mercoledì 19 gennaio 2022

Insegnanti o promotori? - Giada Ceri

 

Insegnanti o promotori? È una delle molte domande che si pongono a chi sia uscito dalla scuola con la maturità in tasca trent’anni fa e ci rientri oggi come docente.

Allora, poniamo che la preside, per essere più esatti la dirigente scolastica di un istituto professionale di una cittadina di provincia, inviti con una circolare i docenti a promuovere le attività di quella scuola tramite i loro canali social. La dirigente in questione è prodiga di circolari, ne emana diverse ogni giorno su argomenti diversi, ma questa in particolare richiama l’attenzione:

Si invitano i docenti e tutto il personale a visualizzare, sostenere e condividere i post della nostra scuola su Facebook ed Instagram al fine di dare la massima visibilità a tutte le attività e ai progetti in cui ci impegnamo quotidianamente

firmato: Il Dirigente Scolastico

Chiuderanno un occhio i puristi sulla coniugazione dell’ultimo verbo, del resto la stessa Treccani ci informa che “a differenza delle grammatiche tradizionali, le quali prediligevano il mantenimento, nella grafia, della i morfologica, le grammatiche contemporanee sono tolleranti e ammettono entrambe le soluzioni: impegniamo/impegnamo”. E un occhio lo chiuderanno anche gli appassionati di linguaggio di genere: il dirigente è, nella realtà del caso in esame, la dirigente. Ma a parte questo io credo che gli occhi vadano tenuti bene aperti. Una circolare come quella che ho riportato pone una questione di fondo: in quale direzione sta mutando il ruolo dell’insegnante?

Non è un argomento nuovo, se ne è parlato, se ne parla e si continuerà a parlare di cos’è un insegnante in relazione a una grande quantità di argomenti di importanza ovviamente cruciale, dalle competenze all’inclusione. Allora: tutor, regista, facilitatore, mediatore… Non ce ne è per tutti i gusti, ma quasi. E oggi possiamo aggiungere: promotore. Di che cosa? Di riflessioni sulla necessità di rendere la scuola inclusiva nei fatti oltre che nelle parole (mi riferisco in particolare alla secondaria di secondo grado: istituti e licei)? di ripensare anche gli spazi fisici, architettonici, dell’insegnamento e dell’apprendimento? Di ragionare sul rapporto fra il paradigma medico e clinico-terapeutico, per dirla con Alain Goussot, e quello specificamente didattico? No. L’insegnante ha da promuovere la visibilità della scuola.

Credo che l’invito alla condivisione su canali social privati formulato in quella circolare esprima la direzione verso cui la scuola è da tempo avviata. Per fortuna o purtroppo? Non è il caso di aprire qui una querelle des anciennes et des modernes, ma io chiedo: è davvero necessario (per non dire: opportuno) che i singoli docenti privatamente visualizzino, sostengano e condividano? Non esistono già, per questo scopo, i siti istituzionali delle scuole? C’è Scuola in chiaro, per esempio, un portale pubblico disponibile ventiquattro ore su ventiquattro tutti i giorni nato nel 2011 per fornire alla collettività tutte le informazioni disponibili sulle scuole italiane di ogni ordine e grado. Lo stesso ministero dell’Istruzione lo definisce uno “strumento utile, soprattutto per le famiglie che, in occasione delle iscrizioni online, devono orientarsi nella scelta della scuola e del percorso di studi dei propri figli”. (E i figli? Sono più o meno sollevati dall’onere della scelta di qualcosa che, pure, li riguarda molto direttamente?)

Aggiungiamo che lo stesso ministero dell’Istruzione utilizza i canali social per informare i cittadini e le cittadine circa le proprie attività. Facebook, Twitter, Instagram, Telegram, Youtube, Slideshare, Flickr… Insomma, per quello che riguarda la scuola – come per molto altro: quasi tutto – la comunicazione è abbondante. Perché allora sollecitare i docenti a contribuirvi ulteriormente in forma privata? Aggravando così il problema – perché io credo che sia un problema – dell’intreccio tra la dimensione pubblica, in cui gli insegnanti (come molti altri lavoratori) svolgono la loro attività, e la dimensione privata, ormai resa irrisoria dalle varie chat di scuola e dipartimento in funzione a ogni ora del giorno fino a sera inoltrata, domeniche e festivi compresi. Si potrà obiettare che la circolare citata non contiene un obbligo, e ci mancherebbe; ma l’invito comunque arriva dal vertice ed è formulato attraverso uno strumento di comunicazione ufficiale.

Ora, io non so se anche altri dirigenti scolastici abbiano rivolto ai docenti delle loro scuole un invito simile a quello riportato all’inizio o se invece si tratti di un unicum. D’altra parte c’è sempre una prima volta; e comunque la questione si pone, va posta, nel tempo della scuola 2.0. Gli insegnanti, per esempio, che cosa ne pensano? E il ministro? Può darsi che altri non ci vedano nulla di discutibile. Può darsi addirittura che giudichino positiva, e costruttiva, una sollecitazione come questa: la scuola non deve forse posizionarsi tra i diversi soggetti, pubblici e privati, profit e no profit, che operano sul territorio? Marketing sociale non è mica una bestemmia! E poi, quando c’è qualcosa di buono da comunicare, da condividere, perché tenerselo per sé?

Io invece vedo, in una richiesta del genere, una frammistione dei ruoli, dei tempi, degli spazi, già parecchio compromessi dagli adattamenti della didattica alle distanze che la pandemia ha imposto. E poi l’insegnante è già, o quanto meno ci si aspetta che sia, un facilitatore, regista, mediatore, all’occorrenza custode (la culpa in vigilando gli pende sul capo al punto che alcuni – quanti? – si attrezzano dotandosi di un’assicurazione privata). I suoi compiti sconfinano nelle competenze che spetterebbero ad altri: lo psicologo, lo psicoterapeuta, l’assistente sociale, l’animatore (rianimatore, anche: di una presenza vitale, a volte, di interesse, di curiosità…). E adesso c’è anche questo, il compito di promuovere, diffondere, pubblicizzare. Quando? Nel proprio tempo libero, attraverso i propri canali. E chi non avesse un account Facebook o Twitter o non volesse usarlo per finalità che non siano quelle strettamente private? È ancora possibile individuare un confine tra spazio/tempo pubblico e privato? Ed è lecito pretendere che venga rispettato?

Il mondo deve conoscere i progetti ai quali ogni giorno lavoriamo, sostiene la dirigente. Il mondo deve sapere (un verbo, peraltro, che a scuola ha perso smalto e quote a tutto vantaggio del fare) e la scuola, ogni scuola, ha da sopravvivere. Ogni leader dell’apprendimento (smagliante definizione di quello che una volta si chiamava preside) deve farsi carico e provvedere alla buona salute dell’azienda che dirige, predisporre un’offerta formativa e progettare interventi adeguati ai bisogni del territorio, perché “l’autonomia scolastica consegna alle scuole un ruolo di interfaccia con il territorio dal quale proviene normalmente il suo bacino di utenza”… Il rapporto fra domanda e offerta segue leggi cui anche la scuola deve adattarsi, no? Resilienza è ormai un’altra delle parole passepartout della “buona scuola”. Che cosa c’è di male? Non è forse l’adattamento un sintomo di intelligenza e, soprattutto, l’unico modo che abbiamo, a quanto pare, per sopravvivere?

La scuola che si adatta al territorio, dunque. Il futuro che si disegna sulle esigenze del presente. L’uovo oggi anziché la gallina domani. Sperando che almeno sia fresco.

da qui

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