La Libertà Non Sta Nello Scegliere Tra Bianco E Nero, Ma Nel Sottrarsi A Questa Scelta Prescritta. (Theodor W.Adorno)
venerdì 2 ottobre 2020
La Palestina è sempre occupata
Covid e occupazione stanno stritolando
ciò che resta della Palestina
Il COVID-19 ha affossato
economia e sanità pubblica in Palestina, già devastata dall’occupazione
israeliana della Cisgiordania e dall’embargo a Gaza. I medici (israeliani e
palestinesi) e le associazioni umanitarie stanno lanciando l’allarme.
Secondo l’ultimo rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul
Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) sulla situazione economica in Palestina, il COVID-19 ha aggravato le terribili condizioni economiche nei territori
palestinesi occupati. Già prima della pandemia, la stessa
UNCTAD prevedeva un biennio ’20-’21 devastante per l’economia palestinese, con
una stima di diminuzione del PIL pro capite tra il 3% e il 4,5%.
In effetti, i tassi di povertà e di
disoccupazione sono rimasti elevatissimi (attorno al 30%), il PIL pro capite è diminuito per il terzo anno consecutivo,
la Cisgiordania ha registrato il
suo tasso di crescita più basso dal 2012 (1,15%),
mentre la Striscia di Gaza è
praticamente a crescita zero.
A minare l’economia palestinese è anche l’occupazione israeliana,
che per il popolo palestinese ha un costo non soltanto umano, politico e
territoriale, ma anche monetario. Ricordiamo che è Israele a riscuotere le
tasse per conto dell’ANP, alla quale eroga le somme raccolte in
modo arbitrario e imprevedibile. Prima della pandemia, l’UNCTAD stimava che
ogni anno l’agenzia delle entrate israeliana tratteneva dalle
somme dovute al fisco palestinese una somma pari al 3,7% del
PIL o al 17,8% del gettito fiscale totale. A questo si aggiunge
il considerevole calo del sostegno dei donatori all’ANP, dal 32% del PIL nel
2008 al 3,5% nel 2019; a Gaza ben l’80% della popolazione dipende dà
un’assistenza internazionale instabile.
È questo il contesto nel quale vanno inserite le conseguenze economiche
delle restrizioni imposte per contenere i contagi da COVID-19. Appena un mese
dopo lo scoppio della pandemia, le entrate fiscali raccolte dall’ANP sono scese
ai livelli più bassi degli ultimi vent’anni; l’impianto sociale è stato poi
ulteriormente indebolito dall’aumento della spesa pubblica – in ambito
sanitario, previdenziale e di sostegno alle imprese – reso necessario dalla
pandemia.
Varie stime sul costo della pandemia indicano una perdita economica compresa tra il 7% e il 35% del PIL, a
seconda delle ipotesi di previsione sulla gravità e la durata della
pandemia. Sotto l’occupazione, l’ANP non dispone dello spazio politico e
degli strumenti di politica economica necessari per affrontare l’enorme sfida
posta dalla pandemia. Non ha accesso a prestiti
esteri, non ha una valuta nazionale propria, non ha una politica monetaria
indipendente e non ha autonomia fiscale.
“La comunità internazionale dovrebbe raddoppiare con urgenza il sostegno
al popolo palestinese per consentirgli di far fronte alle ricadute economiche
della pandemia. Non c’è alternativa al sostegno dei donatori per garantire
la sopravvivenza dell’economia palestinese”, ha dichiarato il Segretario
generale dell’UNCTAD Mukhisa Kituyi.
All’aumentare di casi di COVID-19,
i ministeri della Salute a Gaza come a Ramallah hanno riconosciuto che la loro
capacità di contenere la diffusione del virus fosse limitata dalla carenza di attrezzature sanitarie, tra cui farmaci e materiale sanitario
usa e getta.
Nonostante le premesse, le autorità sanitarie hanno imposto misure di
prevenzione drastiche, che hanno ampiamente contribuito a un tasso di infezione
molto basso durante i primi tre mesi della crisi. Ma gli sforzi sono stati
ostacolati dalle restrizioni
pesanti che il sistema sanitario palestinese si trova ad affrontare da anni; la separazione tra Gerusalemme est, Gaza e Cisgiordania e
le restrizioni che Israele impone alla libertà di
movimento dei pazienti, delle attrezzature mediche e del personale sanitario,
ostacolano infatti a livello strutturale il corretto funzionamento del sistema
sanitario palestinese.
