L'assalto (interessato) dei giornali agli italiani 'ignoranti' che lasciano
i soldi in banca - Beppe Scienza
Molti italiani tengono soldi fermi sui loro conti, in banca o alla Posta.
Se poi un titolo scade, non lo reinvestono. È un comportamento diffuso anche in
altri Paesi, soprattutto dopo l’arrivo del coronavirus. Ma in Italia chi fa
così è bersaglio di una valanga di insulti. Giornalisti economici e pretesi
esperti lo bollano di ignoranza e incompetenza. L’accusano di essere privo di
educazione finanziaria o, meglio, di financial literacy, che fa molto più fine.
Tutto falso. La verità è che a costoro dà fastidio che i risparmiatori
oppongano resistenza a banche, assicuratori e cosiddetti consulenti che
vogliono rifilargli opachi fondi comuni, polizze e fondi pensione trappola,
certificati rischiosi e compagnia brutta.
Tenere liquidità sul conto - e anche parecchia - è soprattutto ora un
comportamento prudente che tutela dai rischi di perdite, possibili, probabili o
addirittura sicure, cui va incontro chi dà retta ai consigli di banche o
venditori porta a porta. Ciò vale soprattutto ora che il rendimento di mercato
del denaro è vicino a zero e, per fortuna, anche l’inflazione, per cui i soldi
non si deprezzano. Rendimenti nulli e prezzi fermi, non è il paradiso ma
neppure l’inferno.
Per spaventare i risparmiatori circolano sulla stampa e in Rete dati e
discorsi manipolatori. Uno è la perdita del 28% in potere d’acquisto che
avrebbe subito chi ha tenuto risparmi non investiti per vent’anni. Ma nel 2000
non veniva in mente a nessuno di tenere a lungo soldi infruttiferi. Già solo
coi buoni postali (ordinari serie Z) si poteva ottenere il 5,05% annuo netto
composto; e trovarsi ora con un capitale più che raddoppiato in termini reali.
Altroché perdita del 28%!
È nell’attuale contesto, diversissimo, che molti sono tentati dal lasciare
i soldi sul conto; e fanno bene a cedere a tale tentazione. Ma mica s’impegnano
per vent’anni. Tenere i soldi liquidi, significa anche poterne cambiare la
destinazione ogni momento.
Attualmente è poi bassissimo il pericolo che la banca fallisca, anche a
prescindere dal fondo di autotutela dei depositi. Volendo una sicurezza ancora
maggiore ci sono i contanti, costantemente consigliati dalla banca centrale
tedesca (Bundesbank). Poi, più comodi, i buoni fruttiferi postali con cui uno
si riprende integralmente quanto ha versato, anche quando i bolli superano gli
interessi.
Non parliamo poi dell’indicazione, spesso ammantata di scientificità, di
tenere in liquidità solo l’equivalente delle spese di 2-3 mesi. E uno dopo come
tirerà avanti, trovandosi senza introiti per la perdita del lavoro o della
clientela, in particolare dopo l’arrivo ora col coronavirus?
Infine si legge che bisogna investire i propri soldi, affinché l’economia
giri. Ma allora va bene anche farseli rubare, perché i ladri normalmente
spendono subito il maltolto e perciò fanno girare l’economia come una trottola.
Trappola delle polizze “a vita
intera”: peggiori dei fondi comuni e delle gestioni in fondi - Beppe Scienza
È un discorso che riguarda milioni di risparmiatori, ignari di trovarsi sul groppone strane assicurazioni, diffuse ormai in maniera epidemica. Andando a vedere cosa gli hanno venduto, scopriranno infatti di avere versato soldi in polizze denominate “a vita intera”, così chiamate perché durano finché uno le riscatta (o muore).
Per più
lustri i fondi comuni d’investimento sono andati per la maggiore nell’ambito
del risparmio gestito. Ma per i padroni del vapore hanno alcuni difetti: poco
vincolanti, non abbastanza opachi, facilmente confrontabili. Così un piccolo
genio del male ha avuto una trovata: ripescare una forma assicurativa
trascurata, cioè appunto quella detta a vita intera, e trasformarla in un
sostituto peggiorativo dei fondi comuni e delle gestioni in fondi. Peggiore per
i clienti e quindi migliore per banche e promotori.
Si tratta di
contratti dai contenuti assicurativi minimi, da perseguire semmai con altri
strumenti. Per cominciare al risparmiatore i soldi vengono bloccati per un
anno, che già è un bel tiro mancino. Di fatto finisce in una specie di gestione
in fondi, ma interni alla struttura che gli ha venduto il prodotto, privi degli
obblighi di trasparenza dei fondi comuni italiani. Paga commissioni che possono
arrivare al 4% in un anno. Non ha nessuna garanzia nei confronti delle perdite
nominali e ancor meno di quelle reali.
Oltre al discorso
generale ci sono poi i casi particolari. Vedi la neonata Prospettiva
Sostenibile di Banca Intesa, che ti invita a sottoscriverla perché così
“contribuisci a creare un mondo migliore”. Ma invece io sono di animo malvagio,
per cui mi rifiuto di mettervi i miei risparmi, sordo ai bisogni dell’umanità.
Banca Intesa
scrive anche che così “investi i tuoi risparmi in modo semplice”. Il che si
traduce in 63 pagine con 5 tabelle per i costi, anche molto complicate, e la
richiesta di “una dichiarazione di residenza a fini fiscali secondo il diritto
irlandese”. Alla faccia della semplicità!
Che dire poi
di 100% Yellow Life, parto congiunto dei gruppi Generali e Mediobanca, che per
altro è una polizza rivalutabile? Leggiamo che “il contratto prevede la
rivalutazione annuale del capitale investito […] pari al rendimento della
gestione separata diminuito dell’1,5% trattenuto da Genertellife”. Peccato che
spulciando fra le clausole si scopra che la rivalutazione: “Può essere
negativa”. In italiano le rivalutazioni negative si chiamano svalutazioni o
perdite.
Insomma, la
conclusione è una sola: se la volontà del legislatore fosse tutelare i
risparmiatori, prodotti simili sarebbero proibiti.
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