(intervista a Gianfranco Schiavone, di Andrea De Lotto)
Due giorni fa è stato presentato il nuovo rapporto della rete Rivolti ai
Balcani sul nuovo campo di confinamento di Lipa (Bosnia):cogliamo l’occasione
per parlarne direttamente con Gianfranco Schiavone, studioso delle migrazioni
internazionali, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà.
Caro Gianfranco, ci eravamo sentiti esattamente un anno fa, ma sembra passato
molto di più. Che cosa è successo nel frattempo rispetto ai respingimenti che
denunciavamo allora?
Dopo parecchie denunce la verità è emersa e finalmente si è appurato che le
riammissioni informali sono illegali. Lo stesso Ministero dell’Interno ha
ammesso, rispondendo ad un’interrogazione del deputato Riccardo Magi
nell’ottobre di quest’anno, sempre con un linguaggio molto asettico e
burocratico, che la normativa esclude la possibilità di procedere alla
riammissione verso un altro Paese UE dei richiedenti asilo. La vicenda è
sconcertante perché se prendiamo due risposte del medesimo Ministero, date tra
l’altro allo stesso deputato, a distanza di poco più di un anno, con la
medesima carta intestata, dicono, a legislazione invariata, due cose
esattamente opposte: 20 Luglio 2020: “Le riammissioni dei richiedenti asilo si
possono fare e le facciamo…”, Ottobre 2021: “Non si possono fare…” In un Paese
serio la notizia avrebbe fatto dello scalpore, ci sarebbe stato un dibattito
pubblico, invece NULLA. Quale credibilità ha lo Stato italiano di fronte ai
cittadini? Possibile che di fronte a questa figuraccia non vi siano conseguenze
politiche e forse anche giudiziarie? Nessuna parola e soprattutto nessuna
giustizia per le oltre mille persone che sono state respinte illegalmente. In
Italia non succede niente, tutti rimangono al loro posto. Anche la conclusione
di questa vicenda si inserisce nel più grande e rimosso problema che
caratterizza da sempre la nostra vita repubblicana ovvero l’inesistenza di
processi di rielaborazione culturale e sociale attraverso i quali la società
può evolvere. L’impossibilità di attivare tali processi compromette
l’evoluzione della sempre gracile democrazia italiana.
Almeno quelle riammissioni non stanno avvenendo più…
Già a seguito della nota ordinanza a del tribunale di Roma del 18 gennaio
2021, che ha riconosciuto l’illegittimità delle riammissioni informali, le
stesse sono state sospese. Ma da gennaio ad ottobre così veniva dichiarato da
politici e funzionari, in particolare dall’ex direttore centrale della polizia
di frontiera, Bontempi: “E’ vero, le riammissioni sono state “sospese”, ma sono
legali e le potremo riprendere quando vogliamo”. Solo nell’Ottobre del 2021 lo
stesso Ministero dell’Interno, in silenzio, e nell’indifferenza dei mezzi di
informazione, riconosce, come abbiamo detto in premessa, che le riammissioni
non si possono fare. Questa vicenda rende evidente il livello veramente minimo
di credibilità in cui versano le istituzioni centrali dello Stato; un fatto che
a ben guardare è ben conosciuto dai cittadini che ragionevolmente si comportano
di conseguenza.
Il vostro territorio sarà almeno meno militarizzato?
No, lo è comunque, esattamente come prima e non si capisce cosa facciano
ancora le centinaia di militari che continuano a presidiare la zona della
frontiera. La sensazione è che si debba mantenere alto l’effetto scenografico e
propagandistico. Il game non è affatto cambiato: solo l’ultimo
tratto, dall’Italia non si viene respinti, ma nella parte precedente continua
la violenza di sempre. Anzi, i rapporti internazionali evidenziano come i I
respingimenti dalla Croazia alla Bosnia si sono intensificati, come se il venir
meno di uno dei tre partner (Italia, Slovenia, Croazia), di quel torbido
sodalizio che aveva reso possibile la catena dei respingimenti illegali,
costringesse l’altro partner a fare un lavoro maggiore per ottenere l’effetto
politico che le riammissioni intendevano e intendono conseguire; impedire o
almeno rallentare a prezzo di inaudite sofferenze, e di morti, l’accesso dei
rifugiati al territorio dell’Unione Europea.
