La vicenda
della “foiba” del Ciaurlec è ormai troppo nota, per ritornare a discuterne qui
nei particolari. Le sacralizzazione delle vittime, da parte dell’organizzazione
nostalgica “Erasmo da Rotterdam” (possiamo cominciare a chiamarli con il
loro nome, senza essere denunciati per diffamazione, visto che praticano il
reato di apologia di fascismo, e per di più con il consenso delle autorità
cittadine spilimberghesi, coinvolgendo nella loro turpe attività anche le
scolaresche?) è già stata trattata filologicamente in altro
luogo di questo sito, nella puntuale disamina di Francesco Franz.
Così come
abbiamo trattato personalmente il tema della giustizia partigiana, sulla base innanzitutto delle
esplicite testimonianze di uno dei comandanti della Resistenza sul
Ciaurlec, Vincenzo Tonelli.
Le morti
sono morti, tutte, senza distinzione. Ma eliminare combattenti fascisti,
alleati dei nazisti tedeschi, e spie, era, più che un dovere militare, uno
stato di necessità. Ognuno commemori i suoi cari; ma è scandaloso che si debba
anche rendere loro onori di alcun tipo. Hanno sbagliato; hanno pagato; amen. Se
qualcuno ha ancora da recriminare, recrimini sui dieci anni di guerra scatenata
dal fascismo, dal 1935 al 1945.
* * *
E’ stato
proprio leggendo uno degli elenchi analizzati da Franz, quello relativo alla
lapide posata nel 2019 a Spilimbergo, che mi è venuto un dubbio, quando ho
letto tra i nomi – in buona parte estranei alle vicende del Ciaurlec –
questo: Guido Comis, Cap.no art., 52 (anni), n. 1893 – m. 1945.
Io un Guido
Comis l’avevo conosciuto, anche se solo di fama: si trattava del presidente
dell’Ordine degli Avvocati di Pordenone, oltre che di un esponente di primo
piano dell’MSI, il partito neofascista, che aveva rappresentato in Consiglio
Comunale a Pordenone dal 1970 al 1979. Con il procedere degli studi avevo
trovato l’avv. Comis tra gli esponenti principali del fascismo spilimberghese,
oltre che cognato di Piero Pisenti, il principale
esponente del fascismo friulano. La conoscenza dei legami familiari, oltre che
notizie di prima mano soprattutto su Pisenti, le ho avute con il passar del
tempo da un figlio di Guido Comis, l’avv. Sebastiano, per i primi 18 anni di
vita presidente della Coop (allora Service) Noncello, con cui ho avuto
l’occasione di lavorare a lungo. Sebastiano, ritornato al socialismo del suo
omonimo nonno paterno – uno dei fondatori del Psi di Spilimbergo, ai primi del
‘900; Sebastiano mi raccontò del gustoso episodio che «riguarda la prima
tessera fascista di mio padre, che il nonno gli fece trovare strappata sotto il
piatto» – ha sempre gestito con equilibrio le impegnative memorie
familiari, la sua attività politica e sociale e la trasmissione ai ricercatori
delle notizie e dei documenti loro utili.
E’ stato
lui, in quanto esecutore testamentario di Pisenti, a trasmetterne l’archivio a
Renzo De Felice, depositato poi dallo storico all’Archivio Centrale dello
Stato. Merita evidenziare come a Spilimbergo allo storico sia stata dedicata
una via: ma evidentemente la sua lezione di acribia metodica non è servita agli
“erasmini”, che si sono concentrati solo sul suo progressivo spostamento a
destra.
Era stato
proprio Sebastiano jr. a raccontarmi di come suo padre fosse stato detenuto in
un campo di concentramento jugoslavo dopo la fine della seconda guerra
mondiale.
Ho fatto
quindi un primo controllo, anagrafico. Sulla lapide si fa nascere Guido Comis
nel 1893, mentre egli era nato il 19 settembre 1907. C’era quindi un altro
Comis a Spilimbergo? Interrogato, il figlio Sebastiano lo esclude: «Sicuramente
c’erano altri Guido Comis in circolazione (il ceppo originario è di Santo
Stefano di Cadore, frazione Casada) ma non a Spilimbergo».
