 48,6% del totale), seguiti da quelli lavorativi
(41,6%). Seguono i permessi collegati all’asilo e alla protezione
internazionale (5,7%) e quarti quelli per studio (appena l’1,5%). La maggior
parte dei permessi è a lunga scadenza (62,3% del totale); mentre quelli di
breve durata si attestano sul 37,7. Nell’approfondimento dedicato all’apporto
economico dell’immigrazione si evidenzia che in Italia nel 2018 il contributo dei migranti al Pil è stato di 139
miliardi di euro, pari al 9 per cento del totale. I circa 2,3
milioni di contribuenti stranieri hanno dichiarato 27,4 miliardi di redditi,
versando 13,9 miliardi di contributi e 3,5 miliardi di Irpef. L’Iva pagata dai
cittadini stranieri è stimata in 2,5 miliardi. “Si tratta di dati che
confermano il potenziale economico dell’immigrazione che, pur richiedendo
notevoli sforzi nella gestione, produce senza dubbio benefici molto superiori
nel medio-lungo periodo - si legge nel rapporto -. Anche i costi per la
gestione delle emergenze, che sono aumentati dagli 840 milioni nel 2011 ai 4,4
miliardi nel 2017, possono essere ammortizzati nel tempo, soprattutto se
sostenuti da politiche capaci di ridurre l’irregolarità, che oggi è stimata in
670 mila persone”.
L’occupazione dei cittadini stranieri continua
infatti a dare segnali di crescita, ma al contempo non registra
significativi avanzamenti nella qualità del lavoro.La loro concentrazione è
relegata in alcuni specifici settori, in cui le qualifiche e le mansioni
ricoperte sono per lo più a un basso livello professionale o contrattualizzate
a tempo (o con modalità precarie); le conseguenti differenze retributive con i
lavoratori italiani, la ancora scarsa partecipazione delle donne (soprattutto
di alcune nazionalità) al mercato del lavoro, l’adibizione a lavori manuali,
con scarsa preparazione anche rispetto ai rischi per la sicurezza e, ancora, le
scarse prospettive di crescita professionale dei più giovani. In tutto in
Italia sono 2.505.000 i lavoratori
stranieri, che rappresentano il 10,7% degli occupati totali nel
nostro Paese. Il tasso di occupazione straniera si attesta intorno al 60,1%,
superiore al 58,8% degli autoctoni; parallelamente, il tasso di inattività
degli stranieri extra-UE (30,2%), per quanto elevato, risulta comunque
inferiore a quello italiano (34,9%). L’87% degli occupati stranieri in Italia
sono lavoratori dipendenti, concentrati soprattutto in alcuni settori: servizi
collettivi e personali (642 mila addetti), industria (466 mila), alberghi e
ristoranti (263 mila), commercio (260 mila) e costruzioni (235 mila).
860 mila
bambini “stranieri” nelle scuole: “Cambiare la legge”
A sottolineare la presenza sempre più stabile delle comunità straniere nel
nostro paese c’è anche l’aumento degli alunni nelle classi: la
maggior parte nati qui ma non
considerati ancora cittadini italiani. In particolare, secondo il
rapporto, nell’anno scolastico 2018-2019 la perdita di 100 mila studenti
italiani (-1,3%) dovuta al calo della natalità è stata compensata da un aumento
di studenti con cittadinanza straniera, per lo più di seconda generazione, di
quasi 16 mila presenze rispetto all’anno precedente (+1,9%) raggiungendo un
totale di circa 860 mila unità ossia il 10% del totale della popolazione
scolastica. Di questi ormai il 64,4%
è nato il Italia ma non ha la cittadinanza: un dato che, secondo Caritas
e Migrantes “rafforza sempre più la necessità di intervenire a modificare
una vecchia legge, superando gli ostruzionismi politici, che legano i minori ad
un fenomeno a sua volta ostaggio della politica; ovvero utilizzato per
provocare o, al contrario, evitare, conflitto politico. I tassi di scolarità ci consentono di
misurare indirettamente i livelli di integrazione dei giovani cittadini
stranieri sul territorio. Infatti, nelle fasce di età 6- 13 anni i
sopracitati tassi sono vicini a quelli degli italiani, mentre nell’ultimo
biennio di scuola secondaria di II grado scendono al 66,7 per cento”. Nell’anno
scolastico .2017/2018 gli studenti italiani in ritardo sono risultati il 9,6%,
contro il 30,7% degli studenti con cittadinanza non italiana, che
sono anche quelli a più alto rischio di abbandono, pari al 33,1%, a
fronte di una media nazionale del 14,0%. Guardando infine i dati
sull’inserimento scolastico terziario emerge che si tratta prevalentemente di
studenti già presenti sul territorio italiano. Aspetto, quest’ultimo, che mette
in evidenza la scarsa attrattività del sistema universitario del nostro Paese.
Infine, il raporto si sofferma sull’impatto
del Covid sulla scuola. In particolare dalla rete Scuole Migranti
di Roma e del Lazio segnalano che, pur dotati di tablet – il Ministero ne ha
fornito un numero notevole – i bambini stranieri non ricevono aiuto dai
familiari per scarsa competenza informatica e difficoltà linguistiche. Se il
prossimo anno scolastico si svolgerà con un sistema misto di lezioni in
presenza e a distanza, potrebbero allargarsi ancora di più le disuguaglianze
tra alunni stranieri e italiani. Anche da una ricerca di Caritas Italiana, in
collaborazione con l’Istituto di Ricerca per la Crescita Economica Sostenibile
(IRCrES-CNR), sulle forme innovative di supporto scolastico offerte agli
studenti stranieri emerge che durante l’emergenza il 74% delle Caritas
intervistate ha avviato oltre 600 azioni di supporto alla didattica a distanza,
che hanno interessato prevalentemente minori stranieri accompagnati, i quali
rappresentano l’80% degli utenti raggiunti da suddette azioni. Sono le famiglie
già presenti qui, dunque, ad avere sofferto di più questa situazione. Il 61%
delle Caritas rispondenti ha fornito non solo sostegno materiale, attraverso la
distribuzione di supporti tecnologici, in prevalenza tablet (40%) e computer
(37%), ma ha anche messo in campo azioni di supporto alla didattica a distanza
attraverso il coinvolgimento di circa 170 operatori in attività di verifica dei
compiti (40%) nel monitoraggio della partecipazione alle lezioni online (27%) e
in lezioni a supporto/integrazione della didattica a distanza (33%). Per la
rete Scuole Migranti tra le
famiglie più in difficoltà si distinguono quelle di nazionalità bengalese e
pakistana.
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