L’embargo imposto congiuntamente
da Israele ed Egitto tredici anni fa lascia Gaza senza
materiale sanitario e con un personale medico privo di conoscenze mediche
aggiornate. Sono più di novemila i pazienti – un quarto
dei quali è malato di cancro – che ogni anno hanno bisogno di cure non
disponibili a livello locale e che quindi devono chiedere dei permessi speciali
a Israele per lasciare la Striscia di Gaza. La diffusione del COVID-19 non ha
fatto altro che peggiorare la situazione. A titolo di esempio, l’autorevole
rivista medica The Lancet ricorda che a Gaza vi sono soltanto 87 posti letti di unità di terapia intensiva con
ventilatori per quasi 2 milioni di persone.
La sezione israeliana dell’organizzazione Physicians
for Human Rights ha chiesto che Israele agisca in modo trasparente e
pubblichi le proprie politiche di prevenzione nei territori palestinesi che
esso occupa. La Convenzione di Ginevra
impone alla potenza occupante di “assicurare, nella piena
misura dei suoi mezzi, e di mantenere,
con il concorso delle autorità nazionali e locali, gli stabilimenti e i servizi sanitari e ospedalieri, come
pure la salute e l’igiene pubbliche nel territorio occupato, specie
adottando e applicando le misure profilattiche e
preventive necessarie per combattere il propagarsi di malattie contagiose e di
epidemie”. Eppure, le restrizioni imposte lasciano migliaia di
persone senza accesso a cure adeguate.
Inizialmente sembravano esserci segnali incoraggianti su
una collaborazione senza precedenti tra Israele, Autorità nazionale palestinese
e Hamas per fronteggiare in maniera coordinata l’avanzare
della pandemia. Ma il miraggio è durato poco. Azioni israeliane ritenute
illecite – come la confisca di materiale per realizzare un ospedale da campo o
l’annuncio di un nuovo piano di annessione dei territori palestinesi occupati –
hanno provocato un irrigidimento della leadership palestinese, minando il già delicatissimo equilibrio tra Tel Aviv, Ramallah e Gaza. In
un movimento congiunto, cinque organizzazioni israeliane per i diritti umani
hanno avanzato una petizione alla
Corte Suprema di Israele affinché vengano prese tutte le
misure necessarie per consentire ai palestinesi trattamenti medici in
condizioni dignitose. In particolare, è stato chiesto di revocare l’assedio e l’embargo della Striscia di Gaza per consentire il corretto funzionamento del sistema sanitario e di altri
servizi essenziali, garantendo la circolazione delle merci necessarie a fini medico-sanitari,
contribuire al rifornimento di medicinali e altro materiale
mancante nella misura più ampia possibile, e infine collaborare con Hamas e l’Autorità nazionale palestinese per
trovare soluzioni per i pazienti che attualmente non possono lasciare la
Striscia di Gaza ma devono ricevere cure non disponibili localmente. Le
associazioni coinvolte nella petizione sono: Gisha,
centro legale per la libertà di movimento dei palestinesi; Adalah, centro legale per i diritti della minoranza araba
in Israele; HaMoked, nata
per difendere i diritti dei palestinesi sottoposti all’occupazione; the Association for Civil Rights in Israel; e Physicians for Human Rights Israel.
Lettera
aperta di Francesco Giordano per i fatti del 25 aprile 2018: "Una piccola
storia ignobile"
A Milano, io ed altri quattro compagni, siamo stati
denunciati per fatti ridicoli e risibili, ma con l’infamante accusa “per
finalità di odio etnico e razziale”.
Da circa un anno sono circolati diversi documenti prodotti
dai 5 compagni, oggi propongo una mia personale riflessione avendo vissuto
tutto il percorso del presidio in Piazza San Babila per contestare la presenza
delle bandiere sioniste.
Il tentativo di criminalizzare quanti hanno partecipato
durante i 15 anni passati è chiaramente politico ed al servizio di quelli che
sostengono apertamente il genocidio dei palestinesi.
