In questo periodo natalizio e di lockdown siamo
continuamente bombardati da spot “umanitari”. Spesso però le ONLUS, per colpire
lo spettatore, utilizzano immagini di pietismo e orrore, di persone, in
particolare di bambini, in condizioni molto gravi. Queste immagini suscitano in
noi dei sentimenti molto forti e… danno un risultato migliore nella raccolta
fondi. Deborah Small e Nicole Verrocchi dell’Università della Pennsylvania
hanno dimostrato che le emozioni negative attivano una maggior predisposizione
a donare e quindi sono più efficaci nel chiedere e ottenere soldi (il termine
inglese crowdfunding è più elegante).
Media delle donazioni in base alle
espressioni facciali delle immagini
(Small e Verrocchi, 2009)
Molte organizzazioni approfittano di
questo aspetto e utilizzano spesso immagini che potremmo definire poco etiche e
morali.
Ci sono dentro quasi tutte: da Save the Children (la più spregiudicata
a mio giudizio) a Medici Senza Frontiere, senza escludere Emergency e nemmeno
l’istituzionale UNICEF.
Questo tipo di immagini sono state
definite «pornografia della povertà» o «pornografia dello sviluppo». Secondo
Matt Collin con questo termine si intende «qualsiasi tipo di media, sia in
forma scritta, fotografia o filmato, che sfrutta le condizioni dei poveri, al
fine di generare la simpatia necessaria tra il pubblico per vendere più
giornali, aumentare le donazioni o il sostegno a una data causa. La pornografia
della povertà è tipicamente associata a persone di colore, di solito africani
poveri e bambini, immagini o descrizioni di persone che soffrono, sono
malnutrite o impotenti. Lo stereotipo della pornografia della povertà è il
bambino africano con pancia gonfia, lo sguardo fisso verso la telecamera, in
attesa di essere salvato».
Non riporto qui, per coerenza, quelle
immagini che, peraltro, sono agevolmente rintracciabili sui siti delle
organizzazioni citate. Vi invito a guardarle e forse vi convincerete che questo
tipo di campagne pubblicitarie vanno rifiutate e denunciate. Vi offro sette
motivi (almeno) per farlo.
1.
Viene violata la Carta di Treviso, un protocollo approvato nel
1990 dall’Ordine dei Giornalisti, dalla Federazione Nazionale della Stampa
Italiana e dal Telefono Azzurro, che nell’aggiornamento del 1995 afferma che
«nel caso di bambini malati, feriti o disabili, occorre porre particolare
attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare
che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che
finisce per divenire sfruttamento della persona».
2.
Vengono violate le Linee guida per la Raccolta dei fondi (maggio
2010) prodotte dall’Agenzia per il Terzo Settore in cui si afferma che «nei
materiali promozionali finalizzati alla raccolta di fondi, le organizzazioni
devono […] evitare l’uso di immagini e testi lesivi della dignità della
persona, che potrebbero offendere anche solo una parte dei destinatari, […] e
discriminatori o denigratori in riferimento a razza, sesso, età, religione […].
Prudenza e attenzione nei casi di utilizzo di immagini forti e potenzialmente
scioccanti».
3.
La violazione di pronunciamenti simili sarebbe lunga, ma bastano questi due
esempi per condannare l’uso delle foto e dei video veicolati da molte ONLUS. Si
spera, ma non è certo, che ci sia stato un consenso informato da parte dei
genitori in ottemperanza alla privacy. Soprattutto bisognerebbe
verificare se gli esercenti la potestà genitoriali dei minori esibiti avessero
dato il nulla osta in piena consapevolezza e senza
condizionamenti ambientali. Difficile crederlo.
4.
Probabilmente se le immagini riguardassero un bambino bianco le regole
etiche verrebbero maggiormente rispettate. Invece il bambino dalla pelle nera
viene visto e catalogato con criteri culturali ben radicati, che risalgono al
colonialismo e al razzismo diffuso e che inducono automaticamente la nostra
mente all’equazione: Africa vuol dire tutti poveri e disgraziati. Queste
immagini consolidano quindi uno stereotipo invece di abbattere le barriere che
si sono innalzate.
5.
La continua somministrazione di queste immagini rischia al contrario di
creare assuefazione (se non un vero e proprio rifiuto). Constatare che la
situazione non è cambiata in così tanti anni può far pensare che gli aiuti non
arrivino e che le ONLUS non servano a nulla. Il blog Africa is a
Country si occupa proprio del fatto che queste immagini non siano di
aiuto all’eliminazione della povertà, anzi, la pornografia della povertà non
farebbe altro che rafforzare uno stato di apatia nei paesi occidentali.
6.
La corsa al video o all’immagine più sensazionalistica corrisponde
esattamente alla logica del sistema pubblicitario di una società di mercato.
Nel 2015 Mazzola e Trovato, con un memorabile editoriale sulla rivista Africa,
criticarono ferocemente Save the Children per aver diffuso il video di un
bambino denutrito (John, di due anni). Alle loro critiche l’ONLUS rispose che
«lo spot ci ha consentito di acquisire più di 14.000 donatori regolari». Il
fine giustifica i mezzi? Certo, se si entra nella logica di ottenere più soldi
possibili in una società caratterizzata dal “capitalismo compassionevole”.
7.
Per dovere di rendicontazione verso i propri finanziatori molte ONLUS si
prendono meriti dei progressi fatti, anche se marginali. Le loro campagne
consolidano nell’opinione pubblica la convinzione che gli aiuti umanitari
abbiano un ruolo centrale nella sopravvivenza del Terzo mondo e quindi che i
paesi poveri dipendano proprio da queste sottoscrizioni caritatevoli. È un’idea
fuorviante, sappiamo che non è così: altri sono i dati di fatto. Ad esempio il
fatto che l’1% della popolazione mondiale possieda il 50% della ricchezza; il
fatto che le spese militari, oltre a essere un pozzo senza fondo,
contribuiscano a morte, devastazione, migrazioni e povertà; il fatto che il
saccheggio ambientale provochi desertificazione dei territori e morte per fame.
Ebbene, sono questi i fatti che dovrebbero spingere l’opinione pubblica verso
una diversa presa di coscienza, la richiesta presso i propri governi di cambiamenti
radicali, in altre parole spingere tutte e tutti verso una mobilitazione
politica contro la guerra, in difesa dell’ambiente e per un’ equa
redistribuzione della ricchezza.
Bibliografia
* AFRICA IS A COUNTRY (blog): africasacountry.com
* Agenzia per le Onlus, Linee
Guida per la Raccolta dei Fondi, maggio 2010, p. 24
* Francesca Brunello, La
fotografia nelle attività delle Onlus, Tesi in Economia e Gestione delle
Arti e delle Attività Culturali (Università Ca’ Foscari di Venezia, Anno
Accademico 2016-2017)
* CARTA DI TREVISO in: http://www.odg.it/content/da‐oggi-°‐%C3%A8‐vigore-il-testo-unico-dei-doveri-del-giornalista
* Matt Collin, What is ‘poverty
porn’ and why does it matter for development?, in Aid Thoughts,
luglio 2009
* Pier Maria Mazzola, Marco Trovato,
Fame di spot, editoriale Africa, n. 3, 28 aprile 2015
* Deborah Small, Nicole VerroCchi, The
face of Need: Facial Emotion. Expression on Charity Advertisement, in Journal
of Marketing Research, vol. XLVI, dicembre 2009
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