“Trasformammo un armadio di mogano in un pollaio e portammo via la spazzatura con un vassoio d’argento. C’era una porcellana con decorazioni dorate e noi decidemmo di stendere un telo sul tavolo, disponemmo sopra la ceramica e l’oro e, quando il cibo fu terminato, tutto venne portato nello scantinato. In un altro luogo trovammo una dispensa con 10.000 scatole di caviale, questo risulta dal loro conteggio. Dopo di che i ragazzi non poterono più mangiare di nuovo caviale per il resto della vita. Da un lato c’era una sensazione di vergogna per questo comportamento, e dall’altro di sregolatezza. Passammo lì 12 giorni, quando Gerusalemme pativa di una terribile scarsità di mezzi, e noi stavamo ingrassando. Mangiavamo pollo e prelibatezze incredibili. Nel (quartier generale di) Notre Dame [ospizio francese per i pellegrini cattolici, ndtr.], qualcuno si faceva la barba con lo champagne.”
– Dov Doron, testimonianza sui saccheggi
a Gerusalemme.
***
Il 24 luglio 1948, due mesi dopo la
Fondazione dello Stato di Israele, David Ben-Gurion, capo del governo
provvisorio, espresse una pesantissima critica riguardo al suo popolo: “Risulta
che la maggior parte degli ebrei è composta da ladri…Lo dico in modo
deliberato e chiaro, perché purtroppo è la verità.” I suoi commenti compaiono
nero su bianco negli appunti di un incontro del Comitato Centrale del Mapai
[principale partito sionista, ndtr.], il predecessore del partito Laburista,
conservati nell’archivio del partito Laburista.
“Gente della valle di Jezreel ruba! I
pionieri dei pionieri, genitori dei figli del Palmach (forse speciali
pre-statali)! E tutti quanti vi hanno partecipato, baruch Hashem [Sia benedetto
il nome di dio], la gente del (moshav [comunità agricola cooperativa, ndtr.])
Nahalal!… Questo è un brutto colpo. È terrificante, perché
dimostra una carenza di base. Furto e rapina, e da dove ci viene questo? Perché
la gente di questa terra, costruttori, creatori, pionieri, arriva a gesti di
questo tipo? Cos’è successo?”
Il documento è stato riportato alla luce
dallo storico Adam Raz nel corso della sua ricerca per il suo nuovo libro che,
come suggerisce il titolo, affronta una questione molto pesante, delicata e
pericolosa: “Saccheggio di proprietà arabe durante la Guerra d’Indipendenza”
(Carmel Publishing House, in collaborazione con l’Akevot Institute for
Israeli-Palestinian Conflict Research [Centro Israeliano per la Ricerca
Archivistica, ndtr.], in ebraico). Il compito che ha intrapreso è arduo:
raccogliere per la prima volta in un unico testo ogni informazione disponibile
sui saccheggi di proprietà arabe da parte degli ebrei durante la guerra di
indipendenza israeliana del 1947-48, da Tiberiade nel nord a Be’er Sheva nel
sud; da Giaffa a Gerusalemme attraversando i villaggi, le moschee e le chiese
sparse tra di esse. Raz ha analizzato attentamente oltre trenta archivi in
tutto il Paese, ha sfogliato i giornali dell’epoca ed ha esaminato tutta la
letteratura esistente sull’argomento. Il risultato è sconvolgente.
“Molti israeliani, sia civili che
militari, vennero coinvolti nel saccheggio delle proprietà della popolazione
araba,” dice Raz ad Haaretz. “La spoliazione si diffuse come un incendio tra
l’opinione pubblica.” Ciò comprese quanto contenevano migliaia di case, negozi
e fabbriche, equipaggiamento meccanico, prodotti agricoli, bestiame e molto
altro, continua. Vennero inclusi anche pianoforti, libri, vestiti, gioielli,
mobili, elettrodomestici, macchinari e auto. Raz ha lasciato ad altri le
ricerche sul destino di terre ed edifici abbandonati dai 700.000 mila arabi che
scapparono o vennero espulsi durante la guerra. Si concentra solo su beni
mobili, cose che potevano essere infilate in borse o caricate su veicoli.
