Cose turche a Instanbul? Bella ciao per la
Libertà - Doriana Goracci
(ripreso da AgoraVox)
Mentre il #corona imperversa anche in
Turchia e si canta Bella Ciao rivisitato in turco, lunedì 4 gennaio 2021, per
la libertà e la qualità accademica turca, la polizia a Instanbul ha
“ammanettato” i cancelli della migliore università del paese, mentre migliaia
di persone hanno manifestato sulla nomina del suo nuovo rettore.
Cose turche? Diciamo fatti accaduti ieri
in Turchia, ad Instanbul, che non possono essere ignorati, tantomeno nascosti in Italia, dove la
destra più oscura suona le sue lamentazioni .
Si dice che il nuovo dirigente
dell’ Università di Bogazici sia l’ultimo
di una lunga serie di nomine politicizzate in posizioni di vertice nel mondo
accademico, che ha svuotato la qualità dell’istruzione nel paese.
“Semplicemente crudele”: così si è espresso un professore di fama che si
batte contro l’epurazione delle università turche. Infatti il presidente turco
Recep Tayyip Erdogan durante il fine settimana ha scelto l’accademico Melih Bulu come prossimo capo
dell’università (nato nel 1970, ha un dottorato in finanza.
Recentemente nominato rettore da Recep Tayyip Erdoğan con decreto del 1
gennaio 2021, candidato per l’AKP, al governo di Erdoğan nelle elezioni
generali del 2015 n.d.r.)
L’Università di Bogazici, considerata da
molti la Harvard turca per la sua istruzione di qualità, l’ambiente liberale e
una storia che risale a 200 anni fa, è stata originariamente fondata da
missionari americani, ha migliaia di studenti che lavorano nelle migliori
aziende del paese e ai vertici della burocrazia statale. Bulu è visto come una
nomina controversa perché ha cercato di candidarsi come membro del parlamento
per il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) al governo nel 2015 e non
faceva parte dell’attuale staff accademico.
La nomina ha creato rabbia tra gli
studenti e gli ex studenti di Bogazici, che hanno elencato una serie di
problemi riscontrati con i titoli di studio di Bulu. Presunte prove che Bulu ha
plagiato nella sua tesi di dottorato e almeno un articolo accademico sono
circolate sui social media.Un portavoce degli studenti ha detto che non erano
particolarmente interessati alla storia personale di Bulu, ma piuttosto
alla libertà accademica. “Riteniamo che l’autonomia dell’università
possa essere concessa solo scegliendo il rettore attraverso un’elezione
tenuta dal personale accademico”, ha detto il portavoce.
La manifestazione inizialmente si è
conclusa pacificamente, mentre gli studenti hanno marciato attraverso il
campus. Tuttavia, l’apparizione di Bulu nell’edificio amministrativo ha
innescato ulteriori proteste e la polizia ha usato gas lacrimogeni e forza per
disperderli.
e ancora
Centinaia di persone hanno manifestato
lunedì a Istanbul contro quella che affermano essere la nomina politicamente
motivata di un rettore in una delle migliori università turche da parte del
presidente Recep Tayyip Erdogan. Un giornalista dell’AFP ha stimato il numero in oltre 1.000,
con dozzine di agenti di polizia che hanno assistito alla manifestazione senza
intervenire. La rabbia è esplosa dopo il decreto presidenziale del 1 gennaio in
cui Erdogan ha nominato Rettore dell’Università di Bogazici Melih Bulu –
candidata alle elezioni generali del 2015 per il partito al governo del
presidente.
Hanno cantato mentre alcuni tenevano
cartelli che dicevano: “Vogliamo diritti, perché così tanta polizia?” e
“Melih Bulu non può essere il rettore di Bogazici“. Erdogan ha assunto
il potere di nominare direttamente i rettori dell’università dopo essere
sopravvissuto a un fallito colpo di stato del 2016, e non è la prima volta che
la sua scelta per Bogazici ha suscitato polemiche. Quando il professor Mehmed
Ozkan è stato nominato rettore nel novembre 2016, c’erano tensioni e turbamenti
da parte di studenti e accademici. I rettori delle università turche sono stati
nominati tramite elezioni prima del luglio 2016. “Il mondo accademico è al
di sopra delle ideologie e della politica, ma nominare un rettore della nostra
università a dispetto della volontà dei membri dell’università è una mossa
politica“, ha detto ai giornalisti una delle manifestanti, Selen, durante
la manifestazione.
