La testata e i titoloni del sito on-line del Corriere della Sera scorrono incorniciati in una sala d’attesa avveniristica, sospesa a mezz’aria come fosse la carlinga d’un dirigibile. In primo piano una famigliola benestante e felice che osserva un paesaggio incontaminato: un trionfo di verde con un tocco di rosso, quello di una “freccia” che sta per fermarsi sotto l’aerostazione per portare i passeggeri verso una meta turistica tra le tante, “ravvicinate” alle grandi città.
In questi anni le frecce, «la metropolitana d’Italia» come le ribattezzò
l’ingegner Moretti (il più ferroviere dei manager pubblici chiamati a compiere
la grande modernizzazione dei binari), hanno davvero compresso la carta geografica del Belpaese. Proprio
come prometteva l’architetto finanziario della Tav – l’avvocato Necci – fin
dalla prima brochure cui la pubblicità che circonda il primo
quotidiano d’Italia si ispira, quasi a sottolineare la continuità dell’impresa.
Continuità garantita dal getto di calcestruzzo in cui il governo giallorosa si
è impegnato a spendere la maggior parte dei Recovery fund europei
(come richiesto dall’altro quotidiano milanese, anzi asso-lombardo: il Sole24ore).
Peccato che il costo dell’avvicinamento tra Milano, Roma e Napoli lo
abbiano pagato due terzi delle cento città che ancora per un po’ ci rendono
unici e desiderabili nel mondo. Peccato
che per consentire agli executives di Intesa San Paolo di
andare a dormire in un condominio di Legacoop di Moncalieri dopo aver passato
le otto ore in Torre Breda/Porta Garibaldi (ma rimanendo connessi a piazza
Affari anche durante il “viaggio veloce”) siano stati aboliti gli abbonamenti
ridotti per studenti… Peccato che, se fosse possibile rappresentare sulla carta
geografica le tre ore tra Milano e Roma e l’irraggiungibilità in una intera giornata
tra Viterbo e Matera (per fare un solo esempio) si impallerebbe anche
Googlemaps. Peccato, insomma, che la rivoluzione delle frecce, con Italo
di complemento, abbia aumentato (altro che diminuito!) le disuguaglianze sia
economiche che culturali: l’enorme
investimento 100% pubblico è andato a favore sì e no del 5% dei cittadini,
mentre al rimanente 95% dei clienti delle Ferrovie italiane – pendolari,
lavoratori e studenti ‒ sono stati assegnati rotaie vecchie e materiale
rotabile fatiscente (o, nel migliore dei casi, “ricondizionato”).
Una disuguaglianza resa drammatica dalla pandemia che ci ha flagellato nel
2020, senza poterci garantire che – nonostante il vaccino – quello che si apre
possa davvero rappresentare una svolta. Per fare un esempio trasportistico,
l’incertezza (soprattutto il non detto) sulla riapertura delle scuole dopo la
Befana è soprattutto legata alla carenza di mezzi (non di binari AV o di
autostrade) paradossalmente proprio in quelle aree urbane la cui classe
dirigente troviamo seduta sulle frecce, opportunamente distanziata.
Che per una svolta, se non sanitaria almeno culturale, basti anticipare il
capodanno 2020-2021 alle ore 22 lo si deduce dal contenuto (politico) che i
titoli racchiusi nella cornice pubblicitaria di Trenitalia rivelano:
soprattutto dal cortocircuito permanente tra politica e informazione. In tanti,
in queste ore di enfatizzazione dei numeri dei sanitari che hanno delle
perplessità sui vaccini (peraltro legittime ancorché ovviamente discutibili) e
con la minaccia di obbligatorietà brandita più dal sottobosco della politica
che dagli scienziati, si sono interrogati sul ruolo dei mezzi e degli operatori
dell’informazione mai come
ora delicato.
A certificare questa diffusa inquietudine pare destinata l’intervista di
Fiorenza Sarzanini che, da prima della classe, è riuscita a intercettare la
ministra dell’interno Luciana Lamorgese: più ancora in prospettiva che non
nella notte dei botti con l’orologio avanti e la sordina. Infatti non è sulla
frase che ti aspetti ‒ «I controlli a Capodanno saranno inflessibili»
(l’articolo è stato scritto il 31 dicembre, ndr) ‒ che voglio
attirare l’attenzione, quanto su quella successiva, ripresa in tutta evidenza
nel catenaccio sotto il titolo: «Investimenti e riforme per superare i ristori».
Lungi da me fare l’interpretazione autentica del Lamorgese-pensiero, ma,
ripresa nel testo, l’affermazione non lascia molto margine al dubbio: «Ha
timori per la tenuta sociale del Paese?» chiede Sarzanini. Prima risposta di
Lamorgese: «Speriamo di lasciarci alle spalle un anno difficile, ma siamo tutti
consapevoli che inizia una fase cruciale per dare una concreta prospettiva di
ripresa alle famiglie e alle imprese che hanno subito i contraccolpi più
pesanti nel 2020. È necessario dare risposte concrete lasciandoci alle spalle
polemiche e inutili divisioni anche per ridare fiducia agli italiani e
consolidare il quadro sociale». «Pensa che possano bastare i ristori?», insiste
l’intervistatrice. «Ristori e incentivi – risponde la ministra ‒ sono stati fondamentali
in una prima fase per fare fronte al forte impatto economico causato dalla
pandemia, ma ora servono investimenti anche di medio periodo e riforme che
diano una prospettiva alle categorie più colpite dalla crisi e offrano un
percorso di crescita duratura al nostro Paese». Ecco: proprio la risposta che
ci si attende dal ministro dal quale dipende la coesione sociale….
Aspettiamo che un’altra firma di prestigio del quotidiano della città del
Pio Albergo Trivulzio (Severgnini?) – intervisti il ministro dell’economia
Gualtieri per sapere cosa pensa di fare il governo se, terminati i «ristori»,
gli investimenti in calcestruzzo by Associazione Costruttori (di finanza
creativa rabastata in Cassa Depositi e Prestiti) non si
dovessero rivelare in grado di dare «una prospettiva alle categorie più colpite
dalla crisi e offrano un percorso di crescita duratura al nostro Paese» come
auspicato dalla sua collega cui – a quel punto – non resterà che mandare la
polizia a manganellare chi
protesta, disperato o “fomentatore” che sia o che tale venga ritenuto… E
qui chiuderei il cerchio.
Ho usato come cornice ‒ lo ammetto ‒ una pubblicità di una cosa narrata da anni come redditizia ma
che lo è perché persino i morti di Covid, grazie alle tasse di successione,
continueranno a pagare interessi (alle banche private che hanno finanziato il
Tav senza problemi grazie alla garanzia dello Stato). Poi ho inserito nella
cornice (come del resto han fatto gli impaginatori del Corriere) l’intervista di Capodanno all’inquilino
pro tempore del Viminale, che è un classico della notte di San Silvestro; ma
prendendomi la libertà di affermare che questa volta non sarà come quelle che
abbiamo vissuto sin qui. Poi, però, ne ho provato a immaginarne le conseguenze, per l’anno che arriva
(e dopo). Operazione discutibile, ma legittima (sfido chiunque a contraddirmi).
Non mi resta che augurarmi di sbagliare… Altrimenti come augurare buon anno
allo scoccare delle 22 del 31 dicembre 2020?
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