Ben-Gurion non fu l’unico personaggio
importante che Raz cita. Anche Yitzhak Ben-Zvi, decenni prima compagno di studi
giuridici di Ben-Gurion e in seguito secondo presidente di Israele, citò il
fenomeno. Secondo il suo resoconto, quelli che si impegnarono nei saccheggi
erano “ebrei per bene che vedono il furto come naturale e consentito.” In una
lettera datata 2 giugno 1948 a Ben-Gurion citata da Raz, Ben-Zvi scrisse che
quello che stava avvenendo a Gerusalemme danneggiava “mortalmente” l’onore del
popolo ebraico e delle forze combattenti.
“Non posso restare in silenzio riguardo
ai furti, sia organizzati da gruppi non organizzati, che da parte di singoli
individui,” scrisse. “Il furto è diventato un fenomeno generalizzato… Chiunque
sarà d’accordo sul fatto che i nostri ladri si sono lanciati sui quartieri
abbandonati come cavallette su un campo o un orto.”
L’accurato lavoro d’archivio di Raz ha
scoperto un numero infinito di citazioni, che rendono penosa la lettura, di
personaggi più o meno importanti tra la popolazione e le istituzioni
israeliane, dai leader fino ai soldati semplici.
In un documento d’archivio del Custode
delle Proprietà degli Assenti (cioè di proprietà di palestinesi che lasciarono
le loro case o il Paese dopo l’approvazione della risoluzione ONU del 29
novembre 1947 per la partizione e che vennero espropriati dal governo
israeliano), Raz ha individuato un rapporto del 1949 di Dov Shafrir, il custode
ufficiale, che afferma: “La fuga di massa nel panico degli abitanti arabi, che
hanno lasciato dietro di sé immense proprietà in centinaia e migliaia (di) appartamenti,
negozi, magazzini e laboratori, l’abbandono di raccolti nei campi e di frutti
in giardini, orti e vigne, tutto ciò nel tumulto della guerra…ha messo di
fronte l’Yishuv (la comunità ebraica in Palestina prima del 1948) a una grave
tentazione materiale… in moltissimi sono scattati desiderio di vendetta,
giustificazioni morali e lusinghe materiali …Gli avvenimenti sul terreno si
sono scatenati senza controllo.”
La testimonianza di Haim Kremer, che fu
arruolato nella Brigata Negev del Palmach e venne mandato a Tiberiade per
impedire i saccheggi, è stata trovata nell’archivio Yad Tabenkin [del movimento
dei kibbutz, ndtr.] , a Ramat Gan. “Come cavallette, gli abitanti di Tiberiade
sono entrati nelle case… Abbiamo dovuto ricorrere a pugni e randelli per
respingerli e obbligarli a lasciare le cose sul posto,” affermò Kremer.
Il diario di Yosef Nachmani, un abitante
di Tiberiade che era stato un fondatore dell’organizzazione di difesa ebraica
Hashomer, venne depositato nel suo archivio e contiene la seguente introduzione
sugli avvenimenti nella sua città nel 1948: “La folla di ebrei si è scatenata
ed ha iniziato a saccheggiare i negozi…A decine, in gruppi, gli ebrei hanno
proceduto a rubare nelle case e nei negozi degli arabi.”
Anche molti soldati “non si sono
trattenuti e si sono uniti ai festeggiamenti,” scrisse nelle sue memorie Nahum
Av, il comandante dell’Haganah [principale milizia sionista, ndtr.] nella città
vecchia di Tiberiade. Soldati ebrei, che avevano appena combattuto contro gli
arabi vennero posti all’ingresso della città vecchia, scrisse, per impedire che
gli abitanti ebrei facessero irruzione nelle case degli arabi. Erano armati
“per affrontare gli ebrei che cercavano di entrare a forza nella città con
l’intento di rubare e saccheggiare.” Durante tutto il giorno “la folla si è
affollata attorno alle barriere e cercava di entrare. I soldati sono stati
obbligati a resistere con la forza.”
A questo proposito Kremer notò che
“c’era concorrenza tra diverse unità dell’Haganah… che sono arrivate in auto e
in barca ed hanno preso ogni sorta di oggetti… frigoriferi, letti e via di
seguito.” Egli aggiunse: “Naturalmente a Tiberiade la folla di ebrei è entrata
per fare altrettanto. Ha lasciato su di me un’impressione molto sgradevole,
l’abbruttimento di tutto ciò. Insudicia la nostra bandiera… La nostra lotta è
minata a livello etico… è ignobile… che declino morale.”