E ancora
Bulu è uno dei co-fondatori
dell’associazione distrettuale Sarıyer dell’AKP e si era candidato alla
candidatura diretta dell’AKP alle elezioni parlamentari e presidenziali del
2015 a Istanbul. Gli studenti lo chiamano “fiduciario” in riferimento ai
sindaci che sono stati deposti dai municipi delle città curde e sostituiti da
amministratori nominati dal governo. Anche numerose iniziative della società
civile e gruppi per i diritti umani hanno partecipato alle proteste contro la
nomina di Bulu, oscurate dalla massiccia violenza della polizia e dall’uso di
lacrimogeni e idranti. Alcuni studenti hanno risposto alla violenza della
polizia lanciando bottiglie. Due manifestanti sono stati arrestati dalla
polizia a margine delle proteste, picchiandoli e prendendoli a calci. Nel
frattempo, il cancello del campus dell’Università Boğaziçi è stato isolato
dalle forze di sicurezza. L’anello d’assedio della polizia del campus
universitario non è ancora stato completamente disperso.
Forse gli studenti turchi ricorderanno
quando altri di loro,giovani e meno giovani cantavano Bella
ciao nel 2012,
e poi ancora nel 2013, in Turchia, e
si continua a cantare e camminare per la Libertà.
Iste bir sabah
uyandigimda Ciao Bella Ciao Bella Ciao Ciao Ciao Elleri baglanmis buldum
yurdumu Her yani isgal altinda Sen ey Partizan, beni de gotur Ciao Bella Ciao
Bella Ciao Ciao Ciao Beni de gotur daglariniza Dayanamam tutsakliga Gunes
dogacak, acacak cicek Ciao Bella Ciao Bella Ciao Ciao Ciao Gelip gecenler
diyecek merhaba Merhaba ey guzel cicek
NOTIZIE DALL’AGENZIA «ANBAMED» (IGNORATE –
come al solito – DA QUASI TUTTI I MEDIA ITALIANI)
Turchia: condannato
a 27 anni, in contumacia, il giornalista che aveva rivelato l’appoggio di
Erdogan al terrorismo in Siria.
Il giornalista turco, Can Dundar, ex
caporedattore di Cumhuriyet (Repubblica), è stato condannato in contumacia a 27
anni e sei mesi di reclusione, per l’accusa di spionaggio e sostegno ad un’organizzazione
terroristica armata. Aveva svelato sul suo giornale che i servizi turchi
fornivano armi ai jihadisti in Siria. I suoi avvocati hanno rifiutato di
partecipare all’udienza di proclamazione , “per non dare una patina di legalità
ad una decisione politica già scritta”. Il giornalista vive all’estero, in
esilio in Germania.
SIRIA
Nel conflitto siriano ci sono due fronti
caldi. Uno aperto dalle truppe turche e milizie affiliate contro la zona curda
e l’altro nel triangolo Aleppo-Raqqa-Hama, tra le truppe governative e i
jihadisti di Daesh. Ieri sono rimasti uccisi nei combattimenti 5 soldati
governativi e 9 jihadisti. Ad Afrin, invece, le milizie filo turche hanno
compiuto rastrellamenti di civili in seguito allo scoppio di una mina sotto un
veicolo militare turco.
SIRIA
La Turchia porta avanti il suo progetto di
impedire ogni forma di autonomia curda nel nord della Siria. Da 48 ore
l’artiglieria turca sta martellando le zone rurali limitrofe a Ain Issa, a nord
di Raqqa. Tre combattenti curdi sono stati uccisi e fuga dei contadini verso il
centro abitato. Ain Issa è una delle città amministrate dai consigli locali
eletti, un’esperienza democratica voluta dalle Forze democratiche siriane a
maggioranza curda. Il piano di Ankara è quello di prendere il controllo
sull’autostrada T4, per garantire la striscia di sicurezza occupata all’interno
del territorio siriano e riportarvi i profughi siriani rifugiati in Turchia.
