Le incalzanti pressioni causate dalle attività umane ci avvicinano sempre più al collasso degli ecosistemi e determinano, ogni giorno, l’estinzione di migliaia e migliaia di specie viventi. Ma in parallelo si sta verificando in ogni parte del mondo anche una massiccia perdita di lingue e culture, un patrimonio di linguaggi e di saperi che avrebbero ancora molto da insegnare su come vivere in modo sostenibile sulla Terra.
1. La diversità bioculturale
Cosa vi viene in mente quando sentite parlare della “rete della vita”?
Probabilmente penserete alla biodiversità, ai milioni di specie animali e
vegetali evolutisi sulla Terra fin dalla comparsa della vita, intimamente
connessi l’uno all’altro e con gli ecosistemi in cui vivono.
Ma ora tornate a riflettere.
Per migliaia di anni, noi esseri umani siamo stati parte integrante della
natura, e ci siamo coevoluti con essa. Nel corso del tempo, persone e popoli si
sono adattati ai loro ambienti, traendo da essi il sostentamento materiale e
spirituale. Attraverso questo reciproco adattamento, le comunità umane hanno
sviluppato migliaia di culture e linguaggi differenti: modi di osservare,
conoscere, agire e parlare unici e distintivi, plasmati dalle continue e
molteplici interazioni tra gli esseri umani e il mondo naturale.
Questa, dunque, è la “vera” rete della vita: l’interdipendente diversità di
natura e cultura, o “diversità bioculturale”, come la definiamo noi di Terralingua.
La diversità bioculturale è l’espressione del vastissimo potenziale della
vita sulla Terra. È quel che infonde vitalità e resilienza a questo pianeta –
la nostra casa – e che promuove i sistemi vitali che a loro volta ci
sostentano. È un dono prezioso, che va custodito e coltivato per il futuro
della vita in ogni sua forma – noi compresi.
Eppure, noi esseri umani sperperiamo con noncuranza questo dono di
inestimabile valore. La vita negli ambienti urbani ha causato un profondo
distacco dal mondo naturale, e ha condotto alla perdita del “legame
bioculturale”. Forze globali di carattere economico, politico e sociale stanno
rapidamente compromettendo la salute degli ecosistemi e delle culture di tutto
il mondo, e stanno mettendo a tacere le voci delle tante lingue esistenti sul
nostro pianeta.
La trama stessa della vita, nelle sue manifestazioni naturali e culturali,
si sta sfaldando, lasciando il nostro mondo bioculturale sempre più fragile e
le prospettive per l’uomo e per tutte le altre specie sempre più incerte.
Si tratta di una “estinzione convergente” della diversità della vita in
ogni sua forma. Ma la vita non è qualcosa di sacrificabile: stiamo scioccamente
erodendo il terreno sotto i nostri piedi.
Presi dai nostri impegni quotidiani, è forte la tentazione di scrollarsi di
dosso il pensiero di tale preoccupante questione. Potremmo frettolosamente
convincerci che sia una realtà lontana, qualcosa che avviene in qualche luogo
remoto “là fuori”, privo di conseguenze “qui da noi”. Ma non è così. Nessuno è
immune dall’impatto della perdita della diversità bioculturale. Tutti ne siamo
coinvolti, a prescindere da chi siamo e da dove viviamo: tutti, perciò, abbiamo
la responsabilità di agire.
2. Il legame inestricabile
Sin dagli albori della storia umana, ovunque sulla Terra gli uomini hanno
vissuto a stretto contatto con il mondo naturale, interagendo con esso nella
consapevolezza che fosse la loro unica fonte di sostentamento: da qui traevano
l’aria, l’acqua, il cibo, le sostanze medicinali, il vestiario, il riparo, la
soddisfazione di tutti i bisogni materiali e il benessere fisico, psicologico e
spirituale. Grazie a questo legame vitale con l’ambiente, nel tempo ogni
comunità umana ha acquisito un’approfondita conoscenza delle piante e degli
animali che la circondavano e dei processi ecologici locali. Ogni comunità ha
sviluppato, inoltre, valori e pratiche che sottolineavano il rispetto per la
natura e la reciprocità con essa: in altri termini, attenzione e cura per
l’ambiente naturale che ci sostenta.
Questo tesoro di saperi ambientali tradizionali (Traditional
Environmental Knowledge, TEK), di valori e di pratiche è stato espresso e
trasmesso attraverso il linguaggio. Ecco in che modo lingua, cultura e ambiente
sono intimamente – secondo alcuni, inestricabilmente –
interconnessi: ovunque, gli ecosistemi locali hanno dato da vivere alle
persone; in cambio, i popoli hanno preservato il loro ambiente grazie alla
saggezza tradizionale e mediante le attività e i comportamenti radicati in
quelle culture e in quei linguaggi.
