La scuola italiana ha ripreso le lezioni in presenza da circa un mese. Moltissimi i disagi e le difficoltà registrate, più o meno preoccupanti nelle diverse zone del paese: è di pochi giorni fa la notizia della chiusura delle scuole campane, a seguito di un aumento di contagi e della preoccupante pressione sulle strutture servizio sanitario regionale. Non si escludono analoghe decisioni altrove. Alle difficoltà endemiche di inizio anno – cattedre vacanti e lezioni a singhiozzo, situazione dei posti di sostegno, precariato e reclutamento – si sommano quelle contingenti, dovute ad un’emergenza sanitaria senza precedenti. La situazione è in continua evoluzione: il Ministero ha chiesto a tutte le istituzioni scolastiche di procedere ad un monitoraggio della situazione epidemiologica, acquisendo dati relativi ai contagi e alle misure adottate, settimana dopo settimana. La differenziazione in termini di gestione e organizzazione didattica è più che mai variegata, pur nel quadro generale delle disposizioni emanate quest’estate. Tra rientri differenziati, mancanza di tempo pieno, orari ridotti, turnazioni, didattica mista o interamente a distanza per assenza di spazi, la geografia scolastica è quanto mai frastagliata e pare difficile ipotizzare un’evoluzione nel senso di una maggiore omogeneità. Tra le nuove misure al vaglio del governo, spunta l’ipotesi di un ritorno alla didattica a distanza.
Non sembra essere un caso, quindi, che lo stesso Ministero, nell’ordinanza
annuale in cui si definisce il calendario scolastico, con le festività
nazionali uguali per tutte le scuole, non abbia reso note le date
di inizio degli esami di Stato del primo e secondo ciclo.
La scuola ha ricominciato- è vero – ma con lo sguardo sempre puntato sulle
curve di crescita dei contagi, con enormi difficoltà di gestione, sia di tutti
quei casi con sintomatologie che non
consentono l’accesso in classe, che dei casi monitorati di positività e
quarantena; con i disagi legati ad un’organizzazione didattica
“acconciata” come meglio si poteva – in termini di personale, di spazi e
dotazioni -, con uno stato dei trasporti pubblici assolutamente
inadeguato. Si respira un clima di sospensione e di incertezza, si avverte una
sorta di consapevolezza che lo stato attuale delle cose non durerà.
E mentre si susseguono i confronti del ministro con
il Comitato Tecnico Scientifico e l’Istituto Superiore di Sanità, quelli con
le Regioni e il Ministero dei trasporti, mentre
si scrivono i provvedimenti governativi (DPCM 13 Ottobre e 18 Ottobre) che introducono nuove regole di
condotta sociale, intervenendo anche sull’organizzazione scolastica (Nota M.Bruschi 19 Ottobre), sembra essere uno
solo il punto fermo a cui aggrapparsi: i test INVALSI.
Pare proprio che, a dispetto di ogni dato di fatto, il nostro “Santuario
della cultura del dato” (definizione del suo Direttore Generale, vedi qui), ovvero l’ Istituto Nazionale di
Valutazione, abbia già fissato le date dei test di quest’anno, che dunque
si svolgeranno regolarmente.
A parte un breve accenno, doveroso, all’eventuale “cambiamento
concordato con il Ministero dell’istruzione”, dovuto alla situazione
sanitaria, che potrebbe far subire variazioni alle “date e
all’organizzazione”, il quadro dei test per gli oltre 2,5 milioni di
studenti italiani è perfettamente sovrapponibile a quello degli anni
precedenti.
1. Il dibattito sulla valutazione durante
la pandemia
L’“INVALSI è un istituto di ricerca che contribuisce al dialogo della
comunità scientifica sulla valutazione”.
Questo leggiamo nella sezione “Ricerca” del rinnovato sito invalsiopen.it,
dedicato alle prove standardizzate e all’universo della valutazione e
misurazione degli apprendimenti della scuola italiana.
Eppure, chi di noi scorresse le pagine di quel sito resterebbe colpito
dalla pressoché totale assenza di riscontro con la realtà materiale che la
scuola sta affrontando e ha affrontato in questi mesi. Non tra le principali pubblicazioni, né nelle sezioni
dedicate alle “Prove”, ai “Risultati”
e alle “Risorse”.
Nella sezione “News” di questo mese – ottobre – ad esempio,
leggiamo:
Solo scorrendo indietro tale sezione del sito, tra i circa 60 articoli
raccolti dall’inizio della pandemia ad oggi, trova spazio “l’attualità” in un
Editoriale a firma della Presidente dell’Istituto – di cui parleremo più avanti
– e alcuni commenti: la sintesi di uno studio dell’ INDIRE [1],
quella di uno studio del CENSIS [2],
il richiamo ad un’analisi di Save the Children [3] e
una rilettura dell’indagine OCSE sulla didattica a distanza basata sui dati
PISA 2018 [4].
In tre articoli (qui, qui e qui) sono poi raccolte esperienze e voci di
lavoratori della scuola sull’anno scolastico appena conclusosi.
