Un furgone come quello dei cibi surgelati, con la pubblicità sul fianco, trasporta il sacro graal. Con la lentezza che serve al camminare della notizia. Manca la gente a genuflettersi lungo la via.
Ci saranno
poi esponenti della nobiltà mediatica a iniettarsi la sacra sostanza in
diretta.
Il
chiacchiericcio proseguirà sugli schermi con la solita prosopopea, i soliti
insulti, la solita retorica buffoneria.
L’escluso si
porta dietro le telecamere per donare ai poveri pacchi viveri confezionati da
altri.
La politica
si esprime in ciò che le riesce meglio: la conferenza stampa.
Nei recinti
il popolo acclama, insulta, osanna, recalcitra, a seconda del copione.
Chi non
vuole sbagliarsi (ma nella vita si sbaglia 1000 volte!) sull’idea che ha della
medicina spera che muoia tanta, tanta gente, così da avere ragione. Già questo
dovrebbe sottolinearne la cattiveria dell’anima.
La medicina
sbaglierà ancora tanto, gli uomini di scienza anche nel futuro si faranno
corrompere, perché l’essere umano è corruttibile.
Ma perché
non sperare in una piccola risoluzione, una piccola interruzione delle infinite
rotture di coglioni che il potere ci riserva? Cosa ci costa sperare che per una
volta le cose vadano bene? Intendiamoci, centinaia di migliaia di persone
continueranno a morire tutti gli anni in questo paese, senza bollini rossi e
senza segnalazioni della Protezione Civile ma anche senza, si spera, quella
voglia di allarme che i giornali hanno nell’anima.
Anche se, a
dirla tutta, c’è una tendenza sotterranea, un fiume di convenienze, che
impedisce il ritorno a una parvenza di vita civile.
Il potere ha
bisogno di emergenze e quando ne trova una non la molla finché non ne
intravvede un’altra.
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