Luis Arce è il nuovo presidente della Bolivia. Con il 53% dei consensi ha superato con uno scarto addirittura maggiore rispetto alle aspettative i candidati delle destre Carlos Mesa (31,2%) e Fernando Camacho (14,1%).
Jeanine
Añez, la presidenta golpista, è stata costretta a riconoscere la vittoria di
Luis Arce, per nulla scontata poiché fino al giorno precedente alle
presidenziali circolavano voci di un probabile colpo di stato nel caso in cui
l’economista fedele a Evo Morales avesse conquistato Palacio Quemado. Secondo
quanto riportato dalla Red de Comunicación Popular, sul sito web
kaosenlared.net, era già pronto un colpo di stato orchestrato dal Ministero
della Difesa con il coinvolgimento di 11 militari vicini all’ultradestra nel
caso in cui il Movimiento al Socialismo avesse trionfato. Si trattava, tra gli
altri, dei colonnelli Ramiro Eduardo Calderón De La Riva Lazcano, Edwin Iván
Suaznabar Ledesma, Saúl Torrico Peredo, Luis Sagredo Torrico e Grober Quiroga
Gutiérrez.
Tuttavia, il
sostegno ad Arce è stato tale che lo stesso ministro Arturo Murillo, uno dei
più fanatici esponenti del golpismo ed ideatore della strategia dei falsos
positivos volta ad accusare il Mas di aver promosso una improbabile guerra di
guerriglia e di addossare al partito di Evo la responsabilità degli incendi
nella Chiquitanía amazzonica, si è dovuto arrendere, almeno per il momento.
Il 24 e 25
settembre scorsi, il comandante delle Forze Armate Sergio Orellana, quello
dell’Esercito Rubén Salvatierra e il colonnello Javier Spinoza Daza avevano
organizzato una serie di riunioni per decidere il da farsi nel caso in cui Luis
Arce avesse vinto. Ebbene, l’economista scelto dal Mas per la sua moderazione
al posto candidati più radicali che avrebbero rischiato di spaventare la parte
di elettorato non militante ha guadagnato la presidenza con una certa facilità,
ma dovrà comunque guardarsi dalle destre, che faranno di tutto per costringere
Evo Morales, tuttora rifugiato in Argentina, al processo.
Non a caso,
nell’ambito del piano golpista svelato a ridosso delle elezioni, il colonello
Oscar Pacello Aguirre era stato incaricato di collocare esplosivi per poi far
ricadere la colpa sul Mas, il generale Marco Antonio Bracamonte ed altri
avrebbero dovuto mobilitare, come se non ce ne fosse stato bisogno, gli
evangelici ed altri loro colleghi si sarebbero dovuti occupare di scatenare le
milizie paramilitari dell’Unión Juvenil Cruceñista, ma la destra boliviana, la
cui credibilità è pari a zero come del resto quella venezuelana, ha pensato di
dividersi tra i moderati o pseudotali che hanno sostenuto Mesa e i duri e puri
fedelissimi di Camacho, permettendo così a Luis Arce di evitare un ballottaggio
che avrebbe potuto verificarsi se tra il primo e il secondo candidato fosse
stato rilevato uno scarto inferiore ai dieci punti percentuali.
Adesso la
maggiore difficoltà di Arce sarà quella di governare un paese dove, c’è da
scommetterci, le destre tenteranno ancora una volta la strategia della
destabilizzazione, già messa in pratica durante tutta la campagna elettorale
anche grazie al sostegno del segretario dell’Organizzazione degli stati
americani Luis Almagro, il quale ha cercato di nuovo di far passare il successo
elettorale del Mas come una frode.
Al tempo
stesso, il nuovo presidente boliviano dovrà evitare che il Movimiento al
Socialismo ricada negli errori e nelle contraddizioni del passato che hanno
permesso alla destra golpista di rovesciare Evo, a partire dall’eccessiva
identificazione in una sola persona al comando e dai tentativi, in parte
riusciti, di cooptare una parte dei movimenti sociali. Questa è la sfida
maggiore, insieme ad una gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19 che non
ricalchi quella sciagurata di Añez, per un governo che da oggi tornerà
nell’orbita dell’Alba, ma che dovrà contare sull’unità dei movimenti sociali
indigeni e contadini per far fronte alle bande paramilitari che continueranno
ad imperversare nel tentativo di mettere i bastoni tra le ruote a Luis Arce.
Nel
frattempo, in attesa dei ministri che nominerà il nuovo presidente e dei suoi
primi atti, per la Bolivia india, campesina e popolare si tratta di un primo
passo avanti dalle giornate buie del colpo di stato del novembre 2019.
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