Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini (orchestrate? fino a che punto?) dell’invasione del Campidoglio americano. Ora, gli antichi romani custodivano il loro Campidoglio con le oche e di notte queste facevano il loro dovere scacciando gli invasori. Chi può dimenticarsi questa simpatica storiella che ci raccontano quando sfogliamo timidamente il nostro primo libro di latino? A quanto pare però oggi un Campidoglio viene assalito e nessun parlamentare tiene il suo posto. Fa così paura la “grigia marea democratica” quando entra in aula?
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Francamente
trovo fastidioso, al limite del petulante, l’intellettuale che cerca nei
capolavori della letteratura un pretesto e un segnale per fare i discorsi di
attualità. Ne ho avuti tanti così: amici, professori luminari delle loro
scienze, a volte anch’io lo facevo. Oggi credo di più nel valore di
insegnamento che i testi possono avere sul piano educativo per chi ha uno
sguardo ancora semplice sul mondo. Faccio difficoltà a insegnare qualcosa agli
uomini già formati: al massimo li si può plagiare e manipolare. Ma è cosa
sgradevole: guardate ad esempio cosa si sono messi a fare i conservatori
americani all’indomani dell’occupazione del Campidoglio.
Hanno trovato il modo di intruppare Melville – che è nato duecento anni
fa – nelle loro file e a partire dal libro dello studioso di turno vengono a raccontarci che
Melville rifiuta la democrazia dei suoi contemporanei perché porta direttamente
all’utopia, al comando dispotico dell’uomo solo al comando. Porcherie, carta
straccia, benché siglata dal timbro della stamperia universitaria: questo mi
pare Herman Melville’s Ship of State.
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Per chi si
interessa di queste cose, della manipolazione a fini pubblicisti della
letteratura, rinvio a un’altra pagina dove raccontavo del tentativo più sciagurato in
questa direzione. Mi riferisco all’uso che di Melville ha fatto molti
anni fa un certo Carl Schmitt. Schmitt diceva le stesse cose dei conservatori
americani attuali: ma con più garbo letterario, tanto
da finire stampato da Adelphi.
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Ma cosa vuol
dire Ship of State nel titolo di quel libro americano recente?
Quando si
sente parlare di “nave dello Stato” le interpretazioni sono infinite. Si parte
da Platone e si arriva ai libri del Rinascimento sulle Navi dei folli.
Sono i soliti argomenti che maneggiati con tastiere più o meno erudite formano
la musica rilassante nell’area giochi dei dotti. Meglio lasciarle da parte.
Quel che mi interessa oggi invece è la letteratura. Non credo che Melville sia
accostabile alle nostre visioni, ai nostri problemi attuali. Può
darci al massimo uno spunto, un suggerimento. Se avessi una classe di
adolescenti ai banchi di scuola, gli darei da leggere un racconto di Melville,
due pagine stringate: Il venditore di parafulmini.
*
Non voglio
ammorbarvi di erudizione e rimando direttamente alla graziosa pubblicazione che ne
ha fatto Elliot poco fa. Se ce la fate in inglese, invece, lo trovate qui. È un Melville tutto
sommato inedito, lontanissimo dal metaforeggiare lento e assorto di Moby Dick o
da quel sussurrare lugubre ed esistenziale di Bartleby lo scrivano.
Ancora più lontano da quell’altro Melville che si mette la toga e fa l’oracolo
del Novecento politico in Benito Cereno.
Il venditore
di parafulmini piacerebbe
ai ragazzi perché qui Melville gestisce la sua forma-racconto con gran
sicurezza, soprattutto nel montaggio, che è la cosa più difficile, e incanta lo
sguardo dei puri. Con le parole siamo bravi tutti, o quasi, la cosa difficile è
proprio la struttura perché ha a che fare con quella dell’anima (che si può
strutturare con le bevute e non solo con le poesie).
*
Il fatto è
che quando un uomo è denso, denso come poteva essere Melville,
tutte le nostre impalcature cadono e l’unico sguardo concreto può essere quello
di un uomo che comincia a vedere, un adolescente insomma. Il quale, se
leggerà Il venditore di parafulmini, troverà poi la stessa eleganza
disillusa del Leopardi nel Venditore di almanacchi. Ma non voglio
anticipare nulla.
Melville
inserisce Il venditore di parafulmini nella stessa raccolta
che comprende i racconti più turbati (Benito Cereno, Bartleby lo
scrivano) a indicare che siamo noi uomini, lontani dalla pazza gente, a
decidere di noi stessi. Se un giorno ci sentiamo leggeri, scartiamo i signori
Cereno e Bartleby e ci sediamo, pensosi, sulla poltrona vicino al camino. Fuori
diluvia, è ottobre. Bussano con insistenza alla porta. Apriamo ed eccoci
davanti un uomo che non ci vende contratti di luce e gas ma qualcosa di simile:
pretende di rifilarci un parafulmini. Ecco i grandi risultati della scienza! Ma
si tratta per davvero di parafulmini? Cosa ci vuol vendere quest’uomo che fa
commercio con le paure degli uomini, come dice Melville?
Siamo noi ad
aprirgli la porta, siamo noi che apriamo i siti che ci vengono somministrati
dal motore di ricerca che ci conosce molto bene. Però possiamo scegliere se
aprire la porta di casa o no. Tanto fuori piove.
PS – Chi
legge il racconto del venditore di parafulmini troverà tutti i dialoghi assurdi
degni del caro Edgar Allan Poe. Ma si ricordi che sfottere il parafulmine, come
Melville fa, in quegli anni era blasfemia. Il parafulmine era l’invenzione più
famosa del vecchio padre costituente, Mr Franklin…
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