Un documento di S.I. Cobas Sanità Genova guardando allo sciopero
generale del 29 gennaio e alla manifestazione del 30
Oltre alle misure di ordine generale, a tutela degli operatori
sanitari e di tutto il personale del circuito socio-sanitario, occorrerebbe
specificare quale tipo di attività sanitaria vede gli operatori esposti a germi
e virus patogeni, in misura tipica e precipua, rispetto ad altre attività
professionali.
Negli istituti di ricerca virale si distinguono infatti fino a 4
livelli di sicurezza, che prevedono misure di profilassi elevate e ripetute.
L’ambito ospedaliero e sanitario in generale, trovandosi in mezzo a
microorganismi patogeni in tutto simili, dovrebbe prevedere conseguentemente
misure specifiche e non generiche. La prevenzione generale è del tutto mancata
nella prima fase di pandemia e solo parzialmente o in ritardo si sta attuando
nella seconda ondata.
La mortalità che ha colpito gli operatori della sanità è una
conseguenza drammatica dell’impatto del corona virus sui lavoratori ed anche un
indicatore dell’inadeguatezza dell’azione preventiva messa in campo sinora.
Gli operatori della sanità e di tutte le attività correlate alla
salute sono la prima linea (posizionamento fin troppo enfatizzato ed
eroicizzato) del contrasto all’epidemia e ciò richiede tutele straordinarie e
non semplici misure di carattere generale.
Il Protocollo per la Prevenzione e la Sicurezza del 24 aprile 2020
siglato dalle associazioni datoriali, e tra queste il padronato pubblico, si è
rivelato insufficiente per frenare l’epidemia. Di fronte al fenomeno si è
palesata tutta l’impreparazione, fino all’assenza di un vero piano anti
epidemico, una colpevole mancanza che sta emergendo ancora più evidente in
questi giorni.
Per fronteggiare la seconda ondata, nessuna lezione è stata tratta
dalla “Caporetto” avutasi con la prima. Nonostante l’uso smodato di locuzioni
belliche a mezzo stampa, l’allestimento di una “linea del Piave” non è stato
valutato con la dovuta urgenza e non si è visto alcun ravvedimento circa le
politiche di de-finanziamento della sanità pubblica, che sono all’origine della
cattiva prova data dal SSN.
Vi era l’occasione e l’urgenza per far scorrere le graduatorie
degli idonei ai concorsi e stabilizzare la vasta area di precariato, si è
preferito invece produrre altro precariato dando corso a contratti a tempo
determinato e interinali. Su 30 mila nuovi contratti nell’era Covid, la metà sono
a tempo determinato e se teniamo conto dei pensionamenti si capisce che il
tanto strombazzato investimento in personale non c’è stato. Per chi lavora in
sanità non occorre argomentare oltre perché la realtà che si vive non può
essere deformata dalle narrazioni di comodo. Dopo la glorificazione dei
sanitari c’è un altro fenomeno che viene tenuto sotto traccia: un numero
crescente di abbandoni per sfinimento. Ci si licenzia! La sindrome di burn
out è una resa incondizionata, è una dichiarazione di sconfitta senza
appello. A questa condizione di logoramento esistenziale, governo e autorità
sanitarie gettano nella mischia gli avventizi! Con la seconda ondata, si è
evidenziato lo scadimento nella qualità assistenziale a fronte di un relativo
potenziamento nella dotazione tecnologica e dei posti letto di terapia
intensiva, perché il personale ha ancora da acquisire conoscenze specifiche.
Questi interventi straordinari andavano attuati per mettere riparo
ai lunghi anni di spoliazione del SSN, interventi straordinari che sono
direttamente collegati ad una vera azione di prevenzione, anzi ne sono il
presupposto ineludibile. L’opera di prevenzione degli operatori sanitari e
della popolazione non può che partire dall’investimento in uomini e mezzi.
La qualità dell’assistenza non è una variabile indipendente dai
numeri che si mettono in campo. Se in Italia vi è un rapporto 5,6 infermieri
ogni 1.000 abitanti contro i 12,6 della Germania; se la spesa sanitaria
pubblica pro-capite dell’Italia è al di sotto della media OCSE, $ 2.545 vs $
3.038 (OCSE, 2019), quale presunta superiore qualità assistenziale può
esprimere il nostro SSN? Quale altra spiegazione al primato dell’Italia nel
numero di decessi, seconda solo al Messico?
Se l’applicazione di misure di distanziamento personale, l’uso dei
dispositivi di protezione delle vie aeree, l’igiene delle mani e l’aerazione
frequente di tutti i luoghi chiusi contro la diffusione per aerosol del virus
rappresentano la metodologia elementare di contrasto all’epidemia,
l’esposizione alla pandemia ha messo chiaramente in evidenza l’errore di
privilegiare l’ospedale ai danni dei servizi sul territorio. Solo la
sorveglianza capillare del rischio può consentire di rilevare e interrompere
tempestivamente le reti di diffusione dell’infezione.
Non basta diramare disposizioni, che spesso cadono nel vuoto.
