Una primavera africana d’autunno
The sky carries a boil of anguish
| Let burst
Let the sky’s boil of anguish burst today
| The pain of earth be soothed
di Niyi Osundare
[Il cielo porta con sé una bolla d’angoscia | Fa’ che scoppi
Fa che la bolla d’angoscia nel cielo scoppi oggi | Si plachi il dolore
della terra]
Là
Due mesi di manifestazioni di massa,
scontri con la polizia, feriti, morti, arresti, sparizioni. Donne, uomini,
giovani, cristiani, musulmani, altri. Un’unica parola d’ordine: End Sars! Che non è un virus, ma un corpo di
polizia [SARS Special Anti-Robbery Squad], istituito nel 1992]
brutale, assassino, stupratore, torturatore. Parola d’ordine che poi
diventa: Vogliamo un cambiamento! Maree di popolo, ora alte
ora basse.
Nigeria: tre volte l’Italia, 200 milioni di abitanti, 250 gruppi
nazionali/etnici, lingue e pratiche culturali e religiose diverse. È divisa in
36 Stati. La complessità non è a scelta.
#EndSARS è l’hashtag di twitter che convoca in strada, elabora spostamenti e incontri, informa internazionalmente sugli eventi e le finalità, la Feminist Coalition organizza la campagna di raccolta fondi, l’assistenza medica e la tutela legale.
Il generale in pensione, Muhammadu Buhari (1942), attuale presidente della
Nigeria, eletto nel 2015 e nel 2019, già capo di stato col golpe militare del
1983, sostituisce il SARS con uno Special Weapons and
Tactics (SWAT) nuovo di zecca.
Negli stati del Nordest e ora anche del
Nordovest, Boko Haram con affiliati e
concorrenti intensifica la politica del caos con un’orgia di uccisioni,
rapimenti, incursioni armate.
In questa occasione non lo si esamina.
Qua
Bisogna essere rabdomanti esperti per
trovare nei media nostrani qualche goccia, qualche zampillo informativo. I
nostri recettori sono molto selettivi. Black lives matter! Ma qui come fai che le nere vite stanno da entrambe le parti della
barricata? Come possiamo sfoggiare il nostro impeccabile antirazzismo
prêt-à-porter? Siamo in Africa, dove sono i bambini macilenti dal ventre
gonfio? Un “Autunno nigeriano”, dici? Perché sono così complicate le società africane?
Questa signora dal sorriso soffice e dal
pugno energico si chiama Aisha Yesufu, è
stata una delle promotrici di Bring Back Our Girls,
il gruppo che ha fatto di tutto per riportare a casa le 276 liceali di Chibok
rapite il 15 aprile 2014 dai miliziani di Boko Haram,
riuscendoci solo parzialmente. Continua a essere molto attiva sia in #EndSARS
sia sul piano dei diritti delle donne battibeccando con governo e dintorni.
Il suo dinamismo può scombinare il
nostro sguardo cieco cementato duecento anni fa da G.W.F. Hegel, il mago fantasma che ancora ci incanta:
«Come abbiamo già detto, il negro incarna l’uomo allo stato di natura in tutta
la sua selvatichezza e sfrenatezza … Non è un continente storico, un continente
che abbia da esibire un movimento e uno sviluppo … Per Africa in senso vero e
proprio intendiamo quel mondo privo di storia, chiuso, che è ancora del tutto
prigioniero nello spirito naturale … dopo aver sgombrato il campo dal
continente africano, ci troviamo nel vero teatro della storia mondiale».
A metà dicembre il sultano di Sokoto, Nigeria Nordovest, Sa’ad Abubakar ha detto quasi disperato:
«Abbiamo perso così tante vite in passato che non siamo neppure in grado di
contarle. È diventata una cosa normale, quotidiana. Così normale che è una
notizia da raccontare quando non c’è nessun ucciso in qualche parte del nostro
Paese».
Il sultano di Sokoto non ha più potere
politico, è leader della confraternita (tariqa) sufi
Qadiriyya, che risale all’XI secolo, ma resta una guida spirituale dei
musulmani della Nigeria.
Mi pare di ricordare che nel XIX secolo
anche in Europa diversi stati e staterelli abbiano avviato ingarbugliati
processi di unificazione tramite guerre e diplomazia.È discendente di Uthman dan Fodio, filosofo, riformatore islamico, capo
sufi, che nel 1804 dà il via a un jihad che
rimpiazza i molti piccoli regni e le città-stato che caratterizzavano l’area,
portando alla formazione di un Califfato con molti Emirati che, in qualche
modo, governa venti milioni di persone. Già nel 1811 dan Fodio si ritira per
tornare a studiare e predicare, muore nel 1817, 14 anni prima di Hegel.
A inizio Novecento la presenza inglese in Africa Occidentale si fa
conclusiva: nel 1903 il potere politico passa di mano anche nel Sokoto, che
diventa “protettorato britannico”.