Leyla Guven senza giustizia: 22 anni di cella per terrorismo - Chiara
Cruciati
L’escalation contro Leyla Guven, storica
esponente della sinistra curda in Turchia, ieri ha toccato la vetta: una
condanna a 22 anni e tre mesi di prigione per terrorismo.
Il percorso compiuto fino alla sentenza di
ieri contro l’ex parlamentare 56enne del partito di sinistra Hdp e co-leader
del Dtk (Democratic Society Congress) ha occupato tutti gli ultimi 10 anni, per
inasprirsi a partire dal 2015 con l’esplosione del consenso per la formazione
filo-curda, la ripresa della campagna militare turca contro il sud est e poi
nel Rojava, il nord-est siriano: prima l’arresto, poi un lungo sciopero della
fame, il rilascio in attesa del processo, una prima condanna a sei anni non concretizzata
perché protetta dallo status di deputata e infine (lo scorso giugno) il ritiro
dell’immunità parlamentare.
Una cancellazione che ha aperto alla
sentenza più dura, quella comminata ieri dalla corte penale di Diyarbakir: 14
anni e tre mesi per l’accusa di appartenenza a organizzazione terroristica (il
Pkk) e altri 8 anni per due diverse accuse di propaganda terroristica (il
riferimento è a due discorsi pubblici che Guven ha tenuto a Batman e
Diyarbakir).
Nello specifico, la procura ha chiesto
condanne per fondazione, guida e appartenenza a organizzazione terroristica,
incitamento a proteste illegali e partecipazione disarmata a riunioni illegali.
Subito è stato spiccato un mandato d’arresto, ma mentre scriviamo non è ancora
chiaro dove l’ex deputata si trovi: ieri in tribunale erano presenti solo i
suoi due legali, Serdar Celebi e Cemile Turhalli Balsak.
Immediata è giunta la condanna dell’Hdp:
«La magistratura ha mostrato ancora una volta di agire in linea con gli
interessi del partito di governo – si legge in una nota – Non riconosciamo
questa punizione illegittima e dannosa». «Questa decisione ostile – prosegue il
comunicato – non va solo contro Leyla Guven e non solo contro il Dtk, ma contro
tutti i curdi e tutta l’opposizione. Né lei né noi ci arrenderemo a causa di
punizioni e arresti».
Guven è considerata un simbolo della lotta
all’autoritarismo che oggi caratterizza la Turchia. Ex sindaca, ex deputata,
prigioniera politica tra il 2009 e il 2014, riarrestata a gennaio 2018 per aver
criticato l’operazione militare di Ankara nel cantone curdo-siriano di Afrin,
nel novembre dello stesso anno ha iniziato uno sciopero della fame durato fino
al 26 maggio 2019, sostenuto da migliaia di prigionieri e prigioniere curde
nelle carceri turche ma anche da donne esponenti della sinistra mondiale, da
Angela Davis a Leila Khaled: 200 giorni a digiuno contro l’isolamento a cui è
sottoposto il leader del Pkk Abdullah Ocalan.
Ridotta pelle e ossa, era stata rilasciata a gennaio 2019 ma aveva proseguito
la protesta nella sua casa di Baglar, a Diyarbakir. Con la mascherina al volto,
gli organi vicini al collasso, continuava a chiedere «democrazia, diritti umani
e giustizia».
Nulla di nuovo sotto il sole a strisce turco:
le accuse mosse sono sempre le stesse, tutte derivazioni varie ed eventuali del
reato “terrorismo”, con cui in cinque anni una magistratura sempre più
erdoganizzata e un ministero degli interni campione di commissariamento di enti
locali hanno devastato l’Hdp.
Tanti piccoli golpe Akp-diretti: il
Partito democratico dei Popoli ha visto imprigionare i propri leader nazionali,
Selahattin Demirtas e Fiden Yukesdag, insieme a una decina di altri
parlamentari; arrestate migliaia di amministratori locali, membri di partito e
semplici sostenitori; commissariare quasi ogni comune vinto nelle due ultime
tornate elettorali municipali. E stracciare l’immunità parlamentare.
