“La folla, per definizione, cerca l’azione, ma non può agire sulle cause
naturali. Cerca dunque una causa accessibile che sazi la sua brama di violenza.
I membri della folla sono sempre dei persecutori in potenza, perché sognano di
purgare la comunità dagli elementi impuri che la corrompono, dai traditori che
la insidiano” [René Girard, Il capro espiatorio]. Alle dieci
ragioni che elencavo nell’aprile del 2020 (riprese e sviluppate nel libro Disarmare il virus della violenza. Annotazioni per una fuoriuscita
nonviolnta dell’epoca delle pandemie, edizioni GoWare) per
le quali ritenevo sbagliata l’adozione politica e mediatica del paradigma bellico per interpretare e narrare la pandemia
di covid-19 come “guerra al virus”, allora iniziata da poco, oggi ancora in
corso con la “quarta ondata” – che nel frattempo ha anche generato la gestione militare della campagna vaccinale – è
necessario oggi aggiungere esplicitamente a quegli “effetti collaterali” uno
ulteriore, che era contenuto in quell’articolo solo in forma implicita: ossia la
ricerca ossessiva del capro espiatorio, per dare in pasto alla folla “il
colpevole” della sofferenza diffusa, dalla quale dopo due anni non riusciamo
ancora a guarire.
È quanto accaduto, per esempio, durante la conferenza stampa del presidente
del consiglio Draghi del 10 gennaio scorso che ha additato alla “folla” il
preciso capro espiatorio responsabile della situazione: “Gran parte dei
problemi che abbiamo oggi dipende dal fatto che ci sono delle persone
non vaccinate”. Si tratta di una semplificazione insostenibile da parte di
chi ha la responsabilità e l’onere del governo complesso del paese, rispetto a
cause profonde che vengono da lontano. Lo spiega, per esempio, anche Paolo
Cacciari (autore, tra l’altro, per Altreconomia di Ombre verdi.
L’imbroglio del capitalismo green. Cambiare paradigma dopo la pandemia),
su Comune-info:
“La metafora fuorviante della “guerra al virus” sta dando i suoi frutti avvelenati.
Non sono i renitenti, i disertori, gli obiettori di coscienza e nemmeno gli
“imboscati” che pregiudicano la “causa comune” complottando con il “nemico”.
Piuttosto sono i generali dello stato maggiore che preferiscono indirizzare
l’attenzione verso facili obiettivi di comodo piuttosto che affrontare le cause
profonde della disfatta socio-sanitaria-ecologica in atto. Le pandemie da
zoonosi, che diventeranno sempre più endemiche (a causa della evoluzione dei
virus per adattarsi alle specie ospitanti, spillover), sono la
inevitabile reazione (feedback) delle forze della natura alla vera
guerra che la megamacchina termo-industriale ha lanciato alla Terra
distruggendo habitat naturali, rompendo equilibri vitali millenari, liberando
virus e batteri dalle loro nicchie ecologiche” (Non in mio nome, P. Cacciari).
Di fronte a questo scenario di crisi sistemica e globale, i governi
italiani che si sono succeduti – oltre a cincischiare sulla
conversione ecologica dell’economia, tanto sul piano nazionale che su quello
internazionale – hanno pensato bene di operare tagli drastici agli
investimenti sulla sanità pubblica, operandone un vero e prorio
“definanziamento” del quale anche il Rapporto dell’autorevole Fondazione GIMBE ci aveva ampiamente avvisati nel
luglio del 2019 – ossia pochi mesi prima di essere investiti in pieno
dall’epidemia – per il decennio 2010-2019: “Il finanziamento pubblico è stato
decurtato di oltre € 37 miliardi, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015 per
tagli conseguenti a varie manovre finanziarie ed oltre 12 miliardi nel
2015-2019, quando alla Sanità sono state destinate meno risorse di quelle
programmate per esigenze di finanza pubblica. (…) I dati OCSE aggiornati al
luglio 2019 dimostrano che l’Italia si attesta sotto la media sia per la spesa
sanitaria totale (3.428 dollari contro 3.980), sia per quella pubblica (2.545
contro 3.038), precedendo solo i Paesi dell’Europa orientale oltre a Spagna,
Portogallo e Grecia”. Ciò ha significato, come declina “dato per dato” Altreconomia (1 settembre 2021), che
“in dieci anni sono stati chiusi 173 ospedali e 837 strutture di assistenza
specialistica ambulatoriale. Inoltre ci sono 276 strutture di assistenza
territoriale pubbliche in meno e il personale dipendente del Ssn è diminuito di
42.380 unità.”
E poiché, invece, nello stesso periodo le spese militari hanno continuato a
crescere incessantemente, a cura dei medesimi governi che hanno tagliato la
sanità pubblica, le campagne della società civile italiana – da Sbilanciamoci! a Un’altra difesa è
possibile – avevano ampiamente avvisato del fatto che per garantire la
sicurezza dei cittadini sarebbe stato urgente e necessario invertire la
direzione e riconvertire il concetto di “difesa” in senso
civile e sociale, destinando a questi comparti le risorse spese invece in
armamenti, dove – al contrario che nella sanità – siamo tra i primi in Europa.