Si vide gente “vagare tra i negozi
saccheggiati e prendere qualunque cosa fosse rimasta dopo il vergognoso furto,”
aggiunse Nahum Av nel suo resoconto. “Ho pattugliato le strade ed ho visto una
città che fino a non molto tempo fa era stata più o meno normale. Invece ora è
una città fantasma, depredata, i suoi negozi svaligiati e le case svuotate dei
loro abitanti… Lo spettacolo più vergognoso è stato quello della gente che
rovistava tra i mucchi rimasti dopo il grande saccheggio. Si vedono le stesse scene umilianti ovunque. Ho
pensato: come può essere? Non si sarebbe mai dovuto permettere che ciò
accadesse.”
Netiva Ben-Yehuda, leggendaria combattente
del Palmach che partecipò alla battaglia di Tiberiade, fu inflessibile nella
sua descrizione degli avvenimenti. “Queste immagini ci erano già note. È il
modo in cui le cose sono sempre state fatte a noi, durante l’Olocausto, durante
la guerra mondiale e in tutti i pogrom. Oh, come conosciamo bene queste
immagini. E qui, qui, abbiamo fatto queste cose orribili ad altri,” scrisse.
“Abbiamo caricato ogni cosa sul camioncino, con un terribile tremore delle
mani. E non a causa del peso. Le mie mani stanno ancora tremando, solo perché
ne sto scrivendo.”
Tiberiade, conquistata dalle forze
ebraiche nell’aprile 1948, fu la prima città mista arabo-ebraica ad essere
presa nel corso della Guerra d’Indipendenza. Fu “un archetipo in miniatura di
quanto sarebbe avvenuto nei mesi seguenti nelle città arabe e miste del Paese,”
afferma Raz. Nel corso della sua ricerca ha scoperto che non esiste nessun dato
ufficiale sui saccheggi, sulle loro dimensioni quantitative ed economiche. Ma
chiaramente queste azioni avvennero in modo esteso in ognuna di queste città.
In effetti Raz ha trovato resoconti
simili a quelli riguardanti Tiberiade nella documentazione della battaglia di
Haifa, che ebbe luogo qualche giorno dopo, il 21 e il 22 aprile. “Mentre con
una mano lottavano e conquistavano, con l’altra i combattenti trovavano il
tempo di saccheggiare, tra le altre cose, macchine da cucire, giradischi e
vestiti,” secondo Zeev Yitzhaki, che combatté nel quartiere di Halisa, in
città.
“La gente ha arraffato tutto quello che
ha potuto… Quelli più intraprendenti hanno aperto i negozi abbandonati ed hanno
caricato le mercanzie in ogni veicolo. Regnava l’anarchia,” aggiunse Zadok
Eshel, della brigata Carmeli. “Insieme alla gioia per la liberazione della
città e il sollievo dopo mesi di incidenti sanguinosi, è stato scioccante
vedere la smania dei civili nell’approfittare del vuoto di potere e fare
irruzione nelle case delle persone che un fato crudele ha trasformato in
rifugiati.”
Yosef Nachmani, che visitò Haifa dopo
che era stata conquistata dalle forze ebraiche, scrisse: “Anziani e donne,
indipendentemente dall’età e dallo status religioso, sono tutti impegnati a
saccheggiare. E nessuno li ferma. Ciò si ritorcerà su di noi e sull’educazione
dei giovani e dei bambini. La gente ha perso ogni vergogna, azioni come queste
minano le fondamenta morali della società.”
Saccheggi e furti furono così diffusi
che il procuratore generale che accompagnò le forze combattenti ad Haifa, Moshe
Ben-Peretz, nel giugno del 1948 affermò: “Non è stato lasciato niente da
prendere agli arabi. Semplicemente un pogrom… E tutti i comandanti hanno una
scusa: ‘Sono arrivato qui solo due settimane fa’, ecc. Non c’è nessuno da
arrestare.”
***
“C’erano tante case in rovina e mobili
sfasciati abbandonati tra i mucchi di macerie. Le porte delle case da entrambi
i lati della strada erano scassinate. Molti oggetti presi dalle case erano
sparpagliati sui marciapiedi… Nell’ingresso della casa c’era una culla
rovesciata e vicino una bambola nuda, un po’ rotta, con la faccia a terra.
Dov’è il bambino? In quale esilio è finito? Quale esilio?”
– Moshe Carmel, comandante della
brigata Carmeli, sul saccheggio di Haifa.
