mercoledì 19 gennaio 2022

“Sono peggio tutti e due” - Tomaso Montanari

 

Ma per il Quirinale è peggio Berlusconi o peggio Draghi? Una domanda che mi ricorda i giochini delle elementari: preferiresti tagliarti un braccio o una gamba? Più seriamente, per usare una celebre frase di Herzen, «sono peggio tutti e due».

Non c’è bisogno di argomentare molto sul primo: dai rapporti con la mafia all’appartenenza alla loggia eversiva e golpista della P2, dalla condanna per frode fiscale alla corruzione come strumento politico all’occupazione dello Stato, dall’odio per la magistratura (anzi, per la giustizia) a un maschilismo predatorio e osceno. B. è il Caimano, e tutto il mondo lo conosce per quello che è – nonostante la bolla di un Parlamento di nominati alla canna del gas possa provare a dimenticarsi di tutto questo. Eppure, se davvero succedesse l’enormità di una sua elezione a presidente della Repubblica (eventualità che sarebbe suicida ritenere infondata), credo che una reazione ci sarebbe: nel Paese e fuori. In molti ci rifiuteremmo di appenderne il ritratto negli uffici pubblici, si moltiplicherebbero le manifestazioni, e la montagna di melma che lo insegue da una vita finirebbe per provocarne le dimissioni. Uno scenario comunque da incubo.

Ma la soluzione a questa apocalissi costituzionale non può essere Mario Draghi. Per due ordini di ragioni.

Innanzitutto, per quelle che hanno a che fare con il collasso, formale e sostanziale, del sommo organo di garanzia costituzionale nell’esecutivo. Un presidenzialismo di fatto che stroncherebbe ciò che rimane dell’equilibrio dei poteri di una Repubblica già non più parlamentare. Come ha spiegato su questo stesso sito Francesco Pallante (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/12/31/perche-draghi-non-puo-andare-al-quirinale/), «anche solo l’ipotesi di un Draghi al comando diretto del Quirinale e indiretto di Palazzo Chigi equivarrebbe allo scardinamento della Costituzione vigente».

E poi perché se B. rappresenta l’anticostituzione fatta persona, D. rappresenta l’anticostituzione fatta ideologia. Nell’estate del 2011 la lettera del presidente della BCE Trichet e dell’allora governatore della Banca d’Italia Draghi sancì di fatto la fine dell’ultimo governo Berlusconi, aprendo la porta a un altro Mario “tecnico”: Monti. In quella lettera si chiedeva al governo di smantellare ciò che rimaneva ancora in piedi del progetto politico della Costituzione: privatizzazioni selvagge di beni e servizi pubblici («È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala»); dominio dell’impresa sui lavoratori attraverso la parcellizzazione dei contratti (non più nazionali) e una sistematica precarizzazione («C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione»), licenziamento più facile («Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi») e sterilizzazione di ogni politica sociale attraverso l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione («Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio»). Era il binario su cui sarebbe stata istradata la politica dei dieci anni successivi: quelli che hanno consegnato alla pandemia un’Italia mostruosamente diseguale, ingiusta, povera. Ma, dicono i sacerdoti della propaganda, ora Draghi è diverso: «è il momento di dare», ha detto lui stesso bocciando la timidissima tassa di successione proposta da Enrico Letta. Ma dare a chi? Non certo a chi ne ha bisogno, come dimostra la sua “riforma” fiscale, ispirata al cosiddetto “principio di san Matteo”, per cui a chi ha sarà dato, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. Del resto, il bilancio pluriennale dello Stato presentato da Draghi prevede per il 2024 una discesa della spesa in sanità, che sarà ancora meno finanziata di quanto già non lo fosse alla vigilia della pandemia (si prevede un 6,3% del PIL contro il 6,5% del 2019!): non ne siamo usciti migliori, ne siamo usciti sotto il tallone dei Migliori.

Nonostante l’evidenza di tutto questo, l’elezione di D. alla presidenza della Repubblica non comporterebbe un’ondata di sdegno, ma anzi la sua completa santificazione e il definitivo tradimento della Costituzione. Non illudiamoci: proprio come le malattie nascoste non sono meno letali di quelle palesi, le conseguenze dell’arrivo di D. al Quirinale non sarebbero meno letali di quelle dell’arrivo di B.

da qui

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