Nessun tipo di approfondimento scientifico originale, nessun raffronto con
ciò che accade negli altri paesi, alle prese con la stessa emergenza. Anche sul
fronte dell’informazione pubblica, oltre che su quello scientifico, in Italia
non è all’orizzonte alcuna messa in discussione o confronto in tema di
valutazione.
Eppure, nel panorama internazionale non si esaurisce quel dibattito già
acceso durante lo scorso anno scolastico e accademico, sul senso e
sull’opportunità di mantenere immutato l’impianto delle valutazioni e delle
qualifiche nazionali.
Negli USA, nell’estate appena trascorsa, più
di 400 college hanno deciso di cancellare come requisito di ammissione i
test SAT e ACT.
Alcuni hanno annunciato addirittura una pausa triennale.
“The coronavirus pandemic, by forcing the
cancellation of in-person test-taking, prompted elite universities including
Harvard, Yale and the University of California system to join, at least
temporarily, the list of schools that aren’t requiring the ACT and SAT entrance
exams.”
“In 2020 alone, more than 300 schools have
gone testing-optional, albeit temporarily, as the coronavirus has forced
the closure of testing centers, many of which are located at high
schools.”
Intanto, mentre il segretario per l’Educazione dell’amministrazione Trump, Betsy
DeVos, annuncia con una lettera inviata ai capi di Stato
che quest’anno verranno svolti normalmente i test standardizzati previsti
in base all’ Every Student Succeds Act (ESSA) , il confronto e
il dibattito continuano (vedi qui, qui, qui o qui) su posizioni anche conflittualmente
aperte.
In Inghilterra, dopo la spettacolare retromarcia da parte
del governo sull’attribuzione algoritmica di valutazioni assegnate agli
studenti a fine II ciclo in sostituzioni di quelle degli insegnanti, la messa
in discussione dell’impianto valutativo del sistema di istruzione è più che mai
attuale [5]:
In Scozia, il governo nei mesi scorsi commissionava al Prof. Mark
Priestly (University of Stirling) un’analisi indipendente
sui processi di qualifica nazionale svoltisi nel 2020 e nella data del 7
Ottobre (tweet ripreso in foto) annunciava la cancellazione dei 5 Esami
Nazionali previsti dal Curriculum of Excellence.
In tema di didattica e apprendimento a distanza in Francia, risale al 13 Ottobre la presentazione da parte del CNESCO (Centre national d’étude des systèmes scolaires) del rapporto “Numérique et apprentissages scolaires”, sull’impiego del digitale nelle discipline fondamentali, sui suoi effetti sull’apprendimento e sulla relazione scuola-famiglia.
In Italia, nulla di tutto questo.
Al contrario. In un’atmosfera provincialmente ovattata, continuano a
susseguirsi sulle colonne dei principali organi di stampa – persino sui rotocalchi femminili – e sui social i piagnistei sull’importanza
dei test non svolti in periodo di lockdown, che addirittura avrebbero permesso di misurare quantitativamente
il “learning loss” degli studenti, anche quantificato in termini di percentuali
di PIL.
In questo panorama, l’ editoriale dal titolo: “A proposito di
valutazione in tempi di Covid-19”, a firma della Presidente A.M.
Ajello, sul sito dell’INVALSI, che lo (auto)definisce “una
interessante riflessione sulla valutazione nella didattica a distanza” –
rappresenta, ad oggi, l’analisi disponibile per il lettore che desideri
approfondire il tema, svolta dal nostro Istituto di Valutazione (ricordiamo: un
“Ente di Ricerca”).
Come è possibile – sarebbe opportuno chiedersi – che l’INVALSI continui a procedere
ostinatamente nella stessa direzione, stabilendo a due settimane dall’apertura
delle scuole (30 Settembre) il calendario primaverile dei test,
indipendentemente dallo stato frammentato, disomogeneo e dalle condizioni di
emergenza in cui lavorano le scuole?
Un senso di” scollamento”, di “disallineamento” dalla realtà, di cecità
spacciata per oggettività coglie chiunque – studente, insegnante
o genitore – si trovi a leggere e ad appuntare sulla propria agenda le date dei
futuri test, da Marzo a Maggio 2021: da svolgere rigorosamente in classe, dalla
seconda “elementare” in avanti.
Probabilmente, proprio quell’editoriale sulla valutazione in tempi del
Covid, potrebbe aiutare a ricordare meglio il perché di tale posizione,
all’apparenza ottusamente corporativa (un istituto di valutazione non avrebbe
ragion d’essere, senza la somministrazione di test standardizzati), ma a nostro
avviso più propriamente idologica, ovvero frutto di una precisa “concezione del
mondo”.
In quell’editoriale, infatti, è resa evidente ancora una volta e con
estrema chiarezza la visione che l’Istituto di Valutazione INVALSI ha dell’insegnamento
e della professionalità docente.
Pur non contenendo la riflessione alcun punto di novità, vale la pena
ripercorrere i suoi passi fondamentali…
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