In un mondo dove c’è una vera e propria ossessione per la rilevazione dei dati, c’è invece un ambito dove i dati scarseggiano. E’ quello delle multinazionali che finisce per essere addirittura avvolto in un’aurea di mistero.
Perfino sulla loro definizione non c’è accordo preciso, il che spiega
perché esistano stime le più varie perfino sul loro numero.
In questo contesto, assume particolare importanza lo sforzo del Centro Nuovo Modello
di Sviluppo di monitorare le prime 200
multinazionali, corredandole di una serie di articoli di approfondimento che
ogni anno danno luogo a un dossier intitolato Top 200.
Ed essendo un’attività che si protrae ormai da una diecina di anni, sono
possibili anche confronti che permettono di seguire l’evoluzione delle top 200.
Tendenzialmente si nota una loro crescita su tutti i fronti, ma fatturati e
profitti crescono più di quanto non crescano gli occupati.
Più precisamente, fra il 2005 e il 2019 il loro fatturato complessivo è
aumentato del 69% e i profitti del 62%, mentre l’occupazione solo del 35%.
Un dato che conferma un assetto produttivo in rapida trasformazione.
Infatti mentre un tempo le imprese tendevano ad integrarsi verticalmente,
in modo da controllare tutte le fasi della produzione, oggi preferiscono
appaltare il più possibile all’esterno, possibilmente in paesi a bassi salari,
per ridurre i loro costi di produzione.
Un altro dato di rilievo è come stia cambiando la nazionalità delle
Top 200. La novità principale è rappresentata dall’avanzata della Cina che
da 19 multinazionali nel 2009, è passata a 50 nel 2019, e non a
detrimento degli Stati Uniti, che anzi avanzano anch’esse passando da 59 a 60,
ma degli stati europei.
Di particolare interesse anche la composizione delle principali economie
mondiali mettendo insieme multinazionali e stati, le prime per il loro
fatturato e le seconde per il loro Pil.
Il risultato è che fra i primi cento posti siedono 42 multinazionali,
precisando che la prima compare al 25° posto, prima del Venezuela. La situazione
cambia radicalmente se anziché in base al Prodotto Interno Lordo, gli stati
sono elencati in base agli introiti governativi.
Rappresentazione più reale perché basata su criteri più omogenei.
Osservando questi dati, fra i primi cento posti siedono ben 69 multinazionali,
con la prima multinazionale che compare al 13° posto, prima dell’Australia.
Il dossier, che abitualmente esce ad ottobre, è formato da due parti. La
prima dedicata a considerazioni e classifiche sulle Top 200, la seconda ad
approfondimenti su temi connessi al mondo produttivo ed altre tematiche
di particolare importanza per il tempo che stiamo vivendo.
Il numero di quest’anno, consultabile al link , offre approfondimenti sugli assetti proprietari
delle imprese quotate in borsa, sulle imprese della carne, sui profitti non
tassati, sugli effetti del lockdown sul mondo del lavoro e i diversi settori
produttivi, sul crescente divario fra gli stipendi degli alti dirigenti e gli
altri lavoratori.
Dal 1978 al 2019, la paga dei dirigenti delle grandi imprese americane è
cresciuta del 1.167%. Per contro nello stesso periodo la paga di un lavoratore
medio è cresciuta solo del 13,7%.
Nel 2019 il rapporto fra la paga di un grande dirigente e quella di un
lavoratore medio è stato 320 a 1. Nel 1965 il rapporto era 21 a 1. Poi ci si
sorprende per la crescita delle disuguaglianze.
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