(ripreso dal quotidiano «il manifesto»)
Turchia. Libertà per Leyla Güven
Appello di Rifondazione Comunista –
Sinistra Europea
E’ stata condannata a 22 anni di carcere
Leyla Güven, co-presidente del Partito Democratico dei Popoli (HDP), il cui
seggio parlamentare era già stato arbitrariamente revocato l’anno scorso. Una
sentenza, al tempo stesso, contro il popolo curdo e contro l’opposizione
democratica al regime ultranazionalista, autoritario e repressivo di Erdogan.
Si tratta dell’ennesimo attacco del
governo turco contro l’HDP (terza forza politica nel parlamento) che fa seguito
al commissariamento arbitrario di decine di Città nel Kurdistan anatolico, nel
Sud-Est, e all’arresto di molti-e tra i-le principali dirigenti
dell’organizzazione, tra cui Selahattin Demirtas, l’ex candidato presidenziale
in carcere di massima sicurezza da oltre quattro anni.
Non più tardi di due anni fa, la Corte
Europea dei Diritti Umani ha condannato la Turchia per violazione della
Convenzione Europea dei Diritti Umani. Infatti, tenendo in carcerazione
preventiva un esponente politico durante importanti scadenze elettorali,
il governo turco ha mostrato il volto repressivo di una carcerazione preventiva
per motivi politici, ma ha anche violentemente compresso i diritti civili e la
stessa democrazia.
Non dimentichiamo la vicenda di Abdullah
Öcalan, leader storico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), da più
di 20 anni detenuto nell’isola-carcere di massima sicurezza di Imrali, nel più
inumano isolamento. Questa aperta violazione dei diritti umani, cerca di
cancellare le speranze di pace e giustizia nella regione. Speranze possibili
anche grazie alla storica lotta per il progresso e l’auto-determinazione del
popolo curdo e ai tentativi condotti da Ocalan, per una pace con giustizia
sociale ed inclusione per tutti i popoli della regione.
Ci uniamo alle forze della sinistra turca
nella loro lotta contro il regime e per una Turchia di democrazia, di
giustizia, di progresso sociale, rispettosa dei diritti e
dell’auto-determinazione dei popoli.
I compagni e le compagne curde si battono
contro lo smembramento degli Stati per linee etniche, settarie o religiose. Si
battono per la democrazia e per il pluralismo, per il rispetto delle differenze
culturali e religiose, per la partecipazione popolare e l’inclusione sociale,
per una prospettiva di una società democratica e progressista,
internazionalista e anti-patriarcale.
Siamo al fianco della resistenza del
Rojava, delle formazioni dello YPG (le Unità di Protezione del Popolo) e
del YPJ (le Unità di Protezione delle Donne) contro l’occupazione e contro il
settarismo, per una società democratica confederale e inclusiva.
Esigiamo l’immediata cessazione delle
misure di sorveglianza speciale contro tutti-e coloro che, anche dall’Italia,
si sono uniti-e alla resistenza contro l’invasione turca in Siria e gli
assassini dell’ISIS.
Chiediamo l’immediato rilascio di Leyla
Güven, di Abdullah Öcalan e di tutte le prigioniere ed i prigionieri politici
del regime autoritario e repressivo di Erdogan.
Siamo a fianco del popolo curdo nella sua
battaglia per l’auto-determinazione, per la vittoria della rivoluzione
democratica, in Kurdistan e nel Rojava.
Partito della Rifondazione Comunista –
Sinistra Europea
VEDI ANCHE L’ARTICOLO (su Pressenza) di
Murat Cinar: Turchia – 2020: un anno di repressione ma anche di
resistenza e Re-esistenze in Rojava (su Comune-info)
Per Eddi una sorveglianza vergognosa
Comunicato dei Comitati torinesi in
sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est (*)
Il Tribunale di Torino ha confermato la
Sorveglianza speciale a Eddi senza alcuna attenuazione.