Membri della Camera di Commercio e
dell’Industria dell’Yishuv avevano messo in guardia sulla possibilità di
saccheggi: “In futuro dovremo rispondere alla storia, che si occuperà
dell’argomento,” scrissero all’Emergency Committee, l’istituzione [sionista] di
governo pre-statale. In un documento intitolato “Epidemia di saccheggi e
furti”, il personale dei servizi giudiziari dell’esercito, parte del sistema
della giustizia militare, notò: “Questa piaga si è diffusa in tutte le unità e
in tutti i ranghi degli ufficiali… I furti e i saccheggi hanno assunto
dimensioni impressionanti e i nostri soldati sono impegnati in questa attività,
con dimensioni che danneggiano la loro preparazione alla battaglia e il loro
senso del dovere.”
Anche membri del partito Comunista si
espressero sull’argomento. In un memorandum all’Amministrazione del Popolo (il
governo provvisorio) e al quartier generale dell’Haganah, il partito riferì di
“una campagna di saccheggi, rapine e furti di proprietà degli arabi di
dimensioni impressionanti.” In effetti “la grande maggioranza delle case degli
abitanti arabi è stata svuotata di ogni cosa di valore, le merci e i beni sono
stati rubati dai negozi e le macchine portate via da laboratori e fabbriche.”
Dopo la conquista di Haifa Ben-Gurion
scrisse nel suo diario riguardo a “ruberie totali e complete” nel quartiere di
Wadi Nisnas perpetrate dall’Irgun, la milizia pre-statale guidata da Menachem
Begin e da forze dell’Haganah: “Ci sono stati casi in cui gente dell’Haganah,
compresi i comandanti, sono stati trovati con oggetti rubati,” scrisse. Pochi
giorni dopo, in un incontro dell’esecutivo dell’Agenzia Ebraica, Golda Meir
notò che “nel primo giorno o due (dopo la conquista della città) la situazione
nella zona conquistata è stata cupa. In particolare nel settore occupato
dall’Irgun nelle case non è rimasto neppure un ago.”
Informazioni sui saccheggi comparvero anche
sulla stampa. Alla fine del 1948 Aryeh Nesher, il corrispondente di Haaretz da
Haifa, scrisse: “Risulta che il popolo ebraico ha imparato anche questa
professione (il furto), e molto approfonditamente, come è abitudine degli
ebrei. ‘Il lavoro ebraico’ ora esiste anche in questo mestiere. In effetti il
flagello dei furti ha colpito Haifa. Ogni settore dell’Yishuv vi ha preso
parte, indipendentemente dalla comunità etnica e dal Paese d’origine. Nuovi
immigrati ed ex-ospiti della prigione di San Giovanni d’Acri, abitanti da lungo
tempo originari dell’Est e dell’Ovest, indistintamente… E dov’è la polizia?” Un
inviato di Maariv, che nel luglio 1948 partecipò a una visita a Gerusalemme
scrisse: “Portate giudici e polizia nella Gerusalemme ebraica, perché siamo
diventati come tutte le altre Nazioni.”
***
“Lungo la strada non c’è una casa, un
negozio, un’officina da cui non sia stato portato via tutto… Cose di valore o
che non valgono niente, letteralmente tutto! Rimani con un’impressione
scioccante di questa immagine di rovine e mucchi di detriti, tra cui si
aggirano uomini che frugano tra gli stracci per prendersi qualcosa in cambio di
nulla. Perché non prendere? Perché avere pietà?”
– Ruth Lubitz, testimone del
saccheggio di Giaffa
Raz, 37 anni, fa parte dell’Akevot
Institute (che si dedica a questioni sui diritti umani relative al conflitto) e
cura il giornale Telem per la Fondazione Berl Katznelson [legata al partito
laburista, ndtr.]. (Egli collabora anche spesso ad Haaretz con articoli di
storia). Benché non abbia conseguito un dottorato, il suo curriculum include un
certo numero di studi che potrebbero benissimo essere serviti come base per una
tesi di dottorato – sul massacro di Kafr Qasem [nel 1956 le truppe israeliane
uccisero 48 palestinesi con cittadinanza israeliana, tra cui 6 donne e 23
minorenni dagli 8 ai 17 anni, ndtr.], sul progetto nucleare israeliano e su
Theodor Herzl. Sul saccheggio di proprietà di arabi da parte degli ebrei si è
già scritto, ma pare che Raz sia il primo ad aver dedicato un’intera monografia
all’argomento.
