Chiudere la scuola è il modo giusto di affrontare la pandemia? I benefici della chiusura sono così evidenti da compensare il prezzo che gli studenti pagheranno nel corso intero della loro vita? I risultati preliminari delle analisi empiriche successive alla riapertura delle scuole in Europa sono contrastanti e sollevano molti dubbi.
In Germania tre ricercatori dell’Institute of labor economics di Bonn hanno stimato l’effetto della riapertura delle scuole sulla diffusione del covid-19, approfittando del fatto che i länder cominciano l’anno scolastico in date diverse. Quelli dove le scuole non erano ancora state riaperte al momento della ricerca hanno funzionato da gruppo di controllo.
Le stime suggeriscono che la riapertura delle scuole abbia causato una diminuzione dei casi statisticamente significativa. Secondo gli autori la riapertura potrebbe aver contribuito a contenere l’epidemia, anziché accelerarla.
Tre settimane dopo la riapertura, i casi confermati sono diminuiti di 0,55 ogni 100mila abitanti. L’effetto riguarda soprattutto i pazienti fino a 34 anni. Per gli over 60 non si riscontra alcun effetto statisticamente significativo.
Ci sono almeno tre ragioni per cui in Germania la situazione potrebbe essere migliorata con il ritorno a scuola.
1. Le scuole hanno riaperto in condizioni molto diverse da quelle in cui erano state chiuse. L’uso delle mascherine è obbligatorio, le classi sono separate, mentre gli studenti e gli insegnanti sono rigorosamente distanziati. Senza l’adozione di misure di sicurezza, la scuola favorisce la diffusione delle malattie simil-influenzali (come mostrato, per esempio, da Jerome Adda in un lavoro pubblicato sul Quarterly Journal of Economics). Ma mascherine, igiene e distanziamento possono neutralizzare il problema.
2. L’individuazione dei casi positivi tra studenti e insegnanti comporta il tracciamento immediato e l’isolamento rapido dei loro contatti, consentendo di interrompere catene di contagio che, senza il monitoraggio operato attraverso la scuola, non sarebbero state interrotte.
3. La riapertura delle scuole ha provocato un drastico cambiamento nel comportamento dei genitori, che sono diventati più prudenti. Con le scuole aperte, infatti, contagiarsi ha un costo più elevato, perché comporta l’esclusione dei figli dalle classi e la perdita di ore di apprendimento (per i figli) e di lavoro (per i genitori). Anche contrarre una semplice influenza è più costoso, perché implica l’obbligo di isolamento fino all’esito del tampone.
La ricerca sulle regioni italiane
Ma l’Italia non è la Germania, si potrebbe obiettare. Salvatore Lattanzio dell’università di Cambridge ha svolto un’analisi empirica simile sulle regioni italiane, giungendo a conclusioni opposte: in Italia, le regioni che hanno riaperto prima le scuole sono oggi più avanti nella curva dei contagi.
Nell’analisi empirica, descritta su lavoce.info, l’autore analizza la differenza nei contagi tra le regioni che hanno riaperto la scuola il 14 settembre e quelle che lo hanno fatto il 24 settembre. Le seconde costituiscono il gruppo di controllo, a parità di una serie di caratteristiche regionali che non variano nel tempo.
Prima della riapertura e nei 25 giorni successivi, le regioni appartenenti ai due gruppi non mostravano differenze statisticamente significative. Nell’ultima settimana, invece, i contagi sono aumentati significativamente nelle regioni che hanno riaperto la scuola per prime.
La correlazione tra la riapertura e l’aumento dei contagi non fotografa necessariamente un nesso causale. Per esempio, le regioni che hanno riaperto le scuole per prime sono quelle in cui le attività economiche sono più intense, i trasporti più capillari, le interazioni sociali più continue e il clima più freddo: tutti fattori che possono incidere negativamente sul contagio.
Come spiega Lattanzio, le differenze rispetto alla Germania potrebbero essere solo apparenti, dato che lo studio tedesco analizza un arco temporale più breve e la situazione tedesca potrebbe ancora peggiorare.
Tuttavia, la Germania sembra aver gestito meglio la distribuzione del carico della riapertura sui trasporti pubblici e i protocolli di accoglienza nelle strutture scolastiche, il tracciamento dei contatti dei casi positivi e il rispetto delle regole fuori dagli edifici scolastici. Misure relativamente poco costose che richiedono soprattutto capacità organizzativa e coordinamento tra gli enti locali.