Oggi, questa connessione bioculturale è ancora forte presso i popoli che
hanno mantenuto saldi legami materiali e spirituali con il proprio ambiente,
come molte popolazioni indigene e comunità locali. Queste due realtà sono
state, finora, le principali custodi del mondo naturale. Laddove hanno avuto la
possibilità di salvaguardare gli idiomi dei propri avi e le antiche tradizioni
culturali, e dove hanno potuto mantenere il controllo sulla propria terra,
hanno agito come custodi capaci e rispettosi, proteggendo gli ecosistemi in cui
vivono e dai quali dipendono. Il futuro della diversità bioculturale globale è,
allora, strettamente collegato al futuro dei popoli indigeni e delle comunità
locali, e al destino della diversità delle loro culture e dei loro linguaggi.
I linguisti stimano che oggi, nel mondo, gli idiomi correntemente parlati
siano circa 7.000, suddivisi tra circa 5.000 o 6.000 differenti gruppi
culturali. Tuttavia, la distribuzione di questi linguaggi tra la popolazione
mondiale non è omogenea: circa metà dell’intera popolazione globale parla solo
25 lingue, ognuna delle quali animata da milioni – in alcuni casi miliardi – di
parlanti. Il resto della popolazione mondiale è suddiviso tra le restanti 6.975
lingue, gran parte delle quali è parlata da gruppi piccoli, a volte minuscoli,
costituiti soprattutto da popoli indigeni e comunità locali. Ciò significa che
la quasi totalità della diversità linguistica e culturale è rappresentata dalle
molteplici lingue e culture indigene e locali, tenute in vita da una vasta
platea di piccole comunità umane.
Proviamo ora, alla luce di questi fatti, a confrontare su scala mondiale la
distribuzione geografica della biodiversità con la distribuzione delle lingue
nel mondo (e, di conseguenza, anche delle culture). Diverse mappe elaborate
da Terralingua hanno mostrato per la prima volta come vi siano
evidenti correlazioni nei modelli di distribuzione di questi due poli di
diversità. Le zone con alta biodiversità presentano anche alti tassi di
diversità linguistica, cioè un’alta concentrazione di linguaggi diversi su uno
stesso territorio. All’opposto, in aree con livelli di biodiversità più bassi
si è riscontrata la presenza di un numero minore di linguaggi, ma diffusi in
modo più esteso. Tali modelli possono essere interpretati come un riflesso, su
scala globale, dell’interconnessione – già evidente a livello locale – tra
linguaggi, conoscenze tradizionali e ambiente, e del continuo adattamento delle
comunità umane, con i loro linguaggi e le loro culture, alle proprie nicchie
ecologiche.
3. Estinzioni convergenti
È noto che la perdita di biodiversità – la perdita dell’incredibile varietà
di specie animali e vegetali attualmente esistenti, e la riduzione del
benessere degli ecosistemi che li sostengono – costituisce un enorme problema.
I biologi ritengono che siamo nel pieno della sesta estinzione di massa della
vita sulla Terra: l’estinzione precedente fu un tragico evento che condusse
alla completa scomparsa dei dinosauri non aviani, circa 65 milioni di anni fa.
I ricercatori sottolineano, inoltre, che l’estinzione di massa attuale è la
prima ad essere interamente imputabile all’attività di una sola specie, la
nostra. Infatti, le incalzanti pressioni causate dalle attività umane ci
avvicinano sempre più al collasso degli ecosistemi e determinano, ogni giorno,
l’estinzione di migliaia e migliaia di specie viventi.
Ma quanti sanno che è in corso, parallelamente a questa, un’altra
estinzione di massa? Così come accade per le specie, si sta verificando in ogni
parte del mondo una massiccia perdita di lingue e culture. Ormai da diverse
decine di anni antropologi e linguisti lanciano segnali di allarme circa la
tragedia della scomparsa di culture e lingue già in pericolo, spazzate via
dalla corrente di un’unica cultura globale e di lingue “universali” dominanti,
come l’inglese, lo spagnolo, il cinese, l’hindi, il portoghese, il russo.
Fino a poco tempo fa, tuttavia, non vi erano informazioni precise e
sistematiche sulla portata di questa crisi. Gli studiosi facevano affidamento
su congetture, basate su sporadici resoconti apparsi in letteratura a proposito
di qualche lingua ormai sull’orlo dell’oblio dopo la morte degli ultimi
parlanti, o di qualche cultura indigena a rischio di assimilazione. Il nostro
lavoro ha, per la prima volta, fornito dati quantitativi che offrono una prova
di quanto sta realmente accadendo.