“A differenza di altri ricercatori che
hanno scritto della guerra, vedo il saccheggio come un avvenimento di
un’importanza molto maggiore di quanto è stato detto in precedenza in merito,”
nota lo storico. “Nel libro mostro quanto fosse sconvolta la maggioranza dei
decisori politici riguardo al saccheggio ed al pericolo che ciò poneva alla
società ebraica, e il livello in cui ciò era una questione controversa tra
loro.”
Egli sostiene anche che ci sia stata una
“congiura del silenzio” sul fenomeno. Dice che in seguito a ciò persino ora,
nel 2020, i colleghi che hanno letto il libro prima della sua pubblicazione
sono rimasti “sorpresi dalle sue dimensioni”.
Egli descrive la spoliazione delle
proprietà arabe da parte degli ebrei come un fenomeno “particolare”, perché i
saccheggiatori erano civili (ebrei) che rubavano ai loro vicini civili (arabi).
“Non erano ‘nemici’ astratti che arrivavano dal mare, ma i vicini di ieri,”
afferma.
Su quale base affermi che questo fu un
avvenimento particolare? La storia mostra che nella Seconda Guerra Mondiale
anche la popolazione polacca saccheggiò le proprietà dei vicini ebrei, che
avevano vissuto vicino a loro pacificamente per secoli. Che sia questa una
reazione non limitata al nostro caso? Non è forse la natura umana?
Raz: “Il saccheggio in tempi di guerra è
un antico fenomeno storico che è documentato in testi di migliaia di anni fa.
Il mio libro non affronta il fenomeno in generale, ma nel caso
israeliano-arabo-palestinese. È stato importante per me sottolineare che il
saccheggio di proprietà arabe fu diverso dal ‘normale’ saccheggio di guerra.
Non erano, per esempio soldati americani che depredavano i vietnamiti o
tedeschi a migliaia di chilometri da casa. Furono civili che saccheggiarono i loro
vicini della casa di fronte alla loro. Non intendo che conoscessero
necessariamente Ahmed o Noor, le cui proprietà stavano rubando, ma che i vicini
erano parte di un tessuto sociale civile condiviso.
“Gli ebrei di Haifa e dei dintorni che
saccheggiarono le proprietà di circa 70.000 arabi ad Haifa, per esempio,
conoscevano gli arabi le cui case stavano depredando. Questo era sicuramente
anche il caso delle città miste e dei villaggi che si trovavano nei pressi di
kibbutz [comunità sioniste con proprietà collettiva, ndtr.] e moshav. Il libro
è pieno di esempi che attestano il fatto che i saccheggiatori sapevano che
quello che stavano facendo era immorale. Oltretutto la gente sapeva che la
maggioranza della comunità palestinese non aveva partecipato attivamente agli
scontri. Nella maggioranza dei casi, di fatto, il saccheggio avvenne dopo la
battaglia, nei giorni e nelle settimane seguenti la fuga e l’espulsione dei
palestinesi.”
Comunque non è l’unico caso di questo
genere.
“Come storico non sono un sostenitore
della storia comparata e non ritengo che dai saccheggi avvenuti nella storia si
possa ricavare molto riguardo al caso israeliano.”
***
Da Haifa il libro di Raz si sposta a
Gerusalemme, dove i saccheggi andarono avanti per mesi, dice. Cita il diario di
Moshe Salomon, un comandante di compagnia che combatté in città: “Fummo tutti
travolti da questo, soldati semplici ed ufficiali. Ognuno venne preso da una
brama di possesso. Frugarono in ogni casa e qualcuno trovò cibo, altri oggetti
di lusso. La mania prese anche me e riuscii a fatica a trattenermi. A questo
proposito non ci sono limiti a quello che la gente può fare…È lì che iniziano
la morale e l’inclinazione dell’uomo, quindi si può capire il senso della
teoria secondo cui in guerra i valori morali e l’umanità sfumano.”
Yair Goren, un abitante di Gerusalemme,
raccontò che “la caccia al bottino fu intensa…Uomini, donne e bambini correvano
di qua e di là come topi drogati. Molti litigavano su una cosa o l’altra in uno
dei mucchi, o sul numero di oggetti, e ciò arrivò al punto di scontri
sanguinosi.”
L’ufficiale operativo della brigata
Harel, Eliahu Sela, descrisse come “un pianoforte e poltrone dorate e cremisi
vennero caricati sui nostri camion. Fu orribile.
Orribile. Dei combattenti videro una radio e dissero: ‘Ehi, ho bisogno di una radio.’
