“La bellissima costa di Tenerife è
disseminata di baracche costruite con materiale di recupero, con gli aiuti
degli abitanti dei paesini. Servono da riparo ai nuovi arrivati, ma alcune
diventano case definitive in mancanza di meglio”. Ce lo racconta Mirca,
di “Torino per Moria“, al ritorno dal suo viaggio alle Canarie,
dove si è recata per portare sostegno ai migranti provenienti
in prevalenza da Nigeria, Guinea, Gambia, Senegal.
Arrivano a bordo delle “pateras”, barche dove si schiacciano fino a 160,
per 10 giorni di navigazione, a volte senza giubbotti di salvataggio, cibo
razionato. Chi non ce la fa, viene buttato in mare. Solo i più forti, o
fortunati, toccano terra, con il miraggio dell’Europa. Chi ha più soldi, però,
parte dal Marocco e gli sono sufficienti 4 giorni di navigazione.
Al nord, dove c’è un clima di tipo continentale, vi sono due campi profughi
gestiti dalla Croce rossa: qui ci sono circa 1000 giovani maschi. Donne e
bambini, in numero nettamente inferiore, sono alloggiati in un ex carcere della
capitale. A sud, invece, il clima è molto caldo e la massiccia presenza di
senegalesi dà l’impressione di trovarsi a Dakar.
Basta una lavagna e tanta passione per fare una scuola
Cande Alonso, chiamata non a caso “mama Cande”, raduna i migranti nella
sua parrocchia, e il sabato e la domenica, fa lezione nell’oratorio, insegnando
loro lo spagnolo. “Quando ho visto in un’aula dell’oratorio una lavagna consumata
dove non si leggeva nulla, il mio cuore di maestra ha battuto un colpo –
dice Mirca – Qui serve una lavagna! ci siamo
guardate… e la lezione dopo ecco la lavagna. Non è carità, è una
giusta ridistribuzione delle risorse! Chi ha di più deve fare la sua parte,
localmente e globalmente. La scuola è il primo bisogno dopo il
cibo”.
Come dare torto a Mirca, che nei giorni in cui è stata
alle Canarie, con i soldi raccolti a Torino, ai migranti ha
comprato di tutto, cibo, vestiti, scarpe, materiale di cancelleria e una lavagna nuova:
“In fin dei conti, per insegnare bastano la passione e una lavagna,
e anche davanti al campo profughi di Las Raices, in una landa desolata, c’è chi
insegna e chi apprende lo spagnolo”.
Accompagnare e ascoltare
Ma capita anche di doverli accompagnare dal dentista, a prendere l’aereo
per Madrid, dove finalmente avranno i documenti necessari, o in ospedale, come
è capitato con una mamma nigeriana, portata a Santa Cruz per una visita
anestesiologica – doveva, infatti, subire un piccolo intervento chirurgico. E
qui si è capito ancora meglio quanto sia fondamentale il ruolo del mediatore
culturale: vuoi a causa del bambino lasciato al campo tra le lacrime, vuoi per
la difficoltà nel comunicare col personale medico, la donna aveva preso un
calmante, dovendo poi per questo rimandare l’operazione.
Mirca ha visto alle Canarie una buona rete di
volontariato sia locale che internazionale: “Per fortuna esistono dei movimenti
di base che si occupano dei migranti e procurano loro cibo,
vestiti e accompagnamento per richiesta documenti. I volontari hanno grande
motivazione e preparazione”.
“L’indifferenza è un problema sociale”
L’argentino Davide, studioso del fenomeno migratorio, ad esempio, fa notare
come in un anno alle Canarie siano arrivati 15 milioni di turisti, contro
23.000 migranti. Se non si riesce ad accoglierli come
meriterebbero, evidentemente c’è un buco nel sistema dell’accoglienza,
l’indifferenza è un problema sociale. “L’immigrazione non è illegale, ma è resa
illegale”, afferma Davide.
La forza del volontariato locale, secondo lui, dipende dal fatto che nel 1948,
in seguito a una grave crisi economica, molti “canarios” emigrarono in
Venezuela; dal 2015 alcuni nuclei stanno rientrando e, memori della vecchia
condizione, dimostrano attenzione e sensibilità verso gli immigrati.
Mari, Carmen e le cocineras
Molto bella, tra le tante, la storia di Mari e Carmen.
Nel marzo 2021 una decina di migranti uscirono dal campo di
Las Raices e fecero un presidio permanente davanti al cancello, in segno di
protesta contro le condizioni di sanità, igiene e alimentazione. Le due
tranquille signore si consultarono con altre amiche e decisero di preparare la
comida, il cibo, per i migranti in lotta che restando fuori
dal campo perdevano il diritto ai pasti.
Il gruppo delle cocineras, insieme ad altri giovani volontari,
coinvolse tutto il paese e arrivò a preparare decine di pasti due volte al
giorno per 5 mesi, finché la situazione del campo migliorò e molti migranti furono
trasferiti nella Spagna continentale, su loro richiesta.
“Mari e Carmen ci hanno raccontato ogni cosa
ridendo; sono due donne, una psicologa e una maestra, che hanno lottato tutta
la vita nel sindacato e nei comitati di quartiere – afferma Mirca –
In questo momento si occupano delle vittime del vulcano a Gran Canaria. La loro
energia è contagiosa, non faccio fatica a immaginarle con i pentoloni su per i
boschi e penso che ad ogni età la lotta paga”. La “ruta Canaria”,
infatti, non si discosta molto dalle altre rotte: persone che fuggono
incontrano persone che accolgono, e ogni distanza diventa superabile.
Nessun commento:
Posta un commento