L’Indice della Diversità
Linguistica (Index of Linguistic Diversity, ILD) elaborato da Terralingua mostra
che dal 1970 la diversità linguistica globale ha subìto una riduzione del 20%,
dato misurato monitorando i cambiamenti nel numero di parlanti madrelingua di
tutte le lingue presenti nel mondo. Ciò significa che sempre più persone
abbandonano gli idiomi nativi, meno diffusi, per passare ai linguaggi
dominanti. Un numero sempre maggiore di linguaggi “minori” non viene trasmesso
e insegnato alle giovani generazioni.
I nostri dati hanno evidenziato, inoltre, un impressionante parallelismo:
la curva di riduzione della diversità linguistica rivelata dall’Indice di
Diversità Linguistica è speculare alla curva che documenta, per lo stesso arco
di tempo, la perdita della biodiversità, secondo i dati misurati dal Living Planet Index del WWF. È
un’ulteriore testimonianza del fatto che i danni subìti dalla diversità
naturale non possono essere scissi dai danni causati alla diversità culturale.
Infine, l’erosione della diversità linguistica porta con sé la perdita di
quel patrimonio di conoscenze tradizionali ambientali (TEK) che proprio nel
linguaggio viene codificato e trasmesso. Il nostro Indice della Vitalità
delle Conoscenze Tradizionali Ambientali (Vitality Index of Traditional
Environmental Knowledge, VITEK) tiene traccia delle modificazioni nella
trasmissione di queste conoscenze, compresi fattori quali i mutamenti nel
linguaggio, l’educazione formalizzata, la degradazione degli habitat e la
migrazione.
Riduzione di biodiversità, deterioramento della salute degli ecosistemi,
crisi climatica: stiamo velocemente perdendo ciò che costituisce il nostro
sistema di supporto vitale. E, per di più, stiamo anche perdendo quel prezioso
patrimonio di linguaggi e di saperi che avrebbero ancora molto da insegnare su
come vivere in modo sostenibile sulla Terra – la sola casa che abbiamo.
Via via che continuano il declino di culture e linguaggi tradizionali e la
degradazione degli ambienti naturali, il nostro “kit di sopravvivenza”
collettivo si va esaurendo.
4. Perdere diversità
Ma non è forse vero che lingue e culture sono in continua evoluzione?
Certamente, così come le specie biologiche, anche le lingue e le culture umane
non sono statiche: si modificano e si evolvono nel tempo. Ogni cultura umana è
in grado di adattarsi a circostanze nuove e di sviluppare soluzioni per nuovi
problemi. E, allo stesso modo, tutti i linguaggi umani sono capaci di evolversi
per rispondere a nuove esigenze di comunicazione e di espressione.
Così come le specie biologiche, però, lingue e culture umane necessitano di
tempo per cambiare ed evolvere autonomamente. In condizioni normali, infatti,
questo processo si realizza lentamente, attraverso le generazioni, via via che
si individuano modi innovativi per far fronte a nuove sfide e opportunità, e
modi alternativi per esprimerle.
Ma, sempre più spesso, tutto questo non si verifica. Il ritmo e la portata
del mutamento sono cresciuti in modo esponenziale, e così l’intensità delle
pressioni a cui forze economiche, politiche e sociali sottopongono l’intera
rete bioculturale della vita. Tali forze, e i mutamenti che esse impongono,
superano di gran lunga l’innata capacità dei sistemi naturali e culturali di
reagire e di adattarsi. Promuovendo uno stile di vita insostenibile, queste
forze dominanti stanno corrodendo la vitalità e la resilienza degli ecosistemi,
delle culture e delle lingue del mondo. Questo impetuoso cambiamento globale
colpisce soprattutto i popoli indigeni e le comunità locali: li priva della
loro terra, delle risorse che da essa derivano e dei loro stili di vita; li
costringe a sopravvivere in ambienti pesantemente degradati; calpesta le loro tradizioni
culturali, o impedisce loro di mantenerle; li obbliga, infine, a piegarsi
all’assimilazione linguistica e all’abbandono delle lingue dei loro avi.
La perdita della propria identità linguistica e culturale comporta spesso
la scomparsa di quegli stili di vita tradizionali attraverso i quali venivano
trasmessi la comprensione della natura e il rispetto per essa. Tale privazione
ha conseguenze profonde sia sul benessere delle popolazioni, sia sulla salute
dell’ambiente naturale. Imporre ai popoli indigeni e alle comunità locali
l’assimilazione culturale e linguistica non solo costituisce una violazione dei
diritti umani, ma, per di più, mina alla base la conservazione della natura.