La mia officina storica propone un
esperimento minuscolo: si prenda un importante testo di storia della Nigeria
(Toyin Falola, Matthew M. Heaton, A History of Nigeria,
Cambridge University Press, 2008) e nelle numerose pagine dedicate, come si
deve, a dan Fodio e al Califfato di Sokoto si riconosca l’invisibile,
un’assenza, un vuoto. Nonostante il nigeriano Toyin Falola,
docente negli Usa, sia oggi uno degli africanisti più accreditati con
bibliografia da paura, non una riga, neppure in nota, concede in questa
pregevole storia della Nigeria a Nana Asma’u.
Nana Asma’u (1793–1864) è figlia di dan Fodio, non è
un’ombra molesta. Scrive 9 poemi in arabo, 42 in fulfulde (Fula dicono i linguisti), parlata oggi da 65
milioni persone, 26 in hausa, altra lingua dell’area, oggi usata da 47 milioni
di parlanti. Organizza circoli educativi e letterari di donne che chiama Yan Taru [quelle che si riuniscono
assieme, in hausa). Ritiene l’educazione delle donne fondamentale:
«Donne, un avvertimento: non lasciate la casa senza buone ragioni. Si può
uscire per cercare cibo o educazione. Nell’Islam è un dovere religioso cercare
la conoscenza. Le donne possono liberamente lasciare la casa con questo scopo».
Le donne del gruppo poi si sparpagliano
per formarne altre come educatrici itineranti (jajiis) e come
seguaci del sufismo. Anche le sue cinque sorelle saranno molto attive sul piano
culturale. Nina Asma’u esercita dunque un
ruolo pubblico e avrà per questo una profonda influenza su altre donne,
pensatrici e predicatrici, dell’Africa musulmana.
Annotava nel 1828 il governatore
francese del Senegal, baron Roger, che nel
paese «c’erano più neri in grado di scrivere e leggere in arabo, che per loro è
una lingua morta e di istruzione, di quanti contadini francesi fossero in grado
di leggere e scrivere in francese».
Appendice all’esperimento. G.W.F. Hegel
dall’alto dell’Absolute Geist [“Spirito
Assoluto”] annuncia urbi et orbi che der Neger ist Geschichtslos [senza storia], dunque Non-Umano.
Figuriamoci la “negra”!
A far saltare i nervi al governo
coloniale britannico nella seconda metà degli anni Venti del Novecento si erano
impegnate molte donne, soprattutto nel Sud/Est della Nigeria. Iniziative di
protesta collettive contro una tassazione mirata a loro stesse, che sfociano in
un vero e proprio conflitto a fine 1929. Non un riot,
un tumulto, ma un movimento sociale e politico con tracce di matriarcato
precoloniale, di consolidate pratiche, mikiri, di
aggregazione tra donne, di rituali danzanti di sberleffo del maschio – sitting on a man, di forte determinazione a migliorare
la propria condizione. Vi partecipano sei diverse nazionalità/etnie, non
solo Igbo, come recitano manuali ed enciclopedie. È una
mascherata di donne con canti, danze rituali e improvvisate. Inizia al mercato
e poi si dirige ai palazzi del potere. Quando non bastano le voci e le gambe,
mani e braccia afferrano, spaccano, colpiscono, come storia insegna.
Trascrivono in gesti la loro potenza.
Nonostante la feroce repressione e le cinquantatre donne uccise, l’apparato coloniale di governo deve riformarsi in profondità.
Foucault scrive
da qualche parte che non ricordo: «ovunque vado, segretamente mi segue sempre
Hegel».
Se Hegel fosse più
o meno razzista lo decidano gli storici della filosofia, a noi tocca avviare la
nostra svestizione dai comodi panni hegeliani.
Sud Nigeria, donne di una generazione
successiva ricantano e ridanzano ancora contro una arbitraria tassazione imposta
dal reuccio locale, Alake, indirect rule, warrant Chief, governatore al servizio degli
inglesi: è dalla vagina che vuoi uomini siete
nati, usi il tuo pene per sostenere che sei
nostro marito | noi oggi usiamo la vagina per agire come tuo marito. Questa
lingua sciolta dei loro canti è stata parlata e pensata da una mobilitazione di
donne durata anni e culminata nella rivolta di Abeokuta nel 1949. Animatrice e
organizzatrice Funmilayo Ransome-Kuti, esemplare
modello di femminista del Novecento e madre di Fela Kuti,
genio musicale, afrobeat, rivoluzionario, misogino.
[il 18 febbraio 1977, quando mille
soldati irrompono nella residenza dell’eversivo Fela, la Kalakuta Republic a Lagos, la madre viene gettata
dalla finestra del secondo piano. Muore l’anno dopo per le ferite riportate].
Durante le manifestazioni #EndSARS è di
nuovo riecheggiata Beasts of No Nation di
Fela Kuti.
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