Poche settimane fa è stato inaugurato, in pompa magna e con grande
soddisfazione da parte delle istituzioni europee che lo hanno finanziato,
questo nuovo campo “modello” a Lipa. Prova a immaginartelo tra due anni.
Tra un paio d’anni quei container, quelle baracche, saranno tutte rotte,
saranno forse meglio di una tenda, come nel campo precedente, ma anche
l’aspetto materiale, che oggi viene decantato come una buona soluzione, non
reggerà al trascorrere di un tempo anche breve e il luogo sarà un luogo di
degrado e di abbandono. ll campo di Lipa, ubicato a 800 metri di altitudine e a
25 km dal centro abitato più vicino, è presentato come necessario per gestire
un’emergenza, senza però che via sia alcuna emergenza. I numeri dei rifugiati
in fuga in Bosnia sono bassi e consentirebbero un’accoglienza normale, con la
costruzione di luoghi idonei che magari rimarrebbero un giorno alla popolazione
locale. Il campo di Lipa non rimarrà a nessuno, non è utilizzabile per usi
diversi ma solo per le medesime finalità di confinamento delle persone o peggio
ancora, magari diventerà una struttura di detenzione. Per descrivere luoghi
come Lipa le parole sembrano non avere alcun senso: accoglienza? Confinamento?
Detenzione? Le tre cose insieme? Quella struttura può avere funzioni
interscambiabili, ma tutte di compressione dei diritti e delle libertà delle
persone. Quello che mi colpisce di più è la disonestà intellettuale di chi a
vario titolo presenta il campo di confinamento di Lipa e altre strutture
analoghe come una soluzione possibile, e l’Unione Europea che le finanzia.
Perchè dunque Lipa? Per realizzare un luogo dove segregare i rifugiati
limitando in modo quasi assoluto la loro libertà senza bisogno di alcuna norma
su cui basarne una limitazione “legale”, che sarebbe difficile da votare e
ancor di più da difendere sotto il profilo della sua legittimità e conformità
con le normative internazionali e con la Convenzione Europea dei diritti
dell’Uomo, ratificata anche dalla Bosnia. Nei campi di confinamento come Lipa
la libertà, come il diritto dell’individuo ad una vita privata di relazioni sociali
sono di fatto negate, raggiungendo l’obiettivo che si voleva conseguire senza
fastidiosi problemi legali. C’è un’unica libertà di movimento che i rifugiati
possono esercitare stando a Lipa, quella di tentare il game.
Vi sembra che ci sia dietro un piano, una ragione (altra da quella
dichiarata) nel fare tutto ciò, o è un puro spreco di denaro pubblico?
Probabilmente è un mix di tutto ciò. L’esperienza mi ha dimostrato che c’è
tanta incompetenza, sciatteria e indifferenza rispetto alla vita delle persone;
ma sarebbe troppo ingenuo pensare che non ci siano anche delle “scelte volute”,
perché quello che vediamo in Bosnia lo vediamo anche in altre parti d’Europa:
creare campi dove confinare delle persone a tempo indefinito, persone di cui
“non sappiamo cosa fare”. Non vogliamo che queste persone entrino nell’Unione
Europea, non sappiamo dove metterle, non riusciamo a rimandarle indietro,
quindi creiamo delle situazioni particolari, dei “non luoghi” dove collocare
temporaneamente delle persone che vorremmo che non esistessero, ma, ahinoi,
esistono. Per loro non abbiamo nessuna proposta e nessun progetto, possiamo
solo confinarle da qualche parte.
Come arriveranno in questo centro dal momento che è così sperduto, e non è
lungo una linea di comunicazione, lungo un tragitto o una ferrovia?
Vengono e verranno deportate da insediamenti informali o da altri campi che
magari chiudono nel frattempo, da lì usciranno a piedi per riprovare il game,
non vedo altre alternative. Eppure la maggior parte delle persone che sono oggi
a Lipa sono afghane, che avrebbero tutto il diritto di chiedere asilo in
Europa, eppure… Questo diritto è negato, queste persone vengono respinte con
violenza e tornano a Lipa, un campo gestito, finanziato e pianificato dalla
stessa Unione Europea che, attraverso un suo Stato, la Croazia, li respinge.
