lunedì 18 gennaio 2021

Algoritmi e diritti dei rider - Enzo Martino

Ha destato molto clamore la sentenza con la quale il Giudice del lavoro di Palermo il 24 novembre 2020 ha dichiarato la natura subordinata del rapporto di lavoro di un rider che operava sotto la direzione dell’algoritmo gestito dalla società Foodinho (meglio nota con il marchio “Glovo”).

È infatti la prima decisione del genere in Italia ed è giunta inaspettata perché la strada che giurisprudenza e legislatore avevano sinora tracciato per dare finalmente delle tutele anche ai lavoratori della GIG economy era ben diversa. Dopo alcune sentenze del tutto negative di alcuni Tribunali, la Corte d’Appello di Torino aveva operato un primo passo con la sentenza del 4 febbraio 2019 nella quale aveva ritenuto applicabile ai ciclo-fattorini di Foodora l’art. 2 del decreto legislativo n. 81/2015, che estende la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente. Questa decisione era stata poi confermata dalla Cassazione con la decisione n. 1663 del 24 gennaio 2020, anche se con una motivazione in parte differente (https://volerelaluna.it/lavoro-2/2020/02/11/i-riders-hanno-diritto-a-tutte-le-tutele-del-lavoro-subordinato-parola-di-cassazione/).

Nel frattempo, era intervenuto anche il legislatore con la legge 2 novembre 2019 n. 148, con la quale, ispirandosi anche all’impostazione adottata dai giudici, veniva ampliata la nozione di collaboratore etero organizzato, per facilitare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato anche fuori dal suo perimetro tradizionale (https://volerelaluna.it/lavoro-2/2019/11/20/i-riders-aprono-la-strada-a-nuove-tutele-dei-lavoratori/). La strada delineata era dunque quella di estendere la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni autonome organizzate dal committente, piuttosto che allargare la nozione stessa di subordinazione.

Nulla però può impedire al giudice, se ne sussistono i presupposti, di operare una diversa qualificazione del rapporto dei rider, e così ha fatto il Tribunale di Palermo dopo un’accurata analisi delle modalità di svolgimento dell’attività del lavoratore, dalla quale emergeva in modo chiarissimo che la prestazione era in tutto e per tutto diretta dal datore di lavoro, sia pure mediante un algoritmo.

La prima domanda che ci si potrebbe porre è il perché di tanto interesse: se anche ai collaboratori autonomi, ma organizzati dal committente, si applica la disciplina (tutta la disciplina, dice la Cassazione) del lavoro subordinato, dove sta la differenza? Cosa garantisce di più una sentenza come quella di Palermo rispetto alla Cassazione? La risposta è semplice e i fatti di questi giorni dimostrano la rilevanza della questione.

La norma sui collaboratori etero organizzati consente infatti ai contratti collettivi di disapplicare la normativa sul lavoro subordinato e di regolare diversamente il rapporto, cosa che invece è ovviamente impossibile per il lavoro dipendente. Così, e non tanto a sorpresa perché in molti l’avevano previsto, Assodelivery (associazione delle imprese del settore della consegna del cibo a domicilio) ed UGL (sindacato di ispirazione di destra) hanno preconfenzionato il 15 settembre 2020 un bel contratto collettivo nazionale di lavoro, con il quale si pretende di qualificare il rapporto dei rider come autonomo e si mantiene il vecchio sistema di pagamento delle prestazioni a consegna, e quindi sostanzialmente a cottimo (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2020/10/19/rider-non-ce-limite-al-peggio/).

L’accordo è stato subito stigmatizzato sotto il profilo della mancanza di rappresentatività della UGL nel settore, tanto che il Ministero del lavoro e l’Ispettorato nazionale del lavoro hanno prontamente risposto con due circolari che puntualizzano i requisiti che le intese in deroga alla legge devono possedere. A loro volta, le organizzazioni di categoria aderenti a CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto un protocollo in cui includono i rider nel CCNL trasporto merci e logistica. Ciononostante, in un quadro normativo in cui la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali non ha ancora trovato una regolamentazione a livello legislativo, contratti “pirata” (o meglio “corsari”, posto che la “lettera di corsa” viene offerta in questo caso su un piatto d’argento dallo stesso legislatore) sono difficili da contrastare sul piano giudiziario e inevitabilmente tendono a consolidarsi e a diffondersi. E infatti, puntuale come un orologio svizzero, è di questi giorni la notizia di un nuovo accordo al ribasso per i cosiddetti shopper, cioè i fattorini che recapitano la spesa a domicilio e che si trovano in una condizione affine a quella dei rider. Stavolta però a tenere il sacco all’organizzazione imprenditoriale Assogrocery è addirittura la FISASCAT, sindacato di categoria della CISL, che ha sottoscritto una intesa separata resa pubblica nei primi giorni di gennaio. L’accordo, che qualificava i lavoratori come autonomi, prevedeva il mantenimento del cottimo e legittimava un meccanismo reputazionale simile a quello dei rider (appena ritenuto peraltro discriminatorio in un provvedimento del tribunale di Bologna del 31 dicembre 2020 che ha accolto un ricorso della CGIL), è stato sonoramente bocciato dai lavoratori e quindi la trattativa è stata riaperta, ma a questo punto è chiaro che la situazione rischia di divenire fuori controllo.

Nella speranza che l’orientamento del Tribunale di Palermo si consolidi, e che ai ciclofattorini venga definitivamente riconosciuto lo status di dipendenti, è quantomai auspicabile che il legislatore, se non vuole imboccare la strada della subordinazione, intervenga almeno nuovamente per rendere maggiormente effettive e cogenti le regole fissate nella legge n. 148 del 2019 per i collaboratori autonomi etero organizzati, impedendo operazioni elusive poste in essere da soggetti di dubbia rappresentatività. In ogni caso rimane ineludibile il nodo di una legge sulla rappresentanza, da troppo tempo sul tavolo e mai andata in porto, nonostante l’accordo interconfederale del 2014 e numerosi progetti di legge fermi in Parlamento.

da qui

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