Occorre una complessa e articolata rete di servizi: igiene pubblica,
prevenzione, salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, igiene degli alimenti,
servizi veterinari.
Il distretto è la sede naturale di sorveglianza sanitaria delle
attività intersettoriali, dei luoghi di lavoro, degli uffici, delle scuole nel
comune e nel territorio. E’ l’organizzazione di base per il controllo
territoriale dell’epidemia nei luoghi di lavoro e d’incontro, con particolare
attenzione alle scuole, agli asili, agli uffici, all’industria, al commercio e
distribuzione, alle RSA.
Tutto questo è mancato e di conseguenza la
domanda di salute, che si identifica con la prevenzione primaria, si è
scaricata sugli ospedali. Ed è per questo motivo che agli operatori sanitari
non è toccato altro che improvvisarsi nella parte degli eroi “per caso”:
impreparati allo scopo, organizzati secondo ben altri criteri e non attrezzati
al compito.
Gli ospedali, anche quelli ad alta specializzazione, non hanno
come missione la preservazione della salute, bensì la cura delle patologie.
L’omissione della prevenzione primaria territoriale ha comportato
che negli ospedali si curasse in ritardo e alla meno peggio, chi non era
stato testato, tracciato, trattato.
Il modello centrato sull’ospedale non è frutto di un errore di
valutazione, ma discende direttamente dall’aziendalizzazione del SSN, dalla
trasformazione della sanità in un campo di lucrosi investimenti di capitale, a
danno di quelle funzioni essenziali di prevenzione che richiedono risorse senza
fornire adeguati profitti. Non si è dunque trattato di un errore, ma di
un crimine che ha nelle istituzioni centrali e periferiche, non meno
che nelle aziende capitalistiche del settore sanitario, mandanti ed esecutori.
Quali misure per fronteggiare e mitigare le prossime ondate
epidemiche?
§ Le 12 ore di lavoro per i turnisti, in conseguenza dell’adozione
degli “orari europei”, in un contesto di carenza di personale che dura da 20
anni e di una età media degli operatori superiore ai 50 anni, sono una porta
spalancata alla cattiva gestione del rischio epidemico e allo scadimento di
qualità per la cura di tutte le altre patologie: in queste condizioni pensare di fermare virus e patologie
equivale a voler fermare un treno in corsa con le sole mani.
§ I riposi e le pause, e tra queste la pausa pranzo, non prevista per i turnisti, sono necessarie per ritemprare
fisico e spirito. Un lavoratore affaticato, effigiato mediaticamente nella foto
di una nostra collega crollata sulla scrivania, si presta magari bene ai
contemporanei talk show televisivi ma non a curare chi soffre, né a preservare
la capacità di cura. Un lavoratore in debito di sonno può essere dannoso a se
stesso e ai pazienti.
§ Tempo di lavoro da dedicare ad una vestizione accurata (non
affrettata). Non sempre ciò viene accordato,
perché le sollecitazioni a rispondere alle urgenze hanno di fatto sostituito i
piani di lavoro. Le pause per distaccarsi dal lavoro e togliersi I DPI per dare
sollievo alle vie respiratorie le si devono agli “eroi” come alle persone
normali.
§ La sanificazione degli ambienti comuni (spogliatoi, bagni,
tastiere ecc.) dovrebbe essere parte integrante della
prevenzione a cui dedicare tempo e personale. In molte strutture sanitarie ciò
non avviene: si è nella stessa condizione del calzolaio con le scarpe rotte e
ciò a fronte di molti magazzini e fabbriche che, sotto la pressione diretta dei
lavoratori, hanno adottato queste misure elementari.
§ Test periodici e ravvicinati nel tempo per far emergere le
positività non sintomatiche a cui dovrà seguire l’isolamento. Qualora si riscontri una positività nei reparti, gli operatori
esposti al contatto vanno isolati, in attesa del riscontro di laboratorio. Si
segnala che, a seguito dei tagli ai servizi, c’è abbondanza di spazi, a volte
interi padiglioni dismessi, in cui accogliere e tenere sotto stretta
sorveglianza la popolazione sanitaria contagiata. La presenza degli ospedali da
campo montati agli ingressi dei nosocomi è solo un patetico tentativo
propagandistico per far sentire la vicinanza dello stato e del governo: l’Expo
della fiera di Milano e la nave a Genova per accogliere i positivi sono solo
uno spreco di denaro pubblico. Cosa non viene fatto pur di non assumere in
pianta stabile medici ed infermieri!
§ Siamo contro la monetizzazione del rischio delle attività
sanitarie. Il premio serve solo a creare ( o nascondere ) condizioni di
rischio ancora più gravi. Tutte le ragioni etiche e professionali sono avverse
a questa impostazione che viaggia nella direzione opposta alla necessaria
riduzione del rischio. Per larga parte della prima fase dell’epidemia, che
tanti fra il personale medico e sanitario hanno pagato con la vita, sono
mancati i dispositivi di protezione elementari. Non porsi nelle stesse
condizioni, per l’attuale fase due e una probabile, anche se non auspicabile,
fase tre, comporta investire su condizioni di lavoro più sicure.