Il Tribunale non ha rispetto per le cadute
e i caduti nei cinque anni di guerra contro lo Stato islamico in Siria e per
l’esercito delle Unità di protezione delle donne curde (Ypj) di cui Eddi ha
fatto parte e cui la città di Torino ha pochi giorni fa dedicato un giardino di
fronte al Cimitero monumentale. È a causa di quella scelta, maturata in Siria
nel 2017, che Eddi (inizialmente con altre quattro persone) è stata proposta
per questa misura. Unica donna, è l’unica cui la misura sia stata applicata e
confermata.
Questa decisione arriva contro un’ampia
mobilitazione civile, espressione pubblica di numerose opinioni anche
giuridiche in dissenso, appelli di centinaia di giuristi e personalità della
cultura, opere, libri e documentari dedicati a Eddi e alla sua vicenda. Getta
vergogna sull’istituzione, dimostrando che il suo personale non ha la caratura
morale per formulare giudizi su vicende che comportano la morte o la sofferenza
di milioni di persone.
Questo giudice, come quello precedente,
cerca proprio per questo di lateralizzare la vicenda siriana di Eddi
pretendendo che essa, che pure è conditio sine qua non dell’intera iniziativa
giudiziaria, abbia ceduto il passo a ben più gravi attività politiche svolte in
Italia. La procura aveva affermato il 12 novembre che l’attivismo politico di
Eddi è inseparabile dalla sua partecipazione siriana. Questo è vero: non si ha
una “Eddi” senza l’altra. L’ipocrisia istituzionale dell’Europa deve venire a
patti con sé stessa. Eddi è un’internazionalista e una femminista e per questo
è partita per la Siria, cosa che non hanno fatto altri. Ma proprio questo è ciò
che il tribunale di Torino non può accettare.
Di qui la criminalizzazione indecente di
attività nobili e pacifiche svolte in Italia, che denuncia un’ostilità
ideologica preoccupante da parte di un Tribunale, la cui politicizzazione in
seguito vicenda del Tav è ormai tema di dibattito sulla stampa nazionale e
nello stesso parlamento italiano.
Le manifestazioni universitarie,
ambientaliste, per i diritti sul lavoro e contro l’invasione turco-jihadista
del Rojava sono definite «pericolose» e «gravissime». Sono sfide «all’autorità»
poste in essere in luoghi pubblico, e tanto basta. Nessuna sentenza definitiva
ha mai addossato a Eddi alcunché di illecito e non potendo fare leva su
sentenze, il tribunale si fonda su «segnalazioni» di singoli poliziotti. Il
collegio ha rivendica nel decreto nero su bianco la potestà della sezione
preventiva del tribunale di utilizzare notizie di polizia non entrate in
processi penali, elementi desunti da processi ancora in corso e persino da procedimenti
che si siano conclusi con un’assoluzione. Avoca in sostanza a sé il diritto di
giudicare al di fuori delle garanzie previste per uno stato di diritto e
secondo criteri di assoluta eccezionalità; quindi, nei fatti, con piena
arbitrarietà.
La denuncia della difesa della
mortificazione del contraddittorio in primo grado, con l’espunzione di
testimoni e il rifiuto del primo giudice di permettere l’interrogatorio dei
poliziotti, è stata liquidata con toni sprezzanti nei confronti della difesa. Il
decreto parla di “reati” sebbene non ve ne siano e, ammette in modo
inquietante, Eddi è soltanto “formalmente” incensurata, Che cosa significa?
Forse per il tribunale di Torino il cittadino non è presunto innocente se non
“formalmente”? I principi costituzionali o del diritto internazionale
umanitario non valgono a Torino nella sostanza? Affermazioni scandalose
discendono da questa concezione poliziesca della giustizia, e devono essere
denunciate all’opinione pubblica.
«Non si vede come possa rilevare», scrive
il collegio, che un agente Digos intervenuto a impedire a una serie di ragazze
di assistere a un’assemblea accademica nel 2016 «abbia minacciato in una fase
ancora concitata una delle presenti, diversa dalla Marcucci, di reagire con
schiaffi» (p. 15). Le testimonianze oculari di cariche effettuate a freddo e
senza ragione alla manifestazione del primo maggio (dove pure Eddi non ha usato
alcuna violenza) sono come tali «inverosimili» poiché «non si può supporre»
nelle forze dell’ordine schierate in piazza una «ingiustificata aggressività»
(pp. 19-20). Se la carica parte, la carica è motivata.