Buona lettura, Francesco Giordano
Milan l'è on gran Milan
Milano ha una lunga tradizione di vero antifascismo, non
quello attuale, di giustizia, di antirazzismo e conseguentemente di
antisionismo.
La lotta partigiana di liberazione dal fascismo e dal nazismo
a Milano ha scritto pagine eroiche in tutti i quartieri, in particolare in
quelli proletari come Barona, Giambellino, Stadera ecc….ecc…
Questa memoria ha vissuto in maniera forte almeno fino agli
anni ’80, poi sicuramente vi è stata una deriva che ha portato una ventata di
destra, e ricordo alcuni episodi: il sindaco che va ad omaggiare i fascisti, la
deposizione del terrorista nero Servello al Famedio, che è stata una vera prevaricazione
che ha violentato la memoria degli antifascisti e dell’antifascismo, gesto
voluto da una amministrazione di ‘sinistra’ che ha votato all’unanimità questa
viltà storica, inoltre il sostegno che le varie amministrazioni han dato a chi
opprime, uccide i palestinesi. Sono numerose ed innumerevoli le dichiarazioni
in tal senso, ricordiamo quando l’amministrazione di ‘sinistra’ interruppe un
consiglio comunale per portare solidarietà ai sionisti. Mai compiuto un gesto
del genere per i palestinesi o i lavoratori sfruttati ed assassinati sui luoghi
di lavoro.
Questa è stata Milano, ma questa memoria vive ancora in una
larga fascia di giovani proletari, di lavoratori, di studenti.
Essendo una città che ha ambito ad una forte crescita,
conseguentemente è stata una città bramata da speculatori edilizi, ma anche in
particolare da fascisti e sionisti, che spesso le due cose coincidono.
Ambedue, fascisti e sionisti, grazie alla complicità di
amministrazioni di destra quanto quelle di ‘sinistra’, persino di qualche dirigente
dell’Anpi, negli anni sono riusciti ad occupare spazi impensabili negli anni
’60, ’70 ed ’80.
Come ben si sa che gli appetiti voraci del sionismo sono
enormi e quindi nel 2004…
Una Piccola Storia Ignobile
Meneghina
Era l’Aprile del 2004 e molti di noi andavano a ricordare il
25 aprile di 10 anni prima, del 1994. E come pioveva quel giorno…pioveva
davvero che dio la mandava, ma eravamo in tanti, tutti antifascisti. Persino un
drappello della Lega volle manifestare perché “anche noi siamo antifascisti”
disse Bossi (non furono accolti calorosamente, a dire il vero).
Quella sera smise di piovere, spuntò qualche arcobaleno, ma
noi eravamo felicemente inzuppati. Questo si ricordava qualche giorno prima del
25 aprile 2004. Non mi pare abbia piovuto quell’anno, ma certo successe
qualcosa di ancora più tremendo ed orrendo.
La storia
Nel 2004 l'associazione “Amici di Israele” pubblica un
comunicato sul proprio sito in cui dichiara: “decidiamo di sfilare sotto le
insegne della Brigata ebraica perché stanchi di partecipare circondati da
bandiere palestinesi…e per non farci annoverare tra la massa dei manifestanti
antiamericani o antiisraeliani”.
La stessa associazione dichiara che la decisione di sfilare
con la Brigata ebraica è solo un passaggio di un percorso che deve portare a “lo sdoganamento del sionismo” (testuale). Si legge: “Crediamo, infatti, importante spiegare agli italiani che il sionismo
è un ideale alto, nobile e giusto”.
Per non tralasciare nulla al caso o alle stravaganti
interpretazioni ricordiamo le parole del presidente dell’associazione Amici Di
Israele Eyal Mizrahi: «Cari Amici Di Israele e
simpatizzanti, anche quest’anno l’associazione Amici Di Israele sfilerà al
corteo del 25 Aprile a Milano sotto lo striscione della Brigata Ebraica. Il
punto di raccolta sarà in Corso Venezia angolo Via Boschetto alle ore 14.00. La
partenza del corteo avverrà alle ore 14.30 ma ci riuniremo un po’ prima per
poterci organizzare meglio. Vi invitiamo a portare le bandiere israeliane che
avete [...]».
