Una narrazione incentrata sull’umanità dei protagonisti,
gente comune spinta soltanto dalla voglia di aiutare lo “straniero” – e in
quanto tale “diverso” e per alcuni un vero e proprio nemico – che grazie a
questa contaminazione si è di fatto avventurata su un percorso di cambiamento e
di scoperta di nuovi scenari nella propria vita.
Uscito un minuto prima della
pandemia, ad inizio 2020, Ubuntu è rimasto in un cassetto per alcuni mesi,
finché l’incontro con Pressenza ha permesso di farlo conoscere a un pubblico
ben più vasto di quello della comunità locale interessata dagli eventi.
Il 16 agosto è stato infatti
trasmesso da Tv 2000, che successivamente lo ha diffuso anche attraverso
il proprio canale YouTube,
e da quel momento è iniziata una collaborazione tra gli autori (Matteo
Morandini, Giacomo Amalfitano e Daniele Palmi), l’ideatore del Laboratorio
aperto di cittadinanza attiva di Poggio alla Croce, Andreas Formiconi, e Pressenza, che ha portato alla
sottotitolazione del documentario nelle principali lingue del mondo per
facilitarne una sua più ampia diffusione a livello internazionale.
Un vero lavoro di squadra realizzato
grazie al servizio web Amara, un laboratorio di sottotitolazione
collaborativa che ha già permesso di pubblicare, nella sezione dedicata
ai documentari di Pressenza e
sul canale YouTube dedicato al documentario Ubuntu. Io sono perché noi siamo le versioni
sottotitolate in inglese, francese, spagnolo e naturalmente in italiano.
Uno degli obiettivi che ci siamo
dati fin dall’inizio è stato quello di raccontare una storia che, narrando di
vicende locali, contenesse un messaggio universale. Il punto di partenza è
stato il concetto di “ubuntu”, filosofia africana efficacemente spiegata da
Nelson Mandela: “il senso profondo dell’essere umani solo attraverso
l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro
e alla realizzazione degli altri”.
In questa vicenda “ubuntu” si è
manifestato in maniera palese, tanto che poi è venuto spontaneo utilizzarlo
come titolo del documentario. Lo abbiamo ritrovato in una doppia valenza:
quella riferita al sistema operativo dell’universo Linux, che ha permesso di
rigenerare i vecchi computer buttati dagli abitanti di Poggio alla Croce per
farne strumenti didattici a disposizione dei migranti; quella metaforica,
riferita ad una comunità locale rigenerata, a livello collettivo e personale,
dall’arrivo dei migranti.
La sfida è stata proprio quella di
raccontare come la presenza dei migranti in una comunità abbia dato il via ad
una serie di eventi che hanno tirato fuori il meglio (ma anche il peggio) dalle
persone. E di mostrare come in queste situazioni spesso i “deboli“ siamo noi,
con le nostre paure, con le nostre barriere, con la pancia che soverchia il
cuore. Per alcuni c’è stato un percorso di grande cambiamento e di scoperta di
nuovi scenari nella propria vita, un percorso vero di rigenerazione umana.
La sensibilità di Pressenza per
questi temi e l’interesse mostrato per la nostra storia ha permesso di dare ad
“Ubuntu. Io sono perché noi siamo” la visibilità che, crediamo, meriti.
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