Tutti,a partire da chi gestisce i campi, che pure dovrebbe svolgere compiti di
protezione dei diritti umani, sa degli abusi sulle frontiere, non fosse’altro
che in ragione del fatto che ogni giorno vede rientrare le persone ferite,
violentate, derubate di tutto. Ma si fa finta di nulla. La situazione è
paradossale, perché l’intero sistema di violenza avviene dentro l’Europa, non
fuori di essa. Noi siamo gli attori, sia di qua che di là, del game, con
i respingimenti e con la costruzione dei campi. L’ipocrisia ha raggiunto
livelli così sofiscati da divenire difficile da comprendere: se non si ha la
forza di calarsi a fondo dentro queste dinamiche non si coglie il male che si
nasconde nella banalità delle scelte di allestire e gestire luoghi come Lipa.
Tu ci sei stato?
Si, pochi giorni prima della sua apertura. Chi non sapesse che cosa è il
campo e lo vedesse credo penserebbe che si tratta di un campo di internamento,
di un carcere, o comunque di un altro luogo spettrale. l’inaccessibilità del
luogo lo rende totalmente invisibile, come se fosse sulla luna. Per
raggiungerlo bisogna fare gli ultimi chilometri lungo una strada sterrata fatta
apposta per arrivare solo lì. Nessuno che non voglia andare proprio lì lo vedrà
mai, neppure per sbaglio.
C’è continuità tra quello che sta avvenendo e la guerra che vi fu in
Jugoslavia, o sono due storie diverse?
La guerra non è mai passata del tutto in Bosnia e quindi qualsiasi
situazione sociale, economica, politica, culturale, va sempre letta alla luce
degli esiti di quel conflitto, che non è mai stato rielaborato. La Bosnia è
tuttora una sorta di “non stato”, un protettorato, tenuto insieme nelle sue
entità ancora profondamente divise. Quel conflitto quindi c’entra, ma credo che
le responsabilità maggiori siano comunque dell’Unione Europea. L’UE sa che la
Bosnia non è in grado di gestire neppure un numero piccolo di rifugiati, perché
è un Paese che non ha nulla da offrire loro in termini di integrazione sociale.
È un Paese con equilibri precari, un’economia fragilissima, disoccupazione alle
stelle. La stessa Bosnia è un Paese di grande emigrazione ed è quindi quasi
svuotato. Nessuno degli immigrati che arrivano in Bosnia chiederà di rimanervi,
è quindi un “non luogo” dove chi arriva non ha alcuna condizione giuridica,
dove non ha senso fare una domanda di asilo la cui presentazione viene infatti
ostacolata in ogni modo. Dalla BIH le persone lse ne andranno, sappiamo come e
con quali rischi. E il gioco, folle, continua.
Potremmo realizzare senza quasi neppure accorgercene, tanto bassi sono i
numeri complessivi dei rifugiati presenti in BIH, dei programmi di
reinsedimento e di ingresso protetto verso la UE, ma non vogliamo farlo perché
siamo terrorizzati dall’idea di produrre un effetto richiamo. I costi e le
sofferenze che uomini, donne e bambini (anche non accompagnati) devono
affrontrare sono il semplice risultato dell’ossessione europea verso il pull
factor, il fatto che siano “invogliati” o “disincentivati” a venire. Questa
immensa sofferenza è cinicamente finalizzata solo alla deterrenza, non ha altra
finalità.
Invitiamo tutti e tutte a leggere direttamente e gratuitamente il dossier.
Ma chiediamo anche, se possibile, di sostenere economicamente i progetti della
rete Rivolti ai Balcani che agisce secondo modalità del tutto innovative; la
rete infatti non realizza direttamente progetti in proprio ma seleziona e
sostiene (e ovviamente poi monitora l’attuazione) i più significativi progetti
che nascono dalle realtà della società civile bosniaca aiutando così i
rifugiati ma facendo crescere nello stesso tempo la tenuta democratica della
difficile BIH. Trovate tutte le informazioni sul sito: https://www.rivoltiaibalcani.org.
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