Ancora una volta e come spesso succede a far chiarezza sono
gli stessi sionisti, che rivendicano pubblicamente i loro crimini.
D'altronde non si può non riconoscere la stessa pratica
mistificatoria dei fatti propria dello Stato d'Israele: gli aggressori
diventano le vittime e gli aggrediti diventano i carnefici.
Questa la verità, che nessun sionista, in borghese oppure in
divisa, in borgese oppure con la toga, potrà mai smentire.
Con queste premesse arriviamo ai successivi 25 aprile, dal
2005 in poi, fino ai giorni nostri.
Andiamo verso la conclusione riportando quanto abbiamo sempre
dichiarato, pubblicamente, con la nostra voce e le nostre facce: “noi pensiamo che non si possa permettere la presenza di bandiere
dello Stato che occupa la Palestina da decenni, che nei confronti dei
palestinesi commette quotidianamente crimini contro l’umanità. Crediamo che la
Milano Medaglia d’Oro alla Resistenza non meriti tale affronto, questa Milano
viene già troppe volte umiliata ogni volta che si permette ai fascisti di
girare per le vie del centro con i loro simboli nazisti, ragion per cui dopo il
25 saremo nuovamente in piazza il 29 aprile contro la parata nazifascista
indetta a Milano”.
E proseguivamo: “Crediamo che dovrebbe essere
l'ANPI in primis a tutelare lo spirito della manifestazione, schierandosi
contro la presenza di quelle bandiere che oltraggiano il corteo, accogliendo
invece le istanze dei popoli che ancora oggi sono costretti a resistere e a
combattere per la propria libertà negata da interessi colonialisti ed
imperialisti”.
Infine spunta dalle nebbie la fantomatica Brigata ebraica.
Ovvero una banda di sionisti che si recava in Palestina a edificare i famosi
kibbutz, ovvero fattorie costruite su terra palestinese, bagnata dal sangue,
dal dolore che gli stessi sionisti avevano provocato.
Quindi ancora una bugia, perché la brigata ebraica andò in
linea solo nel marzo del ’45 arrivando dopo inglesi, americani, indiani,
australiani, brasiliani, marocchini etc… E anche alle manifestazioni del 25
aprile si è fatta vedere solo a partire dal 2004, l’anno in cui l’esercito
israeliano di occupazione uccideva 820 palestinesi. Ci voleva proprio il
massacro dell’anno scorso a Gaza per capire in una manifestazione che celebra
idealmente la lotta di liberazione contro l’occupazione straniera, quella
bandiera è fuori posto?
Chi minaccia chi?
Il Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo
Pacifici con tono più adatto ad un bullo di periferia (Corriere della Sera 28
aprile 2014): «Il prossimo anno saremo tutti a Milano e
vediamo se avranno il coraggio di continuare a insultarci. Basta».
Chi minaccia chi? Ovvio che le sue e loro minacce non ci
hanno spaventato o impedito di essere tutti gli anni presenti a contestarli.
Andiamo verso la conclusione
Un magistrato sfila nel corteo dei sionisti e con una
malandata telecamera filma cosa succede, o cosa pare succedere. La giustizia
borghese e sionista nemmeno ci prova a filmare dai lati del corteo per
registrare le provocazioni nei nostri confronti. No, gli ordini sono precisi: “Crediamo, infatti, importante spiegare agli italiani che il
sionismo è un ideale alto, nobile e giusto”.
Ecco, noi a
partire dal 2005 non ci siamo stati e non ci staremo.
Cosa succede veramente il 25
aprile a Milano (come in altre città)
Il 25 aprile in piazza San Babila, come in altre città, si
scontrano due progetti politici: il primo che rivendica la cancellazione del
popolo palestinese, progetto ideato a partire dalla fine dell’800 ed iniziato
negli anni 30 del 900 (il culmine si è avuto nel 1948 con quello che è stata
chiamata la Nakba, ovvero la “Catastrofe” per i palestinesi).
L’altro progetto, quello che noi sosteniamo, è quello della
resistenza palestinese che si oppone a tutto questo.
