Speravo di non dover arrivare a dirlo, ma la didattica a distanza sta diventando un boomerang per la Scuola.
La Scuola sta pagando la
propria resilienza
La Scuola ha dimostrato una capacità di adattamento alle circostanze che
nessuno avrebbe mai sospettato che avesse: ha fatto di necessità virtù, è
riuscita a passare dalla didattica in presenza alla didattica a distanza senza
preavviso, ha digitalizzato i processi, ha riorganizzato le aule per garantire
il distanziamento, si è attrezzata per offrire didattica digitale integrata, ha
creato percorsi a senso unico negli edifici, ha rivisto gli orari per fare
doppi turni e accogliere il 50% di studenti in presenza, li ha rivisti ancora
per fare quattro turni e accoglierne solo il 25%, ha adottato modelli di
gestione dell’emergenza sanitaria, ha gestito le quarantene e ha formato il
personale. Non ha impiegato anni,
ma settimane, per poi dimostrare addirittura di saper passare da uno
all’altro di questi complicatissimi schemi dalla sera alla mattina,
interpretando decreti e ordinanze intempestivi e spesso conflittuali. All’efficienza si è aggiunta l’efficacia,
dimostrata dalla trascurabile incidenza che i casi di contagio in ambiente
scolastico hanno avuto sull’epidemia.
Ma aver dato prova di questa straordinaria
capacità di adattamento ha fatto scendere la Scuola nella scala delle priorità.
Il 5 marzo 2020,
all’indomani del DPCM che per la prima volta vietava di andare a scuola,
scrissi un commento in cui auspicavo che la
gravità di questo provvedimento inducesse tutti alla massima prudenza. Il 15 giugno salutai con entusiasmo
la riapertura dei teatri partecipando al
primo spettacolo in assoluto di Ascanio Celestini, il 25 ottobre ne attesi la richiusura godendo fino all’ultimo
dello spettacolo di Vinicio Capossela. Il 9 novembre, quando le scuole superiori vennero chiuse dopo aver
chiuso musei, cinema, teatri e, di fatto, università, ne scrissi un altro in cui dicevo
che la cultura pagava colpe e
inefficienze non sue e che avremmo dovuto farne lo strumento per superare
l’emergenza, anziché il principale capro espiatorio delle inefficienze altrui.
Ora ci risiamo, ma tanto c’è la DaD
Si stanno di nuovo chiudendo le scuole superiori (intendiamoci,
non le scuole del primo ciclo, che servono a gestire i figli di chi
lavora) perché tanto c’è la DaD,
la didattica a distanza. E lo si sta decidendo, se va bene, con due
giorni di anticipo, perché tanto la scuola è quella di cui sopra, che ha già
dato prova di adattarsi a qualsiasi capriccio del Governo, della Regione o
dell’Amministrazione comunale di turno.
E’ chiaro che dal punto di vista epidemico i problemi della Scuola sono esterni alla Scuola. Quelli maggiori
riguardano i trasporti, sui quali, evidentemente, Governo e Regioni non sanno
intervenire perché il settore ha una resilienza molto inferiore a quella
dimostrata dalla Scuola. Altri problemi riguardano l’ordine pubblico e i
controlli dei flussi all’esterno degli edifici scolastici, sui quali
amministrazioni comunali e forze dell’ordine potrebbero intervenire, se solo la
Scuola venisse vista come una priorità. Ma così non è, perché tanto c’è la DaD.
La DaD deresponsabilizza la classe politica, i
decisori e l’opinione pubblica. Il presupposto sbagliato che la Scuola si
possa benissimo fare a distanza offre a Governo e Regioni l’alibi per disporre con leggerezza dell’apertura e della
chiusura della scuole, senza dover ammettere di trattarle come banderuole al
vento. E il vento non è quello dell’epidemia, ma quello dei trasporti,
del lavoro, del commercio, della sanità, della politica, dell’economia, dei
protagonismi, di tutti gli interessi in gioco che potrebbero risentire,
direttamente o indirettamente, della didattica in presenza alle superiori, o
della didattica a distanza nel primo ciclo.
Ma che la didattica a distanza non equivalga a
quella in presenza è talmente evidente che non si può non dubitare della buona
fede di chi afferma il contrario. La didattica online sacrifica
il ruolo sociale della Scuola, crea nuove forme di discriminazione, preclude
molte delle attività formative, esclude completamente percentuali
importantissime di popolazione studentesca, impone alle famiglie un ruolo che
non compete loro, rende impossibile l’emancipazione da contesti di disagio,
interrompe i processi di inclusione… Intendiamoci, gli strumenti di didattica
online offrono straordinarie opportunità che molti insegnanti sanno cogliere e
mettere a frutto, ma l’esperienza didattica in presenza è insostituibile e
irrinunciabile.
Per capirci pensiamo al
commercio elettronico. Se tutti i negozianti si fossero altrettanto
tempestivamente attrezzati per spostare su piattaforme online il proprio
business, diremmo con leggerezza che non c’è grande differenza tra negozi
aperti e chiusi? Chiaramente no, perché ci sono beni e servizi che non possono
essere erogati online o consegnati a domicilio, perché le città senza negozi
non sono le stesse, perché le modalità esclusivamente online creano barriere
d’accesso e per mille altre ottime ragioni.
La Scuola è adesso
Ma c’è di più, perché per ogni
ragazzo in età scolare, la Scuola è adesso. Non basteranno ristori o contributi economici a risarcire
ogni studente dei giorni di scuola che non sta vivendo.
E’ soprattutto per questa ragione che disprezzo chi fa della Scuola una banderuola al vento e della
didattica a distanza (strumento preziosissimo) un alibi per non ammettere che
la Scuola è l’ultima delle sue priorità.
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