Il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, è andato nuovamente alla carica per accaparrarsi la maggior parte possibile dei fondi statali ed europei messi in cantiere per affrontare la crisi e l’emergenza Covid 19.
Lo aveva
fatto da presidente dell’Assolombarda – il vero cuore nero di questo paese – e
sin dalla sua investitura a capo degli imprenditori italiani. E qui cominciamo
a fare i dovuti distinguo e giocare sulle parole.
Nel nostro
paese piuttosto che di “imprenditori” dobbiamo parlare di una razza di
“prenditori” voraci e un bel po’ parassitari. Rischiano poco del loro e sono
attaccati come cozze ai fondi pubblici dai quali succhiano – e pretendono –
tutto, ma sono poco disposti a concedere sul piano salariale, fiscale e degli
investimenti.
Quelli che
non campano e prosperano attaccati come alla spesa pubblica, appena possono
vendono a multinazionali straniere o delocalizzano nei paesi a bassi salari.
Il
presidente della Confindustria, ricorrendo alla solita tattica del vittimismo
aggressivo – ha denunciato l’aleggiare di uno “spirito anti-imprenditoriale”.
Negli ultimi
giorni poi si è guadagnato le prime pagine coniando l’acronimo “Sussidistan”
per mettere sulla graticola un governo che ha messo sul piatto bonus e sussidi
per le famiglie durante l’emergenza Covid 19, che si trascina l’eredità di
misure come Quota 100 o il Reddito di Cittadinanza, ma che ai prenditori ha
concesso molto, anche prima, durante e dopo le durissime settimane del
lockdown.
Ma Bonomi sa
benissimo di aver lanciato in aria un sasso che qualora ricadesse sui piedi
potrebbe (e dovrebbe) essere un macigno.
Gran parte
dei “prenditori” italiani sanno benissimo di aver ricevuto molto in sussidi
pubblici a vario titolo, ma soprattutto di essere diventati società per azioni
parassitarie a ricasco della spesa pubblica.
E allora,
per mettere sulla graticola l’emiro del Paraculistan (Bonomi) e i suoi sodali o
ciambellani, facciamo parlare i dati.
Ad esempio
il database della Commissione europea Ameco riferisce nel solo 2019 il nostro
Paese ha destinato agli imprenditori circa 20 miliardi tra sussidi,
agevolazioni e benefici vari. Una cifra decisamente sottostimata perché il
calcolo dovrebbe tenere conto sia dei fondi tra finanziamenti diretti (soldi
spesso dati anche a fondo perduto) e finanziamenti indiretti (dal credito
d’imposta agli sgravi contributivi e fiscali). Nello stesso anno, al Reddito di
Cittadinanza che riguarda alcuni milioni di persone, sono andati solo 7
miliardi.
Tra il 2015
e il 2020 alle imprese sono andati sussidi per più di 50 miliardi in sussidi
per incentivare assunzioni, sgravi fiscali, aiuti di ogni genere.
Nei decreti
Cura Italia e Rilancio varati durante l’emergenza Covid su un totale di 100
miliardi di euro di risorse messe a disposizione, almeno il 50% è stato
destinato alle imprese.
Al Ministero
dello Sviluppo Economico esiste una apposita task force dedicata esclusivamente
agli incentivi alle imprese. Con flussi di denaro a favore del sistema
industriale che, nella migliore delle ipotesi, superano di quasi tre volte il
budget stanziato a favore del reddito di cittadinanza (che appunto assorbe
circa 7 miliardi).
Ancora più
pesanti sono i risultati delle elaborazioni dell’Ufficio studi della Uil. Alle
imprese in senso stretto è andato il 48% dei 112 miliardi di euro messi in
campo con i recenti decreti governativi, ossia una cifra pari a 53 miliardi,
sotto forma di agevolazioni ed esenzioni fiscali, contributi a fondo perduto e
garanzie pubbliche ai finanziamenti bancari. La lista dei sussidi di cui hanno
beneficiato i prenditori è piuttosto lunga ed articolata: si va dall’esenzione
per tutti del versamento dell’Irap, che costa 4,4 miliardi, ai 2 miliardi di
euro di crediti d’imposta fino a 4 miliardi dati in dotazione al Fondo
patrimonio Pmi, che deve aiutare a ricapitalizzazione le imprese di medie
dimensione.
C’è poi il
capitolo dell’accesso al credito: sono stati rifinanziati il Fondo Sace, il
Fondo Centrale di Garanzia Pmi e il Fondo Ismea che consentono di ottenere un
finanziamento con la garanzia dello Stato. La garanzia pubblica non è detto che
si trasformi in un costo effettivo, dipenderà dal debitore, ma lo Stato ha
rifinanziato questi fondi con 35 miliardi, attraverso una stima di quanto può
essere il tasso di insolvenza dei prestiti. A questi accantonamenti vanno
aggiunti i 44 miliardi a valere sul Fondo patrimonio destinato della Cassa
Depositi e Prestiti, messo in piedi per ricapitalizzare aziende di grandi
dimensioni in difficoltà.
Di fronte a
questi dati, noti, conosciuti e conclamati, l’emiro del Paraculistan, Carlo
Bonomi, si permette di chiedere la fine dei finanziamenti pubblici per le
misure del welfare come il Reddito di Cittadinanza ed altre prestazioni sociali
definendole con disprezzo “sussidistan”. Una arroganza che ha costretto anche
un politico del Pd moderato come Orlando a sbottare con un: “Quando li prendono
gli altri si chiamano sussidi. Quando li prendi tu, contributi alla
competitività…”
Non solo.
Bonomi, mentre pretende la riduzione delle tasse per le imprese (e già l’ha
ottenuta sull’Irap) avanza anche la proposta di fare pagare l’Irpef
direttamente ai lavoratori dipendenti in nome della “semplificazione”. Ma
occorrerebbe ricordare – e ricordarci- che nel nostro paese il 93% dell’Irpef è
pagata proprio dai lavoratori dipendenti e dai pensionati.
Quando nelle
settimane del lockdown si era capito che alla guida della Confindustria sarebbe
andato un falco come Carlo Bonomi, sapevamo in anticipo lo scenario che avremmo
avuto di fronte.
Adesso si
tratta solo di scegliere con quale atteggiamento affrontare l’arroganza e la
voracità dell’organizzazione dei “prenditori” nel nostro paese: se quello
concertativo di Cgil Cisl Uil Ugl che abbiamo visto fino ad oggi con risultati
devastanti o se ci mettiamo per traverso con una opposizione frontale che ridia
senso e dignità ad una visione di classe nei rapporti sociali in questo paese.
Bonomi lo
definisce “spirito anti-imprenditoriale” perché gli fischiano le orecchie. E’
tempo che quel fischio torni ad essere quello del vento.
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