“Crediamo, infatti, importante spiegare agli
italiani che il sionismo è un ideale alto, nobile e giusto”.
Esattamente quello cui ci siamo opposti, ci opponiamo e ci opporremo fino a
quando la Palestina non sarà libera.
Francesco Giordano
Post Scriptum: non che mi importi molto, ma la Corte Europea dei Diritti Umani
(CEDU), le cui sentenze sono vincolanti per tutto il continente europeo, ha
legittimato la campagna Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS), definita
"interesse generale" l'azione di questi attivisti, e ha ritenuto
gravissimo il fatto di aver negato alle persone il diritto di esprimere
pacificamente le proprie opinioni politiche.
La
definizione di antisemitismo dell’IHRA mette a tacere la solidarietà - Rowan Gaudet
La recente adozione
della controversa definizione di antisemitismo dell’IHRA per mettere a tacere
il dibattito politico sulla Palestina mostra quanto sia un’arma pericolosa.
Approvata
originariamente dall’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto
(International Holocaust Remembrance Alliance – IHRA) nel 2016, la definizione
effettiva all’interno della Definizione Pratica di Antisemitismo (Working
Definition of Anti-Semitism) dell’IHRA è vaga ma non particolarmente
controversa.
La minaccia del
linguaggio critico nei confronti di Israele sorge con gli 11 esempi asserviti
al modo in cui la definizione dovrebbe essere applicata.
Molti di questi
esempi estendono l’antisemitismo alle discussioni su Israele, come negare al
popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione.
Qualsiasi
dichiarazione considerata delegittimante verso Israele, come definirla
un’istituzione razzista, è quindi considerata antisemita per impostazione
predefinita.
La definizione
pratica di antisemitismo dell’IHRA contiene un paragrafo che consente la
critica di Israele.
Nonostante ciò,
l’associazione canadese Voci Ebraiche Indipendenti (Independent Jewish Voices
Canada) ha documentato più di due dozzine di casi in cui la definizione
dell’IHRA viene utilizzata per zittire il Movimento per la Difesa dei Diritti
Palestinesi in Europa e Nord America.
Studenti presi di mira
Alla fine del 2019,
Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che fonde le critiche a Israele con
il fanatismo antiebraico, adottando il linguaggio della definizione dell’IHRA.
Poco dopo, il
Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti ha iniziato a indagare
sull’Università della California a Los Angeles per aver ospitato la conferenza
nazionale degli Studenti per la Giustizia in Palestina l’anno precedente.
La denuncia contro
l’Università della California, presentata da un’organizzazione sionista
riconosciuta, afferma che l’associazione Studenti per la Giustizia in Palestina
è un “fronte terroristico” e che la conferenza era un “attacco contro gli
studenti ebrei”.
Nel frattempo, nel
Regno Unito, la studentessa di giurisprudenza Malaka Shwaikh ha subito attacchi
per i commenti che ha fatto su Israele dopo essere stata eletta nel sindacato
studentesco dell’Università di Exeter nel febbraio 2017.
I giornali sono
stati costretti a rettificare, modificare i titoli e scusarsi per le false
affermazioni fatte su Shwaikh.
Shwaikh, che in
precedenza aveva contribuito a organizzare una marcia contro l’antisemitismo,
ha affermato che “l’obiettivo di questi attacchi è intimidire coloro che
difendono i diritti dei palestinesi, al fine di scoraggiare chiunque dall’attivismo
pro-palestinese”.
Due anni dopo, un
consiglio di Londra ha rifiutato lo spazio per la raccolta fondi
dell’associazione “The Big Ride for Palestine” per acquistare attrezzature
sportive destinate ai bambini di Gaza. Le richieste di libertà di informazione
hanno rivelato che i funzionari temevano che l’evento potesse contravvenire
alla definizione dell’IHRA a causa dei riferimenti all’apartheid e alla pulizia
etnica presenti sul sito web di The Big Ride for Palestine.
Solidarietà messa a tacere
La Definizione
Pratica dell’IHRA è stata usata per colpire la solidarietà degli afroamericani
con la Palestina poiché i gruppi sionisti percepiscono la lotta intersezionale
come una minaccia strategica.