Gli effetti negativi delle chiusure
Nel dubbio, non sarebbe meglio chiudere comunque le scuole, magari contando sulla didattica a distanza? Purtroppo, sappiamo che la didattica a distanza è stata implementata in modo diseguale sul territorio e non ha la stessa efficacia delle attività in presenza, almeno per gli studenti più giovani. I benefici incerti della chiusura della scuola devono essere confrontati con il costo pagato dagli studenti e dalle loro famiglie.
In genere, ogni riduzione dell’orario scolastico ha effetti negativi sulle abilità cognitive degli studenti, sulla probabilità di abbandono scolastico, di iscrizione all’università e di trovare lavoro, sul livello del salario in età adulta e sulle mansioni svolte sul posto di lavoro, nonché sui risultati scolastici degli eventuali figli degli attuali studenti.
In un lavoro pubblicato sul Journal of Labor Economics, David Jaume e Alexander Willén hanno stimato l’effetto dei giorni di scuola persi a causa degli scioperi degli insegnanti sulla performance degli studenti nel mercato del lavoro in Argentina.
Aver sperimentato il numero medio di scioperi che si verificano durante la scuola primaria (88 giorni in tutto ) riduce i guadagni degli studenti del 2,99 per cento una volta raggiunta un’età fra i trenta e i quarant’anni e aumenta la probabilità di essere disoccupati dell’11,44 per cento rispetto alla media. Gli effetti negativi sul mercato del lavoro sono dovuti soprattutto al peggioramento delle competenze degli studenti e, di conseguenza, della loro performance scolastica. L’effetto non è uguale per tutti: a risentirne di più sono gli studenti provenienti dalle famiglie più povere.
Ma non solo, anche i figli degli studenti esposti agli scioperi durante la scuola primaria tendono ad avere risultati scolastici peggiori: la disuguaglianza causata dalla chiusura delle scuole può trasmettersi di generazione in generazione.
Gli effetti negativi della perdita di giorni di scuola valgono anche per gli studenti più anziani. In un lavoro pubblicato sulla Review of Economics and Statistics, un team di ricercatori svedesi ha usato la variazione casuale delle date dei test di ammissione al servizio militare in Svezia per stimare l’impatto di ciascun giorno di scuola sulle abilità cognitive degli studenti.
Gli studenti che affrontano il test più tardi, arrivano più preparati. Dieci giorni di scuola in più aumentano il punteggio in modo statisticamente significativo. Si stima che 180 giorni di scuola in più risulterebbero in punteggi più alti di un quinto di deviazione standard (lo scostamento unitario dalla media dei punteggi). Le conseguenze sul mercato del lavoro sono impressionanti, se si considera che un aumento di una deviazione standard del punteggio dei test cognitivi è associato a un aumento del salario fra il dieci e il venti per cento.
Ma sono solo degli esempi. La letteratura economica lascia pochi dubbi sull’impatto negativo della chiusura della scuola sulla vita futura degli studenti e sull’inasprimento permanente delle disuguaglianze. Per tornare alla pandemia in corso, un team di ricercatori delle Università di Francoforte e della Pennsylvania hanno stimato che la chiusura delle scuole dovuta al nuovo coronavirus porterà a una sostanziale riduzione del benessere degli studenti, quantificabile in una diminuzione media permanente dei loro consumi dello 0,65 per cento. Questo effetto è perfino superiore a quello dovuto alla riduzione del reddito dei genitori a causa dalla crisi, e riguarda soprattutto i figli dei genitori meno abbienti.
In conclusione, la chiusura della scuola può avere effetti di lungo periodo devastanti sulla vita degli studenti, specie di quelli già svantaggiati. Prima di chiudere la scuola bisogna valutare ogni intervento alternativo possibile. Come il potenziamento dei mezzi pubblici, lo scaglionamento degli orari scolastici, la chiusura di attività alternative meno controllabili e meno rilevanti per l’economia nel lungo periodo, il potenziamento della capacità di testing e di tracciamento dei contatti, il controllo del rispetto delle regole dentro e soprattutto fuori dagli edifici scolastici (dove gli studenti più grandi faticano a non assembrarsi e a portare la mascherina).
Non ha senso sacrificare la scuola, un’istituzione fondamentale per lo sviluppo del paese e il benessere delle persone, per salvare (temporaneamente, peraltro) attività a basso valore aggiunto come quelle che, almeno in Italia, si è scelto di privilegiare finora.
Nessun commento:
Posta un commento