Al contrario, le erogazioni di salario accessorio vanno invece
riconosciute, con criteri egualitari e non discriminatori fra i
lavoratori, non in relazione al rischio, ma al disagio e
all’aggravio di fatica e di impegno che ha richiesto la necessità di
fronteggiare l’ondata di ricoveri, per di più in condizioni di assoluta
inadeguatezza.
Queste misure vanno mantenute, perfezionate, rivendicate. I tempi
veloci della produzione e del profitto sono in antitesi con i tempi della cura
che non può essere standardizzata ma deve tendere alla individualizzazione dei
soggetti. Nessuna metodica da catena di montaggio può essere trasferita
nell’assistenza delle persone .
La dimensione aziendalista del SSN è già di per sé uno scadimento
ed un indebolimento delle finalità di preservazione della vita e della salute.
L’assetto capitalistico piega alle sue brame ogni attività nobile e
progressiva. Anche la scienza e la ricerca scientifica, punto d’arrivo delle
conoscenze acquisite da tutta l’umanità nel corso della sua storia, è oggetto
di contesa e mercificazione.
Ne sono esempio i brevetti dei vaccini anti covid-19 che, anziché
essere liberalizzati per accrescere la produzione a favore di tutti, rimangono
di proprietà delle aziende, mentre assistiamo all’accaparramento delle scorte a
favore dei paesi cosiddetti “avanzati”. Il degrado della vita nelle periferie
urbane e nei paesi del sud del mondo è solo l’effetto della putrefazione di un
sistema che neanche le pandemie fanno deflettere dalla sua intima
irrazionalità. La scienza (libera) senza sbocchi di mercato ha sempre meno
albergo nel sistema capitalistico. Anche i tempi di messa a punto dei vaccini
hanno subito una accelerazione, si dice per rispondere alle urgenze e alle
morti portate dalla pandemia. La validazione scientifica è arrivata in tempi
stretti pur senza la sperimentazione accurata prevista dai protocolli. La
osservazione sugli effetti di medio e lungo periodo si perfezionerà nel corso
della profilassi. In sostituzione del principio di precauzione viene chiesto un
atto di fiducia sulla validità dei vaccini ma nel contempo si attua il
principio della “Corona”: il Re non risponde dei suoi atti. I rischi saranno a
carico dei soli sudditi. Se, come sembra, si diffonderà l’uso delle liberatorie
a favore delle case farmaceutiche e se si minaccia l’obbligatorietà per il
personale sanitario, che almeno le eventuali conseguenze infauste siano a
carico del governo e dei datori di lavoro che chiedono la firma di consenso.
L’umanità ha tratto grandissimi vantaggi dal contrasto su basi scientifiche
delle epidemie e dalla messa punto dei vaccini, ma non tutte le perplessità, le
riserve e le paure nella profilassi vaccinale possono essere etichettate come
negazionismo e superstizioni “no vax”. Da questi ci divide il mare e la
convinzione che il metodo scientifico non ha alternative. Ma sappiamo
altresì che la logica del profitto pervade ogni aspetto della vita sociale e la
scienza, con le sue applicazioni, non è certo un’isola felice. Direzione della
ricerca di base e specialistica verso i settori più redditizi, lotta di
concorrenza sul mercato fra colossi farmaceutici per assicurarsi le commesse
dei vaccini, esaltazione dei vantaggi differenziali fra un vaccino e l’altro
come strumento per prevalere sulla concorrenza, dubbia terzietà degli istituti
di controllo e autorizzazione al commercio (FDA, EMA, AIFA), rapporti opachi
fra questi e le case farmaceutiche, carattere politico delle decisioni degli
organismi internazionali (OMS) che dovrebbero avere la salvaguardia della
salute come unico fine: sono tutti elementi che non permettono di
accostarsi alla vaccinazione anti-covid con quello spirito di tranquillità e
fiducia che le istituzioni capitalistiche richiedono ai cittadini. Se è vero,
come noi crediamo, che non esistono soluzioni diverse dalla vaccinazione, va
però attivata la massima sorveglianza “dal basso”, né si deve accettare l’alternativa
ricattatoria fra cieca fiducia e superstizione reazionaria del negazionismo e
dei “no vax”.
Il SI Cobas ha proclamato per il 29 gennaio lo sciopero generale
di tutte le categorie e per il 30 una manifestazione nazionale.
Sicurezza e prevenzione si risolvono nel potenziamento della
sanità pubblica e universale. C’è tanto da recuperare e ripristinare in tal
senso, a partire dalla riduzione dell’orario di lavoro e dal potenziamento
degli organici ospedalieri e territoriali.
Su questi obbiettivi specifici i lavoratori della sanità pubblica
e privata aderiscono allo sciopero e alla manifestazione.
S.I. Cobas Sanità Genova
Genova 08/01/2021
http://www.labottegadelbarbieri.org/la-scienza-e-un-prodotto-di-tutta-lumanita-e/
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