Nel 2018, Emory
Douglas, che ha lavorato come Ministro della Cultura per il Black Panther
Party, è stato accusato di fomentare l’odio antisemita per aver mostrato
un’immagine raffigurante il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e
Hitler con il testo “colpevole di genocidio” durante una conferenza ospitata presso
l’Università del Michigan.
Nel frattempo in
Germania, il filosofo post-coloniale camerunese Achille Mbembe è stato accusato
di antisemitismo per aver tracciato somiglianze tra l’apartheid israeliano e
quello sudafricano, mettendo in discussione la “legittimità” di Israele.
La solidarietà
ebraica con la Palestina non è stata risparmiata dall’essere diffamata come
antisemita.
Dopo la sparatoria
di massa in una sinagoga a Pittsburgh e il mortale bombardamento israeliano a
Gaza nel 2018, Students for Justice in Palestine and Jewish Voice
for Peace hanno pianificato una veglia congiunta presso l’Università della
California, nel campus di Berkeley.
Gli organizzatori
hanno dovuto affrontare una reazione ostile, tra cui una denuncia presentata al
Dipartimento dell’Istruzione degli Stati Uniti sostenendo, tra le altre cose,
che la veglia avrebbe ritratto Israele come una nazione razzista, azione che
rientra nella definizione di antisemitismo dell’IHRA.
Di fronte a questa
pressione la veglia pubblica fu cancellata e l’evento si tenne privatamente
fuori dal campus universitario.
In Germania, la
Banca per l’Economia Sociale ha indagato e alla fine ha chiuso il conto di
Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East, un gruppo che sostiene
il Movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) a sostegno dei
diritti dei palestinesi.
La banca aveva
subito pressioni da parte del governo israeliano e dei suoi sostenitori locali,
ritrovandosi nell’elenco dei 10 peggiori episodi antisemiti mondiali del Centro
Simon Wiesenthal per il 2018 per aver inizialmente mantenuto il conto deposito
di Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East.
Secondo Iris Hefets
di Jewish Voice, la banca si è basata sulla definizione dell’IHRA nella sua
decisione di chiudere il conto del gruppo, la prima chiusura di un conto
appartenente a un’organizzazione ebraica nella Germania del dopoguerra.
Quasi 30 paesi
hanno adottato la definizione IHRA, tra cui Francia, Italia, Argentina, Grecia
e Canada. Anche molti governi locali l’hanno adottata. La definizione di
antisemitismo dell’IHRA è una grave minaccia per il Movimento di Solidarietà
Palestinese in tutto il mondo.
La seconda Intifada, 20 anni dopo: migliaia di
morti per una lotta fallita - Gideon
Levy
Lo Yom Kippur quest’anno segnerà gli anniversari dello
scoppio di due degli eventi più violenti nella storia di Israele, eventi che
hanno plasmato il suo carattere per anni. Saranno 47 anni dall’inizio della
guerra dello Yom Kippur e 20 anni dallo scoppio della Seconda Intifada.
Entrambi hanno colto Israele di sorpresa, ma nessuno dei due avrebbe dovuto
sorprendere nessuno.
Il 28 settembre 2000 Ariel Sharon visitò il Monte del
Tempio nella Città Vecchia di Gerusalemme e la polveriera esplose. Il giorno
dopo, un soldato delle forze di difesa israeliane e sette palestinesi furono
uccisi. Il giorno seguente, l’uccisione del dodicenne Mohammed al-Dura nella
Striscia di Gaza in un fuoco incrociato fu ripresa dalle telecamere. Nei giorni
seguenti, un ufficiale della polizia di frontiera israeliana della comunità
drusa, Madhat Yusuf, morì dissanguato nella tomba di Giuseppe a Nablus, due
riservisti dell’IDF, Yosef Avrahami e Vadim Norzhich, furono assassinati a
Ramallah – e il demone della resistenza violenta all’occupazione e la sua
violenta repressione fuoriuscì con forza dalla bottiglia.
Sarebbero passati più di quattro anni letali prima che la
furiosa rivolta venisse repressa con l’uso di una forza massiccia, e forse solo
temporaneamente, solo fino alla successiva rivolta , anche se al momento non se
ne vedono segni all’orizzonte.
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