Poi videro un servizio di piatti. Buttarono via la radio e presero quelli…
Soldati si avventarono su delle lenzuola. Continuarono ad ammucchiare (cose)
nei loro cappotti.”
David Werner Senator, uno dei dirigenti
di Brit Shalom, che invocava la coesistenza di arabi ed ebrei in un unico Stato
e importante funzionario dell’Università Ebraica di Gerusalemme, descrisse
quello che vide: “In questi giorni, quando passi per le vie di Rehavia (un
quartiere elegante di Gerusalemme), vedi ovunque anziani, giovani e bambini che
tornano da Katamon o da altri quartieri con borse piene di oggetti rubati. Il
bottino è vario: frigoriferi e letti, orologi e libri, biancheria intima e
vestiti… Che disgrazia e che rovina morale hanno portato su di noi i ladri
ebrei! È ovvio, una terribile dissolutezza si diffonde tra giovani e anziani.”
Un ufficiale operativo della brigata
Etzioni, Eliahu Arbel, descrisse soldati “avvolti in tappeti persiani” che
avevano rubato. Una notte si imbatté in un veicolo blindato sospetto.
“Scoprimmo che era pieno di frigoriferi, giradischi, tappeti e qualunque altra
cosa.” L’autista gli disse: “Dammi il suo indirizzo, ti porterò tutto quello
che vuoi a casa.” Arbel continua: “Non sapevo cosa
fare. Arrestarlo? Ucciderlo? Gli ho detto: ‘Vattene al diavolo, via di qui!’ E se n’è
andato.” Ricorda che in seguito “un abitante del quartiere disse a mia moglie
che in un certo negozio un frigorifero elettrico costava poco. Sono andato al
negozio e là ho incontrato l’uomo del veicolo blindato. Ha detto: ‘Per lei, 100
lire!’ ‘Non ti vergogni?!’ gli ho detto. Ha risposto: ‘Se tu sei un idiota, io
dovrei vergognarmi?”
***
“Ho portato qualche bella cosa da Safed.
Per Sara e per me ho trovato vestiti arabi finemente ricamati e qui possono
essere adattati a noi. Coltelli e fazzoletti, braccialetti e collane, un tavolo
placcato in oro e argento e un sevizio di splendide tazzine da caffè d’argento,
e soprattutto ieri Sara ha portato un grande tappeto persiano nuovissimo e
stupendo, di una bellezza mai vista. Una sala come questa può competere con
quelle di tutti i ricchi di Tel Aviv.”
– Un combattente del Palmach sul
saccheggio di Safed
Nel libro di Raz ci sono riferimenti
solo marginali al fenomeno opposto: casi in cui gli arabi saccheggiarono
proprietà ebraiche.
In una nota a piè di pagina hai scritto
che “anche gli arabi saccheggiarono e razziarono durante la guerra.” Ci si
potrebbe anche chiedere perché non descrivi il saccheggio di proprietà ebraiche
in Paesi arabi dopo che gli ebrei fuggirono o vennero espulsi da lì. Non
sarebbe stato corretto parlare di questo?
“Il libro è un documento storico, non un
atto d’accusa. Lascia che ti racconti una storia. In seguito alla pubblicazione
del mio libro sul massacro di Kafr Qassem sono stato invitato a tenere una
lezione all’università di Ariel ([una colonia] in Cisgiordania). Alla fine tra
il pubblico qualcuno, che evidentemente era infastidito da quello che ho detto,
mi ha chiesto: “Perché non scrivi sul massacro perpetrato dagli arabi contro
gli ebrei di Hebron nel 1929?” Bene, il titolo di questo libro è ‘Saccheggi di
proprietà arabe da parte di ebrei nella Guerra d’Indipendenza.’ Non è
‘Saccheggi e furti nella storia del conflitto arabo-israeliano dalla prima
Aliyah al piano Trump.’
Penso che i saccheggi di proprietà arabe
durante la guerra siano un caso particolare e distintivo, almeno abbastanza
particolare da scriverci un libro. Penso che questa spoliazione di proprietà
abbia esercitato, e continui ad esercitare, una considerevole influenza sui
rapporti tra i due popoli che condividono questa terra. Sulla base di un’ampia
documentazione il libro mostra che una parte integrante della popolazione
ebraica partecipò al saccheggio e al furto delle proprietà di più di 600.000
persone. Non assomiglia ai pogrom e ai furti commessi dagli arabi durante le
rivolte palestinesi. Il saccheggio di proprietà ebraiche negli Stati arabi, di
per sé un argomento affascinante, non è neppure collegato al mio libro, il cui
primo capitolo intende descrivere il saccheggio come un fenomeno generalizzato
nell’arco di molti mesi e il cui secondo capitolo spiega come queste azioni
fossero intrecciate a un approccio politico.”