Pur di far passare Eddi come una
squilibrata il giudice si spinge ad affermare che il divieto di avvicinarsi a
bar e locali pubblici tra le 18 e le 21 ogni giorno, prima di rientrare
obbligatoriamente a casa, è dovuta alle probabili aggressioni che metterebbe in
atto contro avventori «non in sintonia con i suoi orientamenti» (p. 23). Questa
illazione non è suffragata da nulla se non dal decreto stesso, né da segnalazioni
di polizia. Come indizio dell’attitudine intrinsecamente violenta di Eddi si
cita la sua opposizione, nel 2016, a una manifestazione neo-fascista
all’università. Essa avrebbe dimostrato la sua incapacità a tollerare «il
libero confronto delle idee». Un nesso ispirato forse dalle fatiche letterarie
di Bruno Vespa.
La proibizione più grave, e maggiormente
contraria ai diritti umani e costituzionali – quella di manifestare e anche
parlare in pubblico – viene giustificata in base a questi «paradigmi di pericolosità
soggettiva». Eddi potrebbe, in altre parole, esercitare violenza anche in
quelle circostanze. Stiamo parlando dell’uditorio di una sua conferenza.
Chiunque può farsi da sé un’opinione di simili affermazioni e della loro
natura. Se qualcuno ancora avesse dubbi su cosa è oggi il tribunale di Torino,
si consideri la provocazione conclusiva del decreto. Eddi ha chiesto che le
venga restituita almeno in parte la somma di 1.000 euro che ha dovuto versare
allo stato come “cauzione” per essere sorvegliata, facendo presente che, per
una lavoratrice della ristorazione, questo non è un periodo facile; e che chi è
sottoposto a sorveglianza speciale perde automaticamente il diritto a qualsiasi
sussidio corrisposto dallo stato. Il collegio risponde a p. 24: «Tra il 2018 e
il 2019 la proposta ha affrontato le spese di un lungo viaggio in zona di
belligeranza, per poi rientrare per via aerea, così palesando capacità
reddituale non minimale».
Comitati torinesi in sostegno
all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est
(*) La vicenda di Edgarda Marcucci è stata
raccontata in “Bottega”; cfr Se ha combattuto l’Isis, lo Stato italiano le proibisce
di parlare
APPELLO (in più lingue) DI Anti-Imperialist Front PER INIZIATIVE
SOLIDALI CON GRUP YORUM E GLI AVVOCATI PERSEGUITATI IN TURCHIA
Cari compagni,
vogliamo prima di tutto inviarvi i nostri
migliori auguri per il nuovo anno nella lotta e nella resistenza del nostro
popolo, che sarà anche una nuova sfida per tutti noi.
Da quando la crisi del capitalismo è
cresciuta negli anni, le guerre e gli interventi per i nuovi mercati
imperialisti da Sud a Est continuano a pieno ritmo…
I regimi fantoccio neoliberali che fanno da guardia ai grandi monopoli, hanno
potenziato e liberato le loro forze reazionarie per opprimere le reazioni di
massa e la resistenza dei lavoratori alle nuove politiche restrittive, di
austerità e antidemocratiche.
Oggi la solidarietà e l’unità dei popoli
sono diventate più necessarie che mai.
La privazione sociale e culturale ha regnato con le misure di Covid-19, oltre
alla crescente miseria e povertà di gran parte della popolazione mondiale…
Non perderemo la speranza, non cederemo
alla paura dettata dal Sistema capitalistico e non assisteremo all’ingiustizia
in atto attraverso la quale il divario tra ricchi e poveri si allarga e la
minoranza ricca approfitta della recente situazione.
Quest’anno, anche in condizioni difficili
e particolari, l’esempio della resistenza in Turchia ci ha dimostrato che la
solidarietà non conosce confini, che chi resiste per una giusta causa è in
grado di vincere, perché le sue armi sono i cuori, le mani e le convinzioni si
uniscono all’anelito dell’eterno popolo!
