Da Agosto a
Novembre del 2021 era risultato piuttosto difficile far valere le richieste di
proporre protezione internazionale su navi quarantena. Nonostante diverse pec
inviate e richieste in tanti troppi sono finiti in un CPR. Come Wissem Abdel
Latif.
Continuano ad essere in funzione ben 4 navi quarantena
(la GNV Azzurra, la SNAV Adriatico, la GNV Aurelia, la nave GNV Atlas), divise
tra i porti della Sicilia. Ed a Dicembre è uscito il nuovo bando per 5 navi che
possono “accogliere” anche persone che hanno attraversato i confini terrestri.
Le navi saranno quindi spostate anche in Friuli Venezia Giulia ed in Sardegna.
SI conoscono già i nomi dei vincitori: Aurelia, Splendid, Rhapsody, Adriatico e
Moby Dada. Il costo medio si aggira intorno a oltre 3 milioni di euro al mese
per nave. Una cifra con cui si potrebbe forse ricominciare a parlare di
un’accoglienza degna su terra. Invece no.
Nel mese di Dicembre abbiamo seguito diversi casi
prevalentemente tunisini ed egiziani. Tra loro un gruppetto di tunisini che
arrivato a Pantelleria, dopo un giorno, è stato interamente trasferito al CPR
di Trapani, per una notte e poi su nave quarantena. Tra loro una donna
magrebina che è stata accolta nelle stesse stanze degli uomini dentro il CPR di
Trapani. “Non ho avuto problemi con nessuno, anzi hanno tutti cercato di
tranquillizzarmi, perché eravamo in un carcere e non sapevamo perché”. La donna
era in precedenza in Italia prima con un permesso per motivi familiari, poi per
lavoro e poi con un pse per disoccupazione. Una spirale discendente che l’ha
portata ad una situazione di irregolarità e disagio e quindi ad
un’espulsione nel suo paese. Secondo le norme vigenti a suo carico ora vi è un
reato per reingresso. Secondo noi è giustamente tornata nel Paese che in ogni
modo l’aveva relegata ai margini, imponendole un lavoro durissimo ed una
regolarizzazione pressoché impossibile. Con la nuova normativa, l’art. 19, può
battersi ora per ottenere giustizia. Sono tanti che per lo stesso reato vengono
rispediti indietro o incarcerati, senza mai riuscire a vedere nemmeno
lontanamente un soffio di giustizia.
Il CPR di Trapani Milo ha sempre avuto questa forma
ambivalente: prima cie, poi cpr, poi hotspot, poi di nuovo cpr, poi chiuso, poi
aperto come cpr ancora. In tanti cambiamenti effettivamente si può generare
della confusione.
Ci chiediamo quante volte sia accaduto questo
passaggio “d’urgenza” perché non si sapeva dove mettere le persone, poiché,
magari, le condizioni climatiche avverse non davano la possibilità alla nave di
attraccare al porto o per chissà quali altri problemi, come la mancanza di
posti in accoglienza.
L’unico elemento positivo in questo periodo di fine
anno 2021 è stato che tutti i tunisini e gli egiziani (circa 150) segnalati
hanno di fatto potuto chiedere la protezione ed essere accolti, a differenza
dei precedenti. A differenza di Wissem che ha trovato il CPR e poi è morto
legato ad un letto del reparto psichiatrico del San Camillo a Roma, il 28
dicembre. Proprio oggi avrebbe compiuto 27 anni.
Le storie si ripetono sempre uguali: sul mancato
accesso all’informativa, l’impossibilità “da soli” di fare la richiesta di
protezione.
Un giovane cittadino sempre magrebino attende sulla
nave quarantena (può presenziare in tribunale, ma l’avvocato d’ufficio gli ha
consigliato di non andare, perchè “tanto è inutile”) che gli venga convalidato
l’arresto perché anche lui è rientrato in Italia dopo un’espulsione, prima
dei 5 anni previsti. La volta precedente non era nemmeno riuscito a
presentare la domanda di protezione ed era stato accolto in un CPR e poi
espulso. Oggi è riuscito in qualche modo a presentare la richiesta, grazie agli
attivisti e forse potrà quanto meno decidere se essere presente o no in
udienza, almeno per capire cosa ne sarà del suo futuro.
Continuiamo a scrivere di navi quarantena, perché le
riteniamo un elemento aggiuntivo di supplizio in questo sistema di accoglienza
che non accoglie ma “seziona, divide ed imprigiona”, un elemento che succhia
milioni di euro senza generare meccanismi virtuosi, ma che offre continuamente
il fianco a politiche di repressione ed espulsione.
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