Scrivi che “non c’è paragone tra le
dimensioni del saccheggio” da parte di arabi e quello degli ebrei e che in ogni
caso la maggior parte dei saccheggiatori arabi “proveniva da Paesi vicini e non
erano abitanti del posto.” Qual è la base di questa affermazione?
“La questione è semplice. Gli abitanti
arabi fuggirono o furono espulsi rapidamente. Non ebbero il tempo o la
possibilità di occuparsi di armadi, frigoriferi, pianoforti e delle proprietà
nelle migliaia di case e negozi che erano stati abbandonati. Fuggirono di corsa
e la grande maggioranza di loro pensava che sarebbe tornata in breve tempo. Il
Paese venne svuotato della sua popolazione araba in pochissimi giorni, e civili
e soldati si affrettarono a saccheggiare i loro beni.
Anche le forze combattenti arabe, la
grande maggioranza delle quali non era del posto, si dedicarono al saccheggio.
Ma l’ordine di grandezza è completamente diverso. E, ovviamente, le conquiste
dei combattenti arabi furono, fortunatamente, molto poche. Il kibbutz Nitzanim,
preso dalle forze egiziane, venne saccheggiato e subì una massiccia
distruzione. Faccio presente che in certi luoghi (cioè nei casi di Giaffa o del
Blocco di Etzion) le forze arabe furono impegnate a saccheggiare. Nella
confusione della precipitosa evacuazione, perfino i britannici compirono alcuni
saccheggi. Ma non allo stesso livello. Bisogna capire che le forze ebraiche
presero Tiberiade, Haifa, Gerusalemme ovest, Giaffa, San Giovanni d’Acri,
Safed, Ramle, Lod e altre località. D’altra parte i combattenti arabi presero,
per esempio, il kibbutz Yad Modechai, Nitzanim e il Blocco di Etzion.
Haifa, per esempio, prima della guerra
aveva una popolazione di 70.000 ebrei ed altrettanti arabi. Dopo la conquista
dell’Haifa araba vennero lasciati in città 3.500 arabi. Le proprietà di 66.500
arabi che fuggirono dalla città vennero saccheggiate dagli ebrei, non dalla
minoranza araba sconfitta e terrorizzata.”
Cosa accadde ai saccheggiatori? I
documenti d’archivio mostrano che da decine a centinaia di procedimenti
giudiziari vennero aperti contro sospetti depredatori, sia civili che militari.
Tuttavia, evidenzia Raz, “in genere le condanne furono comunque lievi, se non
ridicole,” spaziando da multe a sei mesi di carcere. A quanto pare l’opinione
di Raz venne condivisa da alcuni ministri del governo, come attestato da
carteggi del 1948.
Il ministro della Giustizia Pinhas Rosen
scrisse: “Tutto quello che è stato fatto in questa zona è una disgrazia per lo
Stato di Israele e non c’è una risposta adeguata da parte del governo.” Il suo
collega, il ministro dell’Agricoltura Aharon Zisling, lamentò che “nei pochi
casi di processi le maggiori ruberie … ricevettero una punizione molto mite.”
Il ministro delle Finanze Eliezer Kaplan chiese “se questo è il modo di combattere
contro ruberie e furti.”
***
“La gente che è arrivata con camion è
andata di casa in casa ed ha portato via le cose di valore: letti, materassi,
armadi, utensili da cucina, bicchieri, sofà, tende e altri oggetti. Quando sono
tornato a casa volevo proprio chiedere a mia madre perché lo avessero fatto,
dopotutto quelle proprietà erano di qualcuno… Ma non ho osato farlo. La vista
della città vuota e il fatto che siano stati presi i beni dei suoi abitanti, e
le domande che tutto questo aveva suscitato in me, mi hanno tormentato per
anni.”
– Fawzi al-Asmar a proposito del
saccheggio di Lod
Seguendo la discussione complessiva sul
saccheggio che ci fu nel Paese, Raz si occupa delle sue implicazioni politiche.