L’avvocato del popolo Ebru, i membri del Grup Yorum Ibo e Helin, il combattente
per la giustizia Mustafa, sono stati immortalati in una resistenza che ha
sfondato le mura della prigione, i confini dei paesi e i mari.
La giustizia è stata la loro ultima richiesta per continuare a difendere e a
praticare l’arte al fianco dei popoli oppressi.
L’avvocato Aytaç Ünsal, che era in punto
di morte e che è stato rilasciato dal carcere con una decisione del tribunale
per ottenere un trattamento medico sanitario, è stato arbitrariamente arrestato
di nuovo qualche settimana fa su richiesta del Ministero degli Interni. È stato
arrestato e torturato dalla polizia, dopo aver lasciato Istanbul con un amico
per respirare aria diversa.
Non c’è alcuna base legale per la sua detenzione e il suo arresto, nonostante
le false accuse e le menzogne propagandistiche contenute nei media della
polizia che dichiarano che Aytaç stava per lasciare il Paese. Né questa accusa
era vera, né l’ordine del tribunale gli proibiva di lasciare la città.
Aytaç Ünsal è di nuovo in prigione, il suo ordine di rilascio è stato
arbitrariamente annullato ed è stato privato del diritto alle cure mediche,
anche se non ha avuto abbastanza tempo per riprendersi dopo 215 giorni di
sciopero della fame. La polizia antiterrorismo ha applicato i suoi crimini di
tortura su un avvocato davanti alle telecamere.
Vogliamo la libertà immediata, prima di
tutto per Aytaç Ünsal e poi per tutti gli avvocati del popolo che sono stati
arrestati senza un giusto processo e il cui caso, che non era altro che una
punizione politica, era stato testimoniato dagli studi legali, dagli ordini
degli avvocati e dalle istituzioni legali di tutto il mondo.
Quando entreremo in un nuovo anno di
lotta, daremo anche nuovi impulsi di speranza con la nostra unità e solidarietà
internazionale.
Così, in ultima istanza, il nostro appello
a voi sarebbe quello di PREPARARE UN BREVE VIDEO CON UNA SEMPLICE DOMANDA
FORMULATA IN UNA O DUE FRASI:
“Chiedo l’immediato rilascio dell’avvocato Aytaç Ünsal! Libertà per gli
avvocati del popolo in Turchia!”
Pur volendo già ora esprimere la nostra
gratitudine per il vostro modesto sostegno, vi inviamo anche gli indirizzi
delle carceri degli avvocati del CHD/Ufficio Legale del Popolo in Turchia.
Se trovate ancora un po’ di tempo, vi preghiamo di dire anche ad Aytaç e/o agli
altri avvocati personalmente che volete la loro libertà e che sostenete gli
avvocati che difendono i diritti del popolo oppresso. Ad esempio scrivendo una
cartolina/lettera con questa frase:
“Caro XX, ci aspettiamo che tu sia libero nel 2021. La nostra lotta continua
con te.”
“Sevgili XX, 2021’de özgür olmanızı bekliyoruz. Mücadelemiz sizinle devam
ediyor.”
Aytaç Ünsal
Edirne F Tipi Hapishane
Edirne
Turkey
Aycan ÇİÇEK
Düzce T Tipi Kapali Ceza Infaz Kurumu
Düzce
Turkey
Selçuk KOZAĞAÇLI
Silivri 1 Nolu Kapali Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey
Behiç AŞÇI
Silivri 1 Nolu Kapali Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey
Barkin Timtik
Silivri 1 Nolu Kapali Kadin Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey
Oya Aslan
Silivri 1 Nolu Kapali Kadin Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey
Yaprak Türkmen
Silivri 1 Nolu Kapali Kadin Hapishanesi
Silivri/Istanbul
Turkey
Engin Gökoglu
Tekirdag 2 Nolu T Tipi Ceza Infaz Kurumu
Tekirdag
Turkey
Özgür Yilmaz
Tekirdag 2 Nolu F Tipi Ceza Infaz Kurumu
Tekirdag
Turkey
Süleyman Gökten
Tekirdag 2 Nolu F Tipi Ceza Infaz Kurumu
Tekirdag
Turkey
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