domenica 17 gennaio 2021

Il “problema Trump” è un problema politico, non esiste una soluzione tecnologica - Bruno Saetta

 


Sta facendo discutere la decisione delle principali piattaforme social di bloccare gli account del presidente uscente Donald Trump, dopo l'assalto a Capitol Hill da parte dei “fan di Trump”. Sulla questione ne ha già scritto Arianna Ciccone, quindi mi limito a dire che qui non stiamo più parlando di generico hate speech e fake news (per le quali non esistono nemmeno definizioni condivise), ma siamo nell'ordine di vero e proprio incitamento alla violenza, con conseguenze sull'intera società.

A me personalmente ha colpito il fatto che tanti abbiano sostenuto l’idea che occorra ormai un intervento sui social perché facciano di più. Mi ha colpito perché è proprio il percorso che da anni i governi nazionali e transnazionali hanno intrapreso da tempo, e che, purtroppo, ha già evidenziato ampiamente i suoi limiti. In breve sono anni che la politica delega alle grandi piattaforme del web parte dei propri compiti di regolamentazione politica e sociale.

È importante partire da un assunto, e cioè che non esiste una soluzione tecnologica a un problema politico e sociale: la polarizzazione imperante nella nostra società non è una conseguenza dell’avvento dei social (esisteva già prima ed è accentuata anche dai media tradizionali, secondo alcuni studi anzi sono principalmente i media tradizionali che portano alla polarizzazione). Non esiste una AI, un algoritmo che sia capace di comprendere a fondo il discorso potendo così stabilire cosa è fake news, cosa è incitamento all’odio, infatti, anche se spesso si crede il contrario, non sono le AI a moderare il discorso pubblico online (e certamente non sono le AI che moderano gli account di Trump), ma tale tipo di moderazione è generalmente un misto tra algoritmi e intervento umano, questo per la complessità del giudizio che necessitano tali tipi di interventi (giudizio che spesso non è semplice nemmeno per un giudice addestrato, figuriamoci per individui che alla fine avranno fatto un corso di qualche settimana).

Chiarito questo, precisato che non c’è un mezzo tecnologico che può risolvere il problema delle fake news o dell’odio sul web, occorre prendere atto che la quantità di contenuti immessi online è tale che è impossibile pensare di poter moderare tutto con un intervento solo umano, quindi comunque, nonostante i loro limiti, è necessario l’intervento degli algoritmi. Ciò porta inevitabilmente a errori (es. contenuti del tutto leciti vengono ritenuti illeciti e quindi cancellati, e ripetute cancellazioni portano alla sospensione dell’account) che incidono sulle libertà fondamentali degli individui. Se Trump (e in genere i politici di spicco) ha gli strumenti per farsi sentire anche al di fuori dei social (tramite la televisione per lo più, ad esempio buona parte della campagna pro Brexit ha trovato spazio in Tv nel Regno Unito, nonostante la notevole quantità di fake news che essa veicolava), un cittadino normale non ha generalmente altri modi di far sentire la sua voce e quindi di partecipare al dibattito pubblico (ricordate, la sovranità appartiene al popolo, e in quanto tale il popolo ha diritto di partecipare al dibattito pubblico).

Quindi occorre comprendere che l’intervento degli algoritmi nel moderare il discorso pubblico online porterà ad errori che saranno numericamente maggiori quanto più gli algoritmi dovranno pattugliare la sfera pubblica online. Non possiamo dimenticare questo punto essenziale, tendendo conto che le aziende del web non hanno il compito né il ruolo di tutelare i diritti fondamentali dei cittadini (al massimo lo fanno per tutelare la loro reputazione) ma il loro compito è fare soldi, per cui è ovvio che i loro interventi saranno sempre tesi a proteggere i profitti. Detto in maniera sintetica, il cittadino normale che non può creare problemi alla piattaforma sarà censurato più facilmente di un potente che invece può creare problemi alla piattaforma. Sotto questo profilo è evidente a tutti che Trump (e non solo) ha avuto per mesi un trattamento di favore rispetto a un qualunque cittadino. Ciò porterà inevitabilmente a creare una doppio binario, online i potenti avranno più possibilità rispetto ai cittadini normali (che poi è quello che accade anche offline, ma l’idea sarebbe che le cose dovrebbero migliorare man mano che si va avanti, non rimanere sempre uguali).

Ma l’aspetto più interessante di tutta la questione l’ha evidenziata Mike Masnik su Techdirt, che  ha fotografato in modo lapidario la situazione: "Ricordiamoci che mentre Trump non può inviare un tweet in questo momento, ha ancora (letteralmente) il potere di lanciare missili nucleari sulla sede di Twitter. E, davvero, questo è il problema. Trump è ovviamente troppo tossico per Twitter. Ma è anche troppo tossico per la Casa Bianca. E la vera lamentela non dovrebbe riguardare Twitter o Facebook che agiscono troppo tardi, ma il fatto che il Congresso non sia riuscito a fare il proprio lavoro e rimuovere il "folle" dal potere".

Questa osservazione ci porta a capire che c’è un problema alla base che nessuno sembra voler affrontare, e cioè che ormai la politica è in costante arretramento di fronte ai problemi della società, incapace di trovare soluzioni guarda alla tecnologia per fare ciò che essa non è più in grado di fare. Non sono un esperto di legislazione americana, ma leggendo alcuni approfondimenti ho capito che gli strumenti per intervenire su Trump ci sarebbero, solo che la politica americana sembra bloccata. È anche comprensibile visto le maggioranze in gioco adesso, ma ciò non elimina il problema, appunto l’incapacità della politica di vedere soluzioni a problemi che sono principalmente politici e sociali, così delegando tutto alle grandi aziende del web, senza nemmeno più porsi il problema che quelle aziende sono troppi grandi e la loro stessa grandezza è un problema per la società (anche solo considerando che ormai sono in grado di influenzare le politiche mondiali).
Insomma, quando diciamo che occorre regolamentare le piattaforme del web perché hanno portato all’attuale stato delle cose, la mia impressione è che continuiamo a guardare il dito invece di vedere la luna.

Una regolamentazione dell'ecosistema online è ormai necessaria, ma la strada intrapresa appare quella sbagliata, perché darà sempre più potere alle grandi piattaforme del web, alimentando quei problemi che si vorrebbe in quel modo risolvere. Inoltre non risolve nemmeno nel caso specifico perché a Trump basta aprirsi un suo social network (oppure usare un canale televisivo) dove potrà dire quello che vuole ai suoi 88 milioni di follower senza nessuna limitazione. Certo, si dirà, non avrà l'accesso a tutti gli americani, ma la quantità di seguaci è comunque enorme, e questi sarebbero esposti soltanto alle parole di Trump, mentre in un ambiente più ampio come i social attuali comunque sarebbero esposti a discorsi di ogni tipo.

Ma una regolamentazione dell'online è inutile se non si comprende che il problema nasce altrove e va risolto in maniera complessiva. Ad esempio, cosa abbiamo intenzione di fare con i giornali e le televisioni (a riguardo segnalo questa analisi della CNN sulle responsabilità delle TV nella diffusione della disinformazione: Analysis: TV providers should not escape scrutiny for distributing disinformation) che diffondono fake news e hate speech? Ci sono delle regole per loro, oppure vogliamo davvero cullarci nell'idea che è tutta colpa del web?

da qui

Nessun commento:

Posta un commento