La creazione di “monocolture della mente” ha il medesimo effetto delle monocolture
agricole sugli ecosistemi: rende il nostro pianeta più fragile e più
vulnerabile di fronte ai disastri naturali e alle crisi provocate dall’uomo.
Nonostante ciò, l’ideologia oggi imperante trascura tale pericolo e aspira a
un’uniformità facile da controllare piuttosto che all’unità nella diversità.
5. Perché è importante?
Le motivazioni per cui dovremmo preoccuparci della perdita della diversità
bioculturale sono molteplici ed essenziali.
In primo luogo, stiamo perdendo stili di vita, lingue e identità
appartenenti ai diversi popoli del mondo, beni che sono unici e insostituibili.
È una questione di diritti umani: ogni popolo deve avere il diritto di
scegliere il proprio percorso di sviluppo mantenendo una continuità con il
proprio passato. Come sostengono i popoli indigeni, si tratta del loro diritto
di “camminare verso il futuro seguendo le orme dei propri antenati”.
Secondariamente, la diminuzione di diversità culturale e linguistica incide
su tutta l’umanità. Stiamo perdendo il nostro patrimonio comune, e questo
riduce drasticamente la nostra comprensione di cosa significhi “essere umani” –
delle migliaia di differenti modi in cui possiamo proclamare: “Io sono umano”.
In terzo luogo, stiamo perdendo sia l’abbondante diversità biologica che sostiene
gli esseri umani e tutte le altre specie, sia il capitale di conoscenze
tradizionali che contribuisce a mantenere la biodiversità: è una questione di
sopravvivenza. In un momento di crisi, non è sufficiente tutelare il benessere
degli ecosistemi naturali, dai quali dipendiamo; dobbiamo anche ascoltare le
molte voci del pianeta e l’antica saggezza che esse ci consegnano sul vivere in
modo sostenibile sulla Terra.
In quarto luogo, infine, siamo ormai profondamente disconnessi dal mondo
naturale, e lontani da un equilibrio con esso. Non possiamo avere a cuore quel
che non conosciamo, ciò per cui non proviamo alcun legame affettivo. Più di
metà della popolazione umana vive oggi in ambienti urbani, molto spesso senza
alcun contatto con la natura e nell’ignoranza della nostra continua ed
inevitabile dipendenza da essa. Abbiamo bisogno di riscoprire la nostra
appartenenza al mondo naturale; abbiamo bisogno di riscoprire che vi sono altri
modi di essere umani, modi che sono in armonia con la natura. Abbiamo bisogno
di ascoltare gli insegnamenti delle molte voci del genere umano.
Perdere la diversità bioculturale significa indebolire il tessuto stesso
della vita – quella rete di interdipendenze che è vitale per
il nostro futuro. Significa perdere le nostre opportunità per la vita sulla
Terra. Sarebbe come perdere la propria assicurazione sulla vita proprio nel
momento in cui se ne ha maggior bisogno.
6. Cosa possiamo fare?
Noi umani siamo certamente parte del problema; ma, al tempo stesso, siamo
parte della soluzione.
Dipende tutto dal modo in cui pensiamo: a noi stessi, agli altri, al nostro
rapporto con la natura. Possiamo pensarci come separati e superiori rispetto al
mondo naturale, oppure come appartenenti ad esso, e interdipendenti. Possiamo
pensare alla diversità umana come un elemento di divisione, oppure possiamo
concentrarci sulla nostra sostanziale unità nella diversità. Possiamo pensare
alla natura come a un deposito di risorse, oppure come a ciò che dona la vita.
A volte basta un momento – un “Eureka!” – per cambiare radicalmente
prospettiva, e scoprire così un nuovo orizzonte di valori: i valori
bioculturali.
È a questo che lavoriamo noi di Terralingua: vogliamo che cambi
il nostro modo di pensare, per riuscire a riconoscere quel “legame inestricabile”
che unisce uomo e natura, a vedere la nostra comune e condivisa umanità in
ognuna delle sue forme e a comprendere l’importanza fondamentale della
diversità bioculturale per la floridità della vita sulla terra.
Coordinando idee e azioni mediante la ricerca, l’educazione, la
divulgazione e la sensibilizzazione, abbiamo contribuito a diffondere
globalmente la consapevolezza della rilevanza vitale di preservare e sostenere
la diversità nella natura e nella cultura. E lungo il nostro cammino, siamo
stati testimoni di molti momenti “Eureka!”.
Testo tratto dalle pagine del sito dell’associazione Terralingua
(https://terralingua.org/what-we-do/what-is-biocultural-diversity/)
Traduzione di Sofia Belardinelli
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