Ho
confrontato quindi, come ha fatto Franz, i dati sulla lapide con quelli del
libro: FONDAZIONE DELLA R.S.I. – ISTITUTO
STORICO ONLUS ALBO CADUTI E DISPERSI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANAa cura di
Arturo Conti, pubblicazione esplicitamente neofascista, che appare anche in altri casi
come la fonte dell’associazione “Erasmo da Rotterdam”. Neofascista? Certamente,
vista l’epigrafe: «In onore delle Famiglie dei Caduti e dei Dispersi della
Repubblica Sociale Italiana»: che appare anche lo scoperto intendimento,
sotto copertura “foibologica”, dell’associazione spilimberghese. Così, pian
piano, si compattano camicie nere e spie, vittime di vendette postbelliche ed
eventuali vittime dei partigiani jugoslavi; ci si infila astutamente nelle
celebrazioni – già storicamente mistificanti – del 10 febbraio e, tra un poco,
denunceranno per “negazionismo” chi fa loro notare la “confusione” provocata
deliberatamente.
Ebbene,
nella pubblicazione di Conti i dati di Comis sono questi: Comis Guido
19/9/07, Spilimbergo, Cap.no Es. Rep. 13^ Gr. Art. Costiera 2/5/45, Buie, Pola
(prig. Borovnic. Slov. stenti). Il dato di nascita, qui, è quello giusto,
così come il grado. La morte nel 1945, è qui collocata nel campo di
concentramento jugoslavo di Borovnica.
In realtà,
per fortuna sua e della sua famiglia, secondo la testimonianza del figlio, «mio
padre è stato internato a Vrsac, che era un campo per ufficiali a n.e. di
Belgrado, vicino al confine con la Romania». Campo da cui l’avv. Comis è
poi ritornato a Pordenone, dove è morto, quasi ottantenne, nel 1986. A
testimonianza del fatto che, se non saranno certo stati ospiti munifici con i
loro prigionieri, gli jugoslavi i prigionieri non li sterminavano a prescindere,
men che meno nelle foibe, anche quando erano stati indubbiamente ufficiali
fascisti fino all’ultimo.
Ricorda
Sebastiano Comis: «Quanto all’epilogo, è vero che riportò a casa la pelle.
Ma dal repertorio Corbanese-Mansutti risulta che il suo aiutante maggiore e due
dei suoi tre comandanti di batteria vennero fucilati dopo la resa, il primo,
come ricordava mio padre, per aver cacciato in malo modo dei partigiani istro
veneti che si erano infilati tra i soldati italiani in ritirata da Pola per
convincerli ad arrendersi. Degli altri non mi ha mai parlato. Il terzo
comandante di batteria è invece morto di tifo a Vrsac». Testimonianza
importante per due aspetti: il primo è che i prigionieri fascisti non venivano
arrestati “in quanto italiani”, come si usa dire da tre quarti di secolo dalla
canea nazionalfascista, ma sulla base di precise valutazioni politico-militari;
il secondo è che i partigiani protagonisti dell’episodio decisivo non erano
slavi, ma istro-veneti: cioè “italiani”. Quei partigiani che, in buona parte,
in Istria combattevano con gli jugoslavi, ma conservavano come riferimento il
Pci, il Cln Alta Italia di Milano e l’Italia.
Diverso il
caso di chi poteva rimanere vittima delle vendette postbelliche, come il
cognato di Comis. Ricorda Sebastiano jr. che «Non trovandolo, hanno ucciso –
ma non infoibato, credo – suo cognato, che abitava a Spilimbergo e doveva avere
una decina d’anni di più. Un altro ‘martire’ involontario. (…) Il marito di mia
zia Olga si chiamava Domenico (Menuti) De Rosa, era di Spilimbergo, doveva
suonare qualche strumento musicale perché anni fa mi aveva chiesto notizie di
lui uno spilimberghese che stava scrivendo qualcosa sull’attività musicale a
Spilimbergo nel ‘900. (…) Domenico De Rosa, nato il 3.2.95. Il 7 giugno 1945
sconosciuti lo hanno prelevato da casa, il corpo è stato trovato il
giorno dopo».
Quindi Guido
Comis è finito su quella lapide “a sua insaputa”, con tanto di dati anagrafici
sbagliati. Così come non vi è comparso (ma avrebbe dovuto?) suo cognato. Una
bella prova del pressapochismo degli emuli del “pornostorico” Pirina, le cui
liste foibologiche sono state demolite anni fa da Claudia Cernigoi.
Sebastiano
Comis ha scritto al Comune di Spilimbergo per chiedere la rimozione del nome di
suo padre da quel monumento. Noi, più modestamente e con meno titolo personale,
ci permettiamo sommessamente di invitare gli amministratori della cittadina
pedemontana a togliere tutto quell’obbrobrio. Anche perché, esteticamente, è
proprio brutto.
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