“Questo non è solo un resoconto dei saccheggi, è una vicenda politica,” scrive.
Le razzie, sostiene, “erano tollerate” dai dirigenti politici e militari, e
soprattutto da Ben-Gurion, nonostante le sue condanne in contesti ufficiali.
Oltretutto, secondo Raz, il saccheggio “giocò un ruolo politico nel definire il
carattere della società israeliana. Le venne consentito di procedere
rapidamente senza interferenze. Questo fatto richiede una spiegazione
politica.”
E secondo te qual è questa spiegazione?
“Il saccheggio fu un mezzo per
realizzare la politica di svuotare il Paese dei suoi abitanti arabi. Primo, il
saccheggio trasformò, in senso letterale, i predatori in criminali. Secondo,
trasformò, volenti o nolenti, quelli che perpetrarono azioni individuali in
complici della situazione politica, partner passivi nell’approccio politico e
di politiche che cercavano di svuotare la terra dai suoi abitanti arabi, con un
interesse acquisito nel non consentire loro di tornare.”
Ciò può essere stato così in alcuni
casi, ma pensi davvero che per strada le persone qualunque che vedevano un
bellissimo tavolo e lo rubavano considerassero la faccenda con attenzione e si
dicessero: “Sto rubando questo tavolo in modo che i suoi proprietari non
possano tornare, per ragioni politiche”?
“La persona che derubava la proprietà del
suo vicino non era consapevole del processo per cui lui era complice di una
linea politica che intendeva impedire il ritorno degli arabi. Ma nel momento in
cui entri nell’edificio del tuo vicino e porti via i beni di una famiglia araba
che è vissuta lì fino al giorno prima, sei meno motivato a che essa ritorni
entro un mese o un anno. La collaborazione passiva tra uno specifico approccio
politico e il singolo saccheggiatore ebbe anche un’influenza a lungo termine.
Rafforzò l’idea politica che fece propria la segregazione tra i popoli negli
anni dopo la guerra.”
Senza giustificare i ladri, cosa pensi
si sarebbe dovuto fare con queste proprietà? Trasferirle alla Croce Rossa?
Distribuirle agli ebrei in modo “ordinato”?
“La questione non è cosa io, lo storico,
avrei voluto che succedesse ai beni degli arabi. È inutile fare raccomandazioni
70 anni dopo gli eventi. Il libro mostra che ci furono dirigenti che
criticarono quello che stava avvenendo in quel momento, sia a livello degli
eventi sul terreno che politico. Pensavano che il fatto che Ben-Gurion avesse
consentito i saccheggi intendesse creare una particolare situazione politica e
sociale, e fosse uno strumento nelle mani di Ben-Gurion per raggiungere questi
obiettivi. La ragione (di un simile approccio) risiede nel fatto che c’è una
sostanziale differenza tra il saccheggio da parte di masse di cittadini ebrei
delle proprietà dei palestinesi che lasciarono le loro case, negozi e fattorie
e l’acquisizione delle proprietà da parte di un’istituzione legittima.
Socialmente e politicamente c’è una notevole differenza.
E questo fu esattamente il fulcro delle
critiche a Ben-Gurion: che il saccheggio stava creando una società corrotta ed
era funzionale alla linea di segregazione tracciata tra arabi ed ebrei. Ministri
e decisori politici, come Bechor Shalom-Sheetrit, ministro degli Affari delle
Minoranze, Zisling e Kaplan, criticavano la depredazione da parte di singoli
individui. Secondo loro avrebbe dovuto essere creata un’autorità operativa e
con un potere concreto per mettere insieme tutti i beni e sovrintendere alla
loro distribuzione e utilizzo. Ben-Gurion si oppose a questa idea e la sabotò.”
Cosa ti rimane a livello personale della
ricerca complessiva che hai condotto, al di là della documentazione storica?
Come persona, come ebreo, come sionista?
“Fino ad oggi il saccheggio delle
proprietà degli arabi e la congiura del silenzio a questo riguardo
costituiscono azioni con cui l’opinione pubblica ebraica e quella sionista, di
cui faccio parte, devono fare i conti. In questo contesto Martin Buber
[filosofo, teologo e pedagogista austriaco naturalizzato israeliano,
sostenitore del sionismo “spirituale”, ndtr.] affermò (in una lettera
scritta all’epoca): ‘La redenzione interiore non può essere raggiunta se non quando
guardiamo in faccia il carattere letale della verità.”
(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)
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