Sta facendo
discutere la decisione delle principali piattaforme social di bloccare gli
account del presidente uscente Donald Trump, dopo l'assalto a Capitol Hill da parte dei “fan di Trump”. Sulla questione ne ha già scritto Arianna Ciccone, quindi mi limito a dire che qui non stiamo più
parlando di generico hate speech e fake news (per
le quali non esistono nemmeno definizioni condivise), ma siamo nell'ordine di
vero e proprio incitamento alla violenza, con conseguenze sull'intera società.
A me
personalmente ha colpito il fatto che tanti abbiano sostenuto l’idea che
occorra ormai un intervento sui social perché facciano di più. Mi ha colpito
perché è proprio il percorso che da anni i governi nazionali e transnazionali
hanno intrapreso da tempo, e che, purtroppo, ha già evidenziato ampiamente i
suoi limiti. In breve sono anni che la politica delega alle grandi
piattaforme del web parte dei propri compiti di regolamentazione politica e
sociale.
È importante
partire da un assunto, e cioè che non esiste una soluzione tecnologica
a un problema politico e sociale: la polarizzazione imperante nella nostra
società non è una conseguenza dell’avvento dei social (esisteva già prima ed è
accentuata anche dai media tradizionali, secondo alcuni studi anzi sono principalmente i
media tradizionali che portano alla polarizzazione). Non esiste una AI, un
algoritmo che sia capace di comprendere a fondo il discorso potendo così
stabilire cosa è fake news, cosa è incitamento all’odio, infatti,
anche se spesso si crede il contrario, non sono le AI a moderare il discorso
pubblico online (e certamente non sono le AI che moderano gli account di
Trump), ma tale tipo di moderazione è generalmente un misto tra algoritmi e
intervento umano, questo per la complessità del giudizio che necessitano tali
tipi di interventi (giudizio che spesso non è semplice nemmeno per un giudice
addestrato, figuriamoci per individui che alla fine avranno fatto un corso di
qualche settimana).
Chiarito
questo, precisato che non c’è un mezzo tecnologico che può risolvere il
problema delle fake news o dell’odio sul web, occorre prendere
atto che la quantità di contenuti immessi online è tale che è impossibile
pensare di poter moderare tutto con un intervento solo umano, quindi comunque,
nonostante i loro limiti, è necessario l’intervento degli algoritmi. Ciò porta
inevitabilmente a errori (es. contenuti del tutto leciti
vengono ritenuti illeciti e quindi cancellati, e ripetute cancellazioni portano
alla sospensione dell’account) che incidono sulle libertà fondamentali
degli individui. Se Trump (e in genere i politici di spicco) ha gli
strumenti per farsi sentire anche al di fuori dei social (tramite la
televisione per lo più, ad esempio buona parte della campagna pro Brexit ha
trovato spazio in Tv nel Regno Unito, nonostante la notevole quantità di fake
news che essa veicolava), un cittadino normale non ha generalmente
altri modi di far sentire la sua voce e quindi di partecipare al dibattito
pubblico (ricordate, la sovranità appartiene al popolo, e in quanto tale il
popolo ha diritto di partecipare al dibattito pubblico).
Quindi
occorre comprendere che l’intervento degli algoritmi nel moderare il
discorso pubblico online porterà ad errori che saranno numericamente maggiori
quanto più gli algoritmi dovranno pattugliare la sfera pubblica online. Non
possiamo dimenticare questo punto essenziale, tendendo conto che le aziende del
web non hanno il compito né il ruolo di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini
(al massimo lo fanno per tutelare la loro reputazione) ma il loro compito è
fare soldi, per cui è ovvio che i loro interventi saranno sempre tesi a
proteggere i profitti. Detto in maniera sintetica, il cittadino normale che non
può creare problemi alla piattaforma sarà censurato più facilmente di un
potente che invece può creare problemi alla piattaforma. Sotto questo profilo è
evidente a tutti che Trump (e non solo) ha avuto per mesi un trattamento di favore rispetto a un qualunque
cittadino. Ciò porterà inevitabilmente a creare una doppio binario,
online i potenti avranno più possibilità rispetto ai cittadini normali (che
poi è quello che accade anche offline, ma l’idea sarebbe che le cose dovrebbero
migliorare man mano che si va avanti, non rimanere sempre uguali).
Ma l’aspetto
più interessante di tutta la questione l’ha evidenziata Mike Masnik su Techdirt, che ha fotografato in modo lapidario la situazione:
"Ricordiamoci che mentre Trump non può inviare un tweet in questo momento,
ha ancora (letteralmente) il potere di lanciare missili nucleari sulla sede di
Twitter. E, davvero, questo è il problema. Trump è ovviamente troppo tossico
per Twitter. Ma è anche troppo tossico per la Casa Bianca. E la vera lamentela
non dovrebbe riguardare Twitter o Facebook che agiscono troppo tardi, ma il
fatto che il Congresso non sia riuscito a fare il proprio lavoro e rimuovere il
"folle" dal potere".
Questa
osservazione ci porta a capire che c’è un problema alla base che nessuno sembra
voler affrontare, e cioè che ormai la politica è in costante
arretramento di fronte ai problemi della società, incapace di trovare
soluzioni guarda alla tecnologia per fare ciò che essa non è più in grado di
fare. Non sono un esperto di legislazione americana, ma leggendo alcuni
approfondimenti ho capito che gli strumenti per intervenire su Trump ci sarebbero, solo che la politica americana sembra
bloccata. È anche comprensibile visto le maggioranze in gioco adesso, ma ciò
non elimina il problema, appunto l’incapacità della politica di vedere
soluzioni a problemi che sono principalmente politici e sociali, così delegando
tutto alle grandi aziende del web, senza nemmeno più porsi il problema che
quelle aziende sono troppi grandi e la loro stessa grandezza è un problema per
la società (anche solo considerando che ormai sono in grado di
influenzare le politiche mondiali).
Insomma, quando diciamo che occorre regolamentare le piattaforme del web perché
hanno portato all’attuale stato delle cose, la mia impressione è che
continuiamo a guardare il dito invece di vedere la luna.
Una
regolamentazione dell'ecosistema online è ormai necessaria, ma la strada
intrapresa appare quella sbagliata, perché darà sempre più potere alle grandi
piattaforme del web, alimentando quei problemi che si vorrebbe in quel modo
risolvere. Inoltre non risolve nemmeno nel caso specifico perché a Trump basta
aprirsi un suo social network (oppure usare un canale televisivo) dove potrà
dire quello che vuole ai suoi 88 milioni di follower senza nessuna limitazione.
Certo, si dirà, non avrà l'accesso a tutti gli americani, ma la quantità di
seguaci è comunque enorme, e questi sarebbero esposti soltanto alle parole di
Trump, mentre in un ambiente più ampio come i social attuali comunque sarebbero
esposti a discorsi di ogni tipo.
Ma una
regolamentazione dell'online è inutile se non si comprende che il problema
nasce altrove e va risolto in maniera complessiva. Ad esempio, cosa abbiamo
intenzione di fare con i giornali e le televisioni (a riguardo segnalo questa
analisi della CNN sulle responsabilità delle TV nella diffusione
della disinformazione: Analysis: TV providers should not
escape scrutiny for distributing disinformation) che diffondono fake news e hate
speech? Ci sono delle regole per loro, oppure vogliamo davvero cullarci
nell'idea che è tutta colpa del web?
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