Questa riconversione non solo non è avvenuta, ma le spese militari –
come riporta l’Osservatorio sulle spese militari italiane – sono
aumentate del 20% negli ultimi tre anni e subiscono ancora un balzo in
avanti nel 2022, proprio a cura del governo Draghi, sfiorando i 26 miliardi di
euro. Mentre si invoca ossessivamente il paradigma bellico sul piano
metaforico, laddove è stato depotenziato l’apparato sanitario di difesa della
salute, è potenziato al massimo l’apparato bellico militare propriamente detto,
affidando la sicurezza del Paese irresponsabilmente a quello stesso “pensiero magico” denunciato dal Censis. Come diceva
la campagna Taglia le ali alle
armi e come ricordava Gino Strada – incensato in morte, ma inascoltato in vita –
“Soltanto con il costo di un F35 metteremmo in piedi 1500-2mila letti di
terapia intensiva. Ma nessuno ne vuole parlare, come nessuno parla della sanità
pubblica, che viene ed è stata massacrata con tagli al personale e chiusura di
ospedali”. Invece di cacciabombardieri F35 ne stiamo acquistando 90, con un
programma confermato da tutti i governi degli ultimi quindici anni, insieme ad
ulteriori programmi di armamento.
Del resto, anche sul piano globale – che è quello sul quale è
diffusa e continua la pan/demia – assistiamo ad una crescita
impetuosa delle spese militari che sono raddoppiate negli ultimi in vent’anni e, come scrivono
nell’appello anche gli scienziati premi nobel internazionali che chiedono
un’operazione di disarmo per finanziare il dividendo di pace, basterebbe tagliare il 2% di questa
spesa mondiale per generare le risorse necessarie per un fondo globale per la
lotta contro le pandemie, il cambiamento climatico, la povertà estrema.
Questione di enorme rilevanza anche in riferimento ai ripetuti e inascoltati
appelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per una distribuzione equa e
solidale dei vaccini come unico scudo planetario possibile. Invece, mentre in
Occidente si moltiplicano le dosi booster dei vaccini, continua lo scandalo di oltre quattro miliardi di
persone, anche le più fragili e anziane, che nel resto del mondo non hanno
ricevuto nemmeno una dose. E sono incubatori e veicoli di nuove varianti, che
alimentano ulteriori ondate di pandemia, che si affrontano con altre dosi di
vaccini per i governi che li possono pagare ed arricchiscono le multinazionali
del farmaco, in un perverso circuito infinito.
Di fronte a questo scenario, globale e nazionale, indicare nella estrema
minoranza che per motivi diversi in Italia ancora non si è ancora vaccinatala
la causa della “gran parte dei problemi che abbiamo oggi” e – sulla base
di questa considerazione – operare scelte di depotenziamento dell’esercizio dei
diritti, oltre che banalizzare la realtà, significa intraprendere una
china inedita e pericolosa per la democrazia, come avverte anche Amnesty International Italia: “per quanto riguarda il Green Pass
rafforzato recentemente approvato, deve trattarsi di un dispositivo limitato
nel tempo e il governo deve continuare a garantire che l’intera popolazione
possa godere dei suoi diritti fondamentali, come il diritto all’istruzione, al
lavoro e alle cure, con particolare attenzione ai pazienti non-Covid che hanno
bisogno di interventi urgenti e non devono essere penalizzati. In ogni caso,
Amnesty International Italia chiede che siano previste misure alternative –
come l’uso di dispositivi di protezione e di test Covid-19 – per permettere
anche alla popolazione non vaccinata di continuare a svolgere il proprio lavoro
e di utilizzare i mezzi di trasporto, senza discriminazioni”.
“Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili
con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla terra“, scrive Hans Jonas ne
Il principio responsabilità, fondamentale testo del ‘900. L’indicazione etica
di Jonas, che rilegge l’imperativo categorico kantiano, si rivolge a tutti,
ma quanto più è grande il potere esercitato, tanto più è grande la responsabilità
delle proprie azioni. Non ci si può nascondere indicando alla folla
un capro espiatorio sul quale esercitare la brama di persecuzione purgatrice. Aprendo
ulteriori ferite sociali che lasceranno il segno profondo anche quando questa
pandemia sarà, finalmente, superata.
Pasquale Pugliese cura percorsi e laboratori sui temi della cultura di
pace, della convivenza interculturale e dell’educazione alla nonviolenza. Nel
2018 ho pubblicato il volume “Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo
Capitini. Elementi per la liberazione dalla violenza”, i cui diritti di autore
vanno al Movimento Nonviolento (reperibile qui), e nel 2021 “Disarmare il virus della
violenza. Annatotazioni per una fuoriuscita nonviolenta dall’epoca della
pandemia” (reperibile qui), entrambi per le edizioni GoWare.
Questo il suo blog.
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