Per rispondere alla Belt and Road Initiative messa in campo anni fa da Pechino, ora anche Washington e Bruxelles annunciano iniziative per aiutare i paesi in via di sviluppo a ammodernare le infrastrutture, anche di adattamento climatico. Ma non sono chiari progetti e fondi effettivamente impegnati
Oltre la BRI
Da quando Joe Biden è stato eletto presidente degli Stati Uniti, la sua
ossessione anticinese non ha conosciuto respiro e si sta trascinando dietro,
sia pure con qualche borbottio, anche i paesi dell’UE.
Vogliamo in queste note esaminare un poco da vicino in particolare una
delle più significative iniziative che vanno nel senso citato, quella messa in
campo di recente per contrastare in qualche modo la nuova Via della seta
cinese.
La Belt and Road Initiative, varata diversi anni fa dalla Cina
ha presentato, come tutte le costruzioni umane, certamente dei problemi,
fortemente amplificati nelle dichiarazioni dei governi e negli articoli della
stampa occidentali, ma complessivamente è stata un successo di rilevanti
dimensioni ed è stata accolta molto positivamente da decine di governi dei
paesi in via di sviluppo ed anche da qualche paese a medio reddito.
Tra l’altro, per dimensioni e ambizioni ha superato di molto il piano
Marshall e attualmente almeno 100 miliardi di dollari sono stanziati dal governo
cinese ogni anno per le iniziative relative. Molti sottolineano anche la
rapidità dei tempi di esecuzione dei vari progetti.
Per quanto riguarda le criticità di tale iniziativa, in Occidente si parla,
con maggiore o minore convinzione, di una “trappola dell’indebitamento”
prodotta dai finanziamenti cinesi, di elevati livelli di corruzione, di
progetti inutili e opachi, che vanno a vantaggio solo della Cina, di scarso
impiego della manodopera locale, di disprezzo delle norme ambientali, di
creazione di una dipendenza politica verso il paese asiatico.
Il successo del progetto è comprovato, paradossalmente, dalle
iniziative occidentali che si stanno mettendo in campo per cercare di
contrastarlo.
L’iniziativa statunitense
Così, in occasione del summit del G-7 di giugno il presidente Biden,
d’accordo con gli altri partner del G-7, ha lanciato l’iniziativa Build
Back Better World, o B3W, con l’obiettivo di creare una
partnership per le infrastrutture di alto livello, rispettosa dei diritti
umani, sostenibile e trasparente, almeno secondo le sue dichiarazioni, per
finanziare progetti nei paesi in via di sviluppo (Widakuswara, 2021). Al
progetto americano hanno presto fatto seguito, come copie più o meno conformi,
la Clean Green Initiative della Gran Bretagna, la Global
Gateway dell’Unione Europea, la Clean Green Action giapponese.
Certamente ci sarebbe un grande bisogno dell’avvio di molti progetti
infrastrutturali nei paesi in via di sviluppo e la cinese BRI altrettanto
certamente non esaurisce la fame di interventi anche di grandi dimensioni in
tali paesi.
Nelle dichiarazioni di Biden le risorse in teoria molto elevate messe in
campo dagli Stati Uniti dovrebbero finanziare in via prioritaria la lotta
contro i cambiamenti climatici e incentivare uno sviluppo economico
verde. Più in generale, sono state poste in prima linea quattro parole
d’ordine: clima, sanità, tecnologie digitali, eguale trattamento per le
donne.
E così, funzionari delle varie agenzie governative Usa stanno già girando
il mondo per individuare i primi progetti da far partire.
Non è chiaro quante risorse saranno realmente messe in campo, mancano le
informazioni sui tempi di svolgimento del progetto, non si ha idea di quanto i
vari paesi interessati vorranno cooperare e in ogni caso il Congresso Usa non
sembra entusiasta all’idea e non sembra pronto ad approvarla. Quindi si spera
molto, per far decollare l’iniziativa, nell’intervento di capitali privati.
Bisogna ricordare che gli Stati Uniti hanno da tempo in campo la International
Development Finance Corporation, che supporta investimenti privati per
progetti infrastrutturali in giro per il mondo e che ha attualmente in
svolgimento lavori per 2,5 miliardi di dollari. Ma gli investimenti sono legati
al fatto che i vari paesi sottoscrivano l’accordo detto “di Abramo”, che
comporta il riconoscimento di Israele. In ogni caso dovrebbero essere
mobilitate anche tutte le altre varie agenzie Usa: Usaid a Exim,
alla Millennium Challenge Corporation e così via.
L’iniziativa dell’UE
Con un poco di ritardo rispetto agli Usa, da fine novembre si conosce la
risposta dell’UE. Bruxelles mette in campo il Global Gateway Plan.
Con tale piano si prevede di investire 300 miliardi di euro entro il 2027; le
risorse proverrebbero direttamente dalla stessa UE, dagli Stati membri, dalle
istituzioni finanziarie europee e dalle banche di sviluppo nazionali. Il
progetto prevede poi, come nel caso degli Stati Uniti, di mobilitare le risorse
e il know-how del settore privato.
Nella sostanza lo schema ricalca nelle grandi linee gli obiettivi e i
principi di quello statunitense. Avrebbe però un orizzonte apparentemente più
ampio e privilegerebbe il digitale, la sanità, il clima, l’energia, i
trasporti, l’educazione, la ricerca (Fleming, 2021).
Questa iniziativa, come del resto quella americana, si dovrà giudicare
soprattutto sulla base di alcuni criteri: sarà abbastanza consistente come
dimensioni per rivaleggiare con i cinesi? Supporterà semplicemente i vari
progetti o cercherà di introdurre regole per spingere i vari paesi interessati
dalle iniziative ad una più stretta integrazione con l’UE ed ai suoi standard
in materia di privacy, di regole di concorrenza, di limitazioni all’intervento
dello Stato, agli standard di trasporto? Lo schema offrirà un’integrazione di tali
paesi nelle catene di fornitura? (Sandbu, 2021).
La risposta cinese
La risposta cinese alle iniziative occidentali sopra citate non si è fatta
attendere. Si è configurata con l’apertura di due fronti distinti; con il primo
si mettono in rilievo i problemi e le debolezze dell’offerta occidentale, con
l’altro si avanza la proposta di lavorare insieme.
Su questo secondo fronte, il ministro degli Esteri cinese ha dichiarato ai
primi di dicembre che il suo paese dà in linea di principio il benvenuto a tutte
le iniziative che possono aiutare i paesi in via di sviluppo a sviluppare le
loro economie, ma che, per altro verso, la Cina e l’UE possono mettersi
d’accordo per aiutare insieme il mondo ad arrivare ad un migliore sviluppo,
avviando e portando avanti una complementarietà tra i due progetti; egli
si dichiara invece contrario al mettere le due iniziative una contro
l’altra (Global Times, 2021, a).
D’altro canto, la Cina sottolinea che l’UE ha messo troppi calcoli politici
nella sua iniziativa e che, come appare dai documenti, si tratta di uno
strumento politico per promuovere un’ideologia e per aumentare l’influenza sui
vari paesi, mentre mancano i piani di implementazione. Si tratta, a detta dei
cinesi, di un vecchio vizio correlato agli aiuti europei verso i paesi in via
di sviluppo, quello di inserire delle condizioni politiche agli stessi. Ora,
sempre per il paese asiatico, l’aiuto politicamente orientato non riesce a
promuovere lo sviluppo economico locale, mentre manda a pezzi la politica e la
società locali. Si tratta in conclusione di un progetto piuttosto predatorio
che non assiste lo sviluppo locale (Global Times, 2021, b).
Sempre per i cinesi, il progetto statunitense, ancora di più di quello
europeo, non appare finanziariamente fattibile. Il governo Usa sta in questi
mesi lottando duramente per far passare i progetti di spesa dedicati alle
infrastrutture interne, figuriamoci se riuscirà a fare approvare gli enormi
stanziamenti promessi per l’iniziativa. E, in ogni caso, si aggiunge, quando i
repubblicani riprenderanno il controllo delle Camere e magari della Presidenza,
che ne sarà del progetto? (Global Times staff reporters, 2021).
Conclusioni
Nei paesi in via di sviluppo le necessità di risorse finanziarie per varare
progetti infrastrutturali di tipo tradizionale (ponti, strade, ferrovie, ecc.)
e più innovative (digitalizzazione, riduzione impatto ambientale, economia
verde, ecc.) sono certamente immense, ma, quanto a fabbisogni, anche i paesi
ricchi non scherzano.
Da questo punto di vista le nuove iniziative occidentali annunciate, che
sembrano mirare più che altro a contrastare le iniziative cinesi nel settore,
non possono che essere le benvenute. Resta da vedere la serietà degli impegni,
il livello delle risorse messe effettivamente a disposizione, le condizioni
politiche cui saranno eventualmente collegate. Solo i prossimi anni
risponderanno a tali domande.
La richiesta cinese di trovare collegamenti e integrazioni tra le varie
iniziative sembra molto ragionevole, anche se difficilmente i paesi occidentali
vi aderiranno, stando almeno alle loro intenzioni apparenti.
Testi citati nell’articolo
-Fleming S., EU plans euros 300bn global
infrastructure spend to rival China, www.ft.com, 29 novembre 2021
-Global Times, China, EU can forge
complementarity in infrastructure connectivity: spokeperson, www.globaltimes.cn, 2 dicembre 2021
-Global Times voice; EU’s 300 bln euro
plan doomed to fail competing with BRI, www.globaltimes.cn, 1 dicembre 2021
-Global Times staff reporters, US’ B3W
infrastructure projects financially unfeasible, bound to fail :
experts, www.globaltimes.cn, 10 novembre 2021
-Sandbu M., Clear ambition is required
if Europe is to rival China’s Belt and Road, www.ft.com, 5 dicembre 2021
-Widakuswara P., « Build Back
Better World » : Biden’s counter to China’s belt and Road, www